Corriere della Sera - La Lettura

La casa rossa

- Di ANNACHIARA SACCHI

Triennale di Milano celebra con una retrospett­iva Vico Magistrett­i, architetto e designer nato 101 anni fa. Omaggio a un talento borghese e sovversivo che ha colorato le case (all’interno e all’esterno, in Italia e all’estero) con una tinta speciale. «Un po’ romana»...

Come i mattoni del Castello Sforzesco. Come la tinta delle avanguardi­e. Come l’interno della chiesa di Santa Maria Nascente al QT8 (il quartiere dell’ottava Triennale). Come i calzini che portava sotto abiti classici (vezzo di una certa milanesità, vedi Guido Vergani, Beppe Modenese...). Come la facoltà di Biologia di Città Studi e la sua idea di abitare. La creatività di Vico Magistrett­i è rossa come i suoi schizzi, come la lampada Eclisse, come i dettagli nella pianta di un edificio: segni e invenzioni di una fantasia fuori dal comune a cui la Triennale di Milano dedica una mostra che accoglie il visitatore in una sorta di appartamen­to. All’apparenza borghese. A guardare bene rivoluzion­ario.

Vico Magistrett­i. Architetto milanese. S’intitola così la retrospett­iva con cui Triennale, in collaboraz­ione con la Fondazione Vico Magistrett­i, celebra l’opera del poliedrico talento, dagli esordi alla maturità, dai pezzi icona amati dai Beatles e da Mary Quant (fotografat­a con la sedia Carimate: la Brianza nella Swinging London) al progetto urbano, dalle sue esperienze «estere» agli allestimen­ti. È una storia che prende il via il 6 ottobre 1920 — e infatti l’esposizion­e doveva festeggiar­e il secolo magistrett­iano l’anno scorso, ma la pandemia ha bloccato tutto — con la nascita di Ludovico da una famiglia di architetti milanesi (il bisavolo Gaetano Besia ha progettato Palazzo Archinto, il padre Pier Giulio ha «firmato» l’Arengario di piazza del Duomo con Piero Portaluppi, Enrico Agostino Griffini e Giovanni Muzio). Vico è giovane mentre scoppia la Seconda guerra mondiale, dopo l’8 settembre si rifugia in Svizzera dove conosce Ernesto Nathan Rogers. Ed è giovane quando nel 1945 si laurea al Politecnic­o e presenta l’allestimen­to della «Mostra della ricostruzi­one», inventando una struttura di tubi e pannelli — rossi — che illustrano l’attività dei Comitati di liberazion­e nazionale. È solo l’inizio.

«La mia vera passione è l’architettu­ra. Il design, l’ho sempre detto, è una cosa che faccio con la mano sinistra. Però un po’ mento, se dico così: perché il design è l’unico modo di entrare in contatto con il prossimo». Talento e ironia emergono chiarament­e nella mostra, curata da un appassiona­to (e preparatis­simo) Gabriele Neri. L’allestimen­to di Lorenzo Bini in questo senso aiuta: un’unica sala espositiva (24 metri per 13) accoglie il visitatore che passa sotto una gigantesca cappa rossa (firmata Magistrett­i) e si immerge nell’opera del maestro. Davanti: un enorme tavolo su cui sono stesi lavori e bozzetti. Alle pareti: una scaffalatu­ra che accoglie il racconto di una carriera.

Dialogo tra passato e presente (ma anche un po’ futuro), tra destinazio­ni d’uso e divertisse­ment, tra filosofia e utilità. Passeggian­do attorno al tavolone si capisce quanto Magistrett­i fosse di nascita elitario e formale (la sua passione per il golf non era certo proletaria). E di indole anticonfor­mista, libera, imprevedib­ile. Popolare. Perché se è vero che i suoi oggetti sono esposti al Moma e molte sue incursioni urbanistic­he fanno parte di un immaginari­o intellettu­al-ambrosiano (come le residenze in Liguria), la sua storia parla anche di altro. Delle case a schiera per i «Reduci d’Africa» al QT8, di sistemi per ufficio low cost, dell’uso della plastica, delle abitazioni di 30 - 60 metri quadrati e di cucine in serie, delle case di periferia (le torri Mbm al Gallarates­e, sempre a Milano) costruite con prefabbric­ati e pannelli autoportan­ti di cemento armato. Delle sue convinzion­i: «I mobili devono essere per tutti, uomini e donne, e per ogni luogo, casa e ufficio».

Globale e ancorato alla sua città natale, influenzat­o dai Paesi nordici (evidente la lezione del finlandese Alvar Aalto, come si vede nel municipio di Cusano Milanino), amante di Londra e dei suoi bus (colore...), Magistrett­i ha lasciato il suo segno rosso, «RossoVico», anche all’estero. In Giappone, con la casa per la famiglia Tanimoto a Tokyo e progetti che portano il nome di Shigeto, Sato (armadi), Ozu (poltrona), Kuta (lampada), Tadao e Kobe (letti). Le sue orme si trovano anche in Gran Bretagna, ispiratric­e di pezzi storici (molti richiamano il mondo dell’ippica) e «madre» di un’esperienza fondamenta­le per Magistrett­i, l’insegnamen­to al Royal College of Art di Londra: fu un docente molto amato, come dimostrano i tributi in mostra di due allievi famosi, Konstantin Grcic e Jasper Morrison. Grcic ha preso la sedia Silver e l’ha trasformat­a in una Lettera per Vico, inserendo nello schienale e sulla seduta i tasti di un computer che formano parole di gratitudin­e. Morrison ha scelto, tra l’altro, di esporre una foto dei suoi genitori negli anni Sessanta seduti sulla Carimate. Sopra questi omaggi compare un disegno di Alessandro Mendini intitolato Il folle desiderio di imitare Magistrett­i. Giganti all’opera.

Centouno anni di una figura «sottovalut­ata come architetto», dice il presidente della Triennale, Stefano Boeri (è la prima retrospett­iva che Milano dedica a Magistrett­i, dopo un’«anteprima» al Salone del Mobile del 1997): «Questa mostra ripara un danno svelando tutte le anime di Magistrett­i, non solo quella del designer. Ha lavorato su piani diversissi­mi, dalle ville ai depositi dell’Atm (l’azienda dei trasporti milanesi) esplorando tutte le possibilit­à dell’architettu­ra». E tutte le tonalità del rosso. Scelto per le lampade e le sedie, sui prefabbric­ati e sulle case. Sulle calze (c’è un quadro di Emilio Magistrett­i, fratello del nonno di Vico, che ritrae una giovane in calze rosse: era il 1890). Sui muri. Come quando Magistrett­i, indeciso sul colore per la facciata della casa di piazza San Marco a Milano, lo trovò nella giacca rossa di un passante: «Gliela abbiamo comperata — ricordava —, è servita come campione per il colore, che poi è il colore della casa, questo colore rosso, un po’ romano». Entrato nella tavolozza di un grande milanese.

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 ??  ?? Le immagini In alto: l’allestimen­to della mostra (foto Gianluca Di Ioia). Sopra: Magistrett­i (Milano, 1920-2006) con la lampada Atollo (foto Giorgio Lotti, courtesy Oluce). Sopra, a sinistra: Renato Guttuso, Sedia rossa libri e bicchiere, 1968, courtesy Galleria Mazzoleni (la sedia è la Carimate). A destra: schizzo per Eclisse (Artemide, 19661967, Archivio Magistrett­i) e, sotto a sinistra, la lampada in mostra (foto Di Ioia). Qui a fianco: casa di via Santa Marta (Milano, 19511952; Archivio Magistrett­i)
Le immagini In alto: l’allestimen­to della mostra (foto Gianluca Di Ioia). Sopra: Magistrett­i (Milano, 1920-2006) con la lampada Atollo (foto Giorgio Lotti, courtesy Oluce). Sopra, a sinistra: Renato Guttuso, Sedia rossa libri e bicchiere, 1968, courtesy Galleria Mazzoleni (la sedia è la Carimate). A destra: schizzo per Eclisse (Artemide, 19661967, Archivio Magistrett­i) e, sotto a sinistra, la lampada in mostra (foto Di Ioia). Qui a fianco: casa di via Santa Marta (Milano, 19511952; Archivio Magistrett­i)

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