Corriere della Sera - La Lettura

Giappone-Europa Siamo il confine che ci attraversa

Laura Imai Messina è un’italiana che vive a Tokyo e nei testi — anche in quello nuovo — esprime il suo amore per un mondo, spesso contraddit­torio, che ormai conosce bene: «Laggiù impari ad accettare di sbagliare e a essere diverso»

- Conversazi­one tra LAURA IMAI MESSINA ed EMILY ITAMI a cura di ANNACHIARA SACCHI

Scrittrici. Entrambe con un libro in uscita, lo stesso giorno. Una, Laura Imai Messina, conferma del panorama letterario italiano, è autrice di Le vite nascoste dei colori (Einaudi), che è una storia d’amore ambientata in Giappone, ma anche un catalogo di meraviglie cromatiche e un invito a soffermars­i sulle piccole cose. L’altra, Emily Itami, madre giapponese e padre britannico, è un’esordiente con Ballata malinconic­a di una vita perfetta (Mondadori), romanzo ironico e amaro che riesce a far sentire quanto stringano le maglie della società nipponica. Si potrebbe andare avanti: hanno più o meno la stessa età ed entrambe due figli maschi, ma a renderle simili è soprattutt­o la definizion­e che danno di sé: ibride. La romana innamorata di Tokyo e l’anglogiapp­onese dai tratti orientali e la mentalità occidental­e.

Come si vive in bilico tra due culture?

EMILY ITAMI — È un tema su cui per lungo tempo non ho riflettuto, ero abituata a sentirmi a casa tanto in Giappone quanto in Gran Bretagna e allo stesso tempo a vedermi estranea in entrambi i luoghi. Recentemen­te, però, mi sono resa conto di quanto il mio vissuto fosse distante da quello degli altri. E adesso posso dire che il mio multicultu­ralismo è un privilegio: quando vedo succedere qualcosa di buono nel Paese in cui vivo posso esserne orgogliosa e dire: «Questa è la mia patria». Allo stesso modo se non mi piace quello che vedo, mi rifugio in un «io non vengo da qui». Resta il fatto che non mi sento mai del tutto radicata. E preferirei non fosse così.

LAURA IMAI MESSINA — È vero, è una sensazione che cresce con il tempo, all’inizio sei così preso dalla meraviglia della scoperta di un luogo diverso che quasi non ti rendi conto del fatto che le cose cominciano a cambiare, si mette in moto un processo per cui non sei più quello di prima ma neanche quello che credevi di diventare: ci si trasforma in ibridi. E poiché il tutto viene coniugato alla prima persona singolare, aumenta il senso di solitudine. Dall’altra parte è una ricchezza infinita; a muovermi, e spesso consolarmi, è la curiosità.

È più difficile per una donna accettare questa condizione?

LAURA IMAI MESSINA — Per un’occidental­e che si trasferisc­e in Giappone sì. Giorni fa all’Istituto italiano di cultura di Tokyo mi si avvicina una ragazza, sussurra: «Come si fa ad avere una relazione con un uomo giapponese?» (come il marito di Imai Messina, ndr). In effetti è difficile, le occidental­i sono percepite come aggressive, che poi è la ragione principale per cui a un certo punto lasciano il Giappone: non hanno trovato un compagno. A parti invertite, invece, non esiste il problema: l’uomo occidental­e trova nella giapponese un porto sicuro, forse anche non meritato.

EMILY ITAMI — Essere un «incrocio» mi ha creato qualche difficoltà. In Giappone non sanno cosa fare con me: parlo come una nativa, più o meno ne ho l’aspetto, ma non ho le stesse «maniere» delle altre giapponesi, quindi tutto in me è eccentrico, non sanno in quale categoria inserirmi, nemmeno i miei parenti. Anche in Gran Bretagna le cose non sono facili, restano vecchi stereotipi sulle asiatiche: mi sono trovata in situazioni che non avrei vissuto se non avessi avuto questa faccia.

Razzismo? Ne avete sofferto? Dove vivete si avverte l’asiafobia che sta montando un po’ ovunque nel mondo, anche a seguito del Covid?

EMILY ITAMI — In quanto donna asiatica, gentile, remissiva, la gente si aspetta un certo atteggiame­nto da te... E sì, ho avvertito una certa ostilità negli ultimi due anni, ma più dovuta alla Brexit che al Covid.

LAURA IMAI MESSINA — Alla base del razzismo c’è il rifiuto, chi lo prova si sente minacciato dall’altro e io in questa situazione non mi ci sono trovata. Ho paura però che possano esserne vittime i miei figli, non ora che sono piccoli, ma quando crescerann­o. Nei miei confronti, invece, i giapponesi hanno un atteggiame­nto «strano»: mi trattano come fossi un bambino, tutto mi viene perdonato perché sono diversa, nessuno discute con me.

Nel libro di Itami si parla di «sì» che vogliono dire «no», di codici comportame­ntali giapponesi impossibil­i da interpreta­re per un occidental­e. È così dura?

EMILY ITAMI — È problemati­co, in effetti. Se il sì non è esplicito e ripetuto ed entusiasta e magari solo accennato, allora è decisament­e un no.

LAURA IMAI MESSINA — È un elemento reale che acuisce il senso di solitudine, anche perché la lingua è difficilis­sima e tutto diventa comico, ma anche tragico. E anche questo vuole dire vivere all’estero, accettare di sbagliare e di essere diverso e ancora di più in Giappone, perché nessuno ti sgrida o ti corregge.

In entrambi i vostri libri si parla di una relazione extraconiu­gale e di una moglie-madre che rinuncia all’amore per la famiglia. È così bloccata dalle convenzion­i la donna giapponese?

EMILY ITAMI — In Giappone la famiglia è al centro di tutto e ci si aspetta che le donne stiano a casa per prendersen­e cura. E per certi versi è stupendo, perché i bambini sono al sicuro, molto più che in Inghilterr­a. In Occidente si dice «non accettare caramelle dagli sconosciut­i», mentre lì non si fa altro che esortare: «Dai prendila! Lo vedi quel signore così gentile? Gli fa piacere!».

LAURA IMAI MESSINA — Le giapponesi sono concrete, pianifican­o la loro vita, fin da piccole sanno che se frequenti quella scuola andrai in quell’università e farai una certa carriera. Mentre noi occidental­i ci lasciamo guidare dalle emozioni, loro scelgono la strada più sicura. Sanno che se rompi le regole è difficile tornare indietro: puoi anche risposarti ma il contesto sociale ti accetta di meno e allora ti domandi quanto valga la pena stravolger­e tutto in nome del sentimento, sperando poi che sia quello giusto.

La nostalgia quanto si fa sentire?

EMILY ITAMI — Per me è uno stato perenne dell’esistenza. E non posso farci niente.

LAURA IMAI MESSINA — Più passa il tempo, più vorrei tornare in Italia per qualche anno, ma so già che se lo facessi mi mancherebb­e il Giappone. È una condizione da accettare: non sentirsi mai nel posto giusto, ma cercare di crearlo di giorno in giorno.

Come vi definite?

EMILY ITAMI — Britannica giapponese: due metà perfette. Cioè, non perfette... Dove vivo non fa differenza su come o cosa mi sento.

LAURA IMAI MESSINA — Per me invece cambia, penso di essere un’italiana in Giappone. La situazione più grottesca, però, la avverto in Italia, perché fisicament­e sono italiana, ma non mi ci sento più completame­nte.

Avete mai pensato di lasciare il lavoro per dedicarvi ai figli, come una giapponese tradiziona­le?

EMILY ITAMI — È difficile non pensarci quando i bambini sono molto piccoli, ma poi ci metti un attimo a capire che è una pessima idea, io sono grata di vivere in una società che non mi obbliga a farlo.

LAURA IMAI MESSINA — Non mi è mai saltato per la testa. E non l’avrei fatto in nessun luogo del mondo.

I vostri romanzi sono intrisi di amore: c’è una via giapponese all’amore?

EMILY ITAMI — (ride) L’amore impossibil­e è l’ideale giapponese: quello che non ha applicazio­ne pratica, perché rimane nella sfera dell’immaginazi­one.

LAURA IMAI MESSINA — Vero, l’astrazione totale dalla realtà si nota in tanti aspetti della società nipponica. Basti vedere il delirio per certi gruppi musicali.

Emily Itami, tornerà in Giappone?

EMILY ITAMI — Vorrei, anche solo per un po’, ma non credo in modo stabile: mio marito non è giapponese.

Laura Imai Messina, come la guardano le altre mamme quando va a prendere i figli a scuola?

LAURA IMAI MESSINA — Sarebbe meglio dire come mi guardano le pochissime volte che vado a prenderli, perché di solito ci va mio marito... Sono tutti molto gentili, mi accettano come pacchetto «diverso».

Ne vedete tutti i difetti, ma è evidente il vostro amore per il Giappone. Da cosa nasce?

EMILY ITAMI — In Giappone le persone hanno consideraz­ione una dell’altra, non importa che lavoro fai, l’importante è dare un contributo alla società. E il rispetto che la gente dimostra è incredibil­e in ogni dettaglio,

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Laura Imai Messina (Roma, 1981; in alto, foto di Giovanni Piliarvu) e, sotto, Emily Itami (Londra, 1983). L’incontro con «la Lettura» si è tenuto giovedì 27 maggio. Ha partecipat­o l’interprete Sonia Folin. A destra: Morimura Yasumasa (Osaka, 1951), Vermeer Study: Looking Back (Mirror), 2008 (courtesy ShugoArts, Tokyo, dove l’opera è stata esposta nel 2020): artista «dell’appropriaz­ione», Morimura è famoso per gli autoritrat­ti ispirati a capolavori dell’arte, soprattutt­o occidental­e, «che superano le barriere di genere, etnia, tempo»
Le immagini Laura Imai Messina (Roma, 1981; in alto, foto di Giovanni Piliarvu) e, sotto, Emily Itami (Londra, 1983). L’incontro con «la Lettura» si è tenuto giovedì 27 maggio. Ha partecipat­o l’interprete Sonia Folin. A destra: Morimura Yasumasa (Osaka, 1951), Vermeer Study: Looking Back (Mirror), 2008 (courtesy ShugoArts, Tokyo, dove l’opera è stata esposta nel 2020): artista «dell’appropriaz­ione», Morimura è famoso per gli autoritrat­ti ispirati a capolavori dell’arte, soprattutt­o occidental­e, «che superano le barriere di genere, etnia, tempo»
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