Corriere della Sera - La Lettura

NON È STATO UN ANIMALE

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È vero: i paesaggi della nostra infanzia diventano i della nostra immaginazi­one, sostiene una brillante, giovane scrittrice. E vale anche per certi

Come quello che la investì una sera d’inverno in cui sentì un certo rumore...

Ipaesaggi della nostra infanzia diventano i paesaggi della nostra immaginazi­one. Sono cresciuta nel nord dell’Inghilterr­a, in una regione chiamata Peak District. Il Peak District è diviso in due: il White Peak, un altopiano di arenaria e dolci vallate, e il Dark Peak, a nord, più selvaggio ed elevato. Il terreno è umido e morbido sotto i piedi. Ci sono paludi nascoste e rari alberi. Resti di aeroplani si trovano sparpaglia­ti sulle alture, precipitat­i mentre si dirigevano verso le vicine basi e lasciati arrugginir­e nelle brughiere.

È qui che sono cresciuta.

Quei luoghi erano stati teatro di famosi delitti. Il viaggio in treno verso la città più vicina attraversa­va strade percorse dagli Assassini delle Brughiere, in cerca di bambini soli. Passava vicino allo studio del dottor Harold Shipman, arrestato nel 1998 per l’omicidio di oltre 200 pazienti. Erano storie che mi raccontava mio padre, quando doveva trascorrer­e trenta minuti con una bambina annoiata di dieci anni. Non inventava nulla. C’era un’encicloped­ia del crimine a portata di mano, su uno scaffale della libreria. Una volta passai una settimana insonne a Creta, dopo che mi svelò la storia del minotauro durante il viaggio in aereo. A Halloween portò in macchina un gruppetto di piccole streghe rumorose su un ponte attorno al quale si aggirava un cavaliere senza testa. Batté la capote della macchina e ci fece rotolare urlanti l’una sull’altra. Dopo il ponte la strada curvava, perdendosi oltre la luce dei fari, nell’oscurità della brughiera.

Quando avevo undici anni e andavo ancora alle elementari, mi chiesero di fare una presentazi­one su «Un viaggio». Ero già una bambina strana, precoce dal punto di vista scolastico e ritrosa. Mi venne in mente il viaggio in treno. Mi alzai in piedi e parlai di assassini, di case derelitte e corpi mai trovati. Fin dalle prime battute capii — dalla faccia dell’insegnante — di aver fatto un terribile passo falso. I bambini della classe si guardavano sbalorditi, bisbiglian­do. Ma ero andata troppo in là ed ero troppo presa per inventare qualcos’altro. Avevo pensato, sbagliando, che il paesaggio in cui vivevo fosse un luogo che potevo condivider­e con gli altri.

All’università conobbi un uomo che aveva vissuto accanto a una famiglia che era stata rapita. C’erano state dispute sul denaro, su strane transazion­i. Le due case erano isolate e molto grandi. C’erano stanze in cui nessuno entrava per settimane. Una notte il vicino, in preda all’isteria, era andato dai genitori del mio amico. Qualcuno aveva portato via sua moglie e i suoi figli. Aveva trovato una specie di biglietto.

Il mio amico era un bambino, all’epoca. Ricordava gli interrogat­ori della polizia e la paura di sua madre.

Non fu lui a raccontarm­i questa storia. Fu la sua ragazza, al tavolo di un pub, con luci calde e festose. Non

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