Corriere della Sera - La Lettura
Arcipelago Italo Calvino L’Atlante per esplorarlo
Visual data e letteratura Una piattaforma web (tre percorsi principali, altri tre sottolivelli...) rappresenta tutti i testi del grande autore e propone chiavi di lettura (la centralità dei racconti, il tema della nebbia, Parigi...). Italianisti dell’Università di Ginevra e designer del Politecnico di Milano hanno lavorato insieme. Qui e nelle prossime due pagine mostriamo com’è andata
«Fino al momento precedente a quello in cui cominciamo a scrivere, abbiamo a nostra disposizione il mondo — quello che per ognuno di noi costituisce il mondo, una somma di informazioni, di esperienze, di valori — il mondo dato in blocco, senza né un prima né un poi, il mondo come memoria individuale e come potenzialità implicita; e noi vogliamo estrarre da questo mondo un discorso, un racconto, un sentimento (...). Ogni volta l’inizio è questo momento di distacco dalla molteplicità dei possibili». Così Italo Calvino (1923-1985) nelle Lezioni americane, pubblicate postume.
Possiamo supporre che gli sarebbe piaciuto Atlante Calvino, progetto dell’Unità d’italiano dell’Università di Ginevra e del laboratorio DensityDesign del Politecnico di Milano che, unendo critica letteraria e visualizzazione dati, «estrae» percorsi interpretativi, di senso, dalla molteplicità dell’intera opera narrativa dello scrittore. Un corpus che il team di Ginevra ha fissato in duecentoquindici testi — tra racconti, romanzi e opere ibride tra i due generi, pubblicati dal 1943 al 1985 —, base di oltre tre anni di lavoro, ora approdato sulla piattaforma https:// atlantecalvino.unige.ch/.
«Questo progetto coniuga la figura di un autore fondamentale della letteratura del Novecento a un metodo di studio innovativo nelle Digital Humanities ,il campo di ricerca che unisce discipline umanistiche e informatiche», spiega la professoressa Francesca Serra. È lei, ordinaria di Letteratura italiana all’Università di Ginevra e autrice, tra le numerose pubblicazioni, della monografia Calvino (Salerno, 2006), l’ideatrice e direttrice dell’Atlante. «Nel 2023 — prosegue — saranno i cento anni dalla nascita dell’autore. Il nostro lavoro è in un certo senso un omaggio alla sua mente complessa e insieme cristallina, letteraria e insieme scientifica, sempre curiosa del futuro e aperta alla sperimentazione».
La piattaforma, «online e interattiva — sottolinea la professoressa —, non è un album né un semplice database, ma un oggetto aperto, un contenitore che propone tre principali percorsi, scaturiti da altrettanti quesiti critici». Il presupposto era «vedere l’opera in maniera completamente diversa, liberandoci dagli schemi che abbiamo in testa». Dubbio, Spazio, Forma sono i titoli dei tre itinerari, ciascuno sviluppato su tre livelli di complessità crescente. «Il dubbio — spiega Serra —, perché l’autore ne fa una vera strategia narrativa, con storie che spesso avanzano mettendo in discussione persino sé stesse. Lo spazio, perché nell’opera di Calvino sembra quasi avere più importanza del tempo. La forma, perché volevamo approfondire il modo, tendenzialmente modulare, di costruire la trama. E anche i tormenti nel venirne a capo: maggiori di quanto si è soliti pensare».
È ovvio che tradurre tutto questo in dati e immagini non fosse immediato. «La sfida più difficile è stata progettare linguaggi che dessero conto delle ambiguità, degli spazi d’incertezza», testimonia Michele Mauri, ricercatore al Politecnico di Milano e direttore scientifico del laboratorio DensityDesign, responsabile dell’Atlante sul fronte italiano (ruolo in cui si è avvicendato con Paolo Ciuccarelli, ora alla Northeastern University di Boston). «Abbiamo riadattato — chiarisce Mauri — modelli visivi esistenti e ne abbiamo ideati di nuovi, in modo da valorizzare le sfumature del sapere umanistico».
Già nel 2018, agli albori dell’Atlante, «la Lettura» ospitò tre visualizzazioni. Ora ne pubblicherà altre quattro: una al mese, sintesi cartacee di alcuni focus della piattaforma. La prima, nelle prossime pagine, propone uno sguardo su tutta l’opera narrativa di Calvino; quelle successive si concentreranno su spazio, trama, dubbio.
«Per il lavoro che presentiamo in questo numero — spiega Mauri — la difficoltà era tenere insieme 215 testi le cui storie editoriali spesso s’intrecciano. Abbiamo deciso di rappresentarli come un territorio visto dall’alto, a volo d’uccello, in cui ciascun testo è un’isola che può generare arcipelaghi a seconda della data di prima pubblicazione e della vicenda editoriale. Così privilegiamo la continuità nello spazio, non la successione di singoli elementi. Lo scopo non è solo rappresentare, ma supportare il processo d’interpretazione: l’approccio visuale può aiutare a produrre conoscenza, fornire strumenti per nuove letture critiche».
L’Atlante è già stato tema di discussione con i maggiori studiosi di Calvino, come Mario Barenghi e Bruno Falcetto, e con esperti di Digital Humanities, come Franco Moretti e Jeffrey Schnapp. Sarà poi la stessa équipe di Francesca Serra ad approfondire possibili ricerche future. Qualche indicazione c’è già. Oggetto di studio dell’Atlante è ad esempio la nebbia, fenomeno meteorologico ricorrente in Calvino e uno dei modi attraverso cui si esprime, appunto, il dubbio. «Si aveva l’impressione — spiega Serra — che la ricorrenza fosse più forte nella seconda parte dell’opera e invece no: studiandola a tappeto si scopre che la nebbia reale, non metaforica, è presente soprattutto nella prima parte, specie nei racconti partigiani». Emerge anche qualche curiosità. L’autore visse a Parigi dal 1967 al 1980 ma «disse di non avere quasi mai narrato la città, invece il percorso sui luoghi svela con chiarezza che la capitale francese c’è, eccome, nelle sue opere». Infine, i racconti: «Si confermano — conclude la studiosa — il cuore pulsante dell’opera. In particolare il grande laboratorio di varietà degli anni Cinquanta, una sorta di scacchiera in cui Calvino disegna la sua multipla personalità di scrittore».
Ancora negli appunti per le Lezioni americane, l’autore scriveva: «Forse è questa ansia per il problema del cominciare e del finire che ha fatto di me più uno scrittore di short stories che di romanzi, quasi non riuscissi mai a convincermi che il mondo ipotizzato dalla mia narrazione è un mondo a sé stante, autonomo, autosufficiente, in cui ci si può installare definitivamente o almeno per tempi lunghi. Invece mi prende continuamente il bisogno di prenderlo dal di fuori (...), come un’isola in un arcipelago, un corpo celeste in una galassia».