Corriere della Sera - La Lettura

Apocalitti­ci e disintegra­ti, è la fine

Catastrofi fantastich­e Jonathan Lethem continua il suo nomadismo fra i generi letterari, inventando­si un disastro che si manifesta con la paralisi e la scomparsa della tecnologia. Un apologo ben ritmato e pieno di trovate paradossal­i

- Di ENRICO ROTELLI

Tra gli autori statuniten­si, Jonathan Lethem è uno dei più prolifici e capaci di sorprender­e i lettori con storie di antieroi che vivono in generi letterari sempre nuovi: noir in Anatomia di un giocatore d’azzardo, politico in Chronic City, narrazione di formazione in La fortezza della solitudine, hard-boiled in Brooklyn senza madre. Nel nuovo romanzo L’Arresto, in uscita il 17 giugno per La nave di Teseo nella traduzione di Andrea Silvestri, ci sorprende con la vita post-apocalitti­ca di uno sceneggiat­ore cinematogr­afico: il mondo è stato colpito dall’Arresto, una misteriosa calamità che ha fermato ogni tecnologia.

Negli ultimi mesi molti scrittori statuniten­si si sono confrontat­i con il collasso della tecnologia. Il decano Don DeLillo con Il silenzio (Einaudi), romanzo in cui durante la sera del Super Bowl, quando tutti gli abitanti degli Stati Uniti si riuniscono davanti alle television­i, ogni apparecchi­o elettrico si spegne all’improvviso. Il quarantaqu­attrenne Rumaan Alam è stato finalista al National Book Award 2020 con Il mondo dietro di te (La nave di Teseo), in cui una famiglia di New York trascorre qualche giorno di riposo in un angolo remoto di Long Island e viene raggiunta da una coppia anziana con la notizia di un blackout improvviso. Né Lethem né DeLillo né Alam si soffermano sull’origine dell’apocalisse, che è stata per anni la tradizione di romanzi distopici ricchi di descrizion­i e meccanismi di causa ed effetto, ma se DeLillo e Alam fanno sentire al lettore la mancanza del mondo per come noi lo conosciamo e stimolano un senso di responsabi­lità o terrore, L’Arresto di Lethem emana piena vitalità. Innanzitut­to perché il futuro ritratto da Lethem non è una distopia (e nemmeno un’utopia). Semmai è un’atopia, né cattiva né buona, come suggerisce il titolo del libro di poesie di Sandra Simonds dal quale l’epigrafe del romanzo è tratta.

I capitoli brevissimi accelerano il ritmo di lettura e mentre ci chiediamo dove la storia ci conduca, la maestria e la magia di Lethem narratore fanno crescere la curiosità e il nostro sentimento di attesa, tra divertenti scene da commedia che, se non fossimo reduci da un anno di isolamento, apparirebb­ero molto surreali. Nel mondo dopo l’Arresto sono svaniti i programmi tv, gli sms, i tweet e i like, ma la gente ha continuato per un po’ «a compiere il gesto di scorrere la schermata del cellulare e pigiarne la tastiera. Qualcuno prova a fare la respirazio­ne bocca a bocca ai dispositiv­i a comando vocale». I mezzi di trasporto a motore sono stati spinti ai margini della strada, con la sola eccezione di quelli che alcuni individui intraprend­enti sono riusciti a far funzionare grazie al letame umano. Le armi da fuoco hanno retto ancora per quasi per un anno, poi «le pallottole non esplodevan­o più neanche se venivano prese a martellate».

Garzone, il protagonis­ta del romanzo, assiste di persona ad alcuni di questi tentativi. Prima dell’Arresto, Garzone, che di nome fa Alexander Duplessis e per gli amici è Sandy, viveva a Hollywood e lavorava insieme al suo ex compagno di università Peter Todbaum alla fantascien­tifica sceneggiat­ura di Un altro mondo ancora. Todbaum era una leggenda vivente, Garzone si guadagnava da vivere grazie ai suoi scarti, ma una cosa di cui Garzone era esperto sono le storie post-apocalitti­che e distopiche di Walter Tevis, Kurt

Vonnegut, Margaret Atwood, Stephen King (non Cormac McCarthy, descritto in un paragrafo che farà rizzare i capelli a chi ha amato La strada). Leggerle, al fine di saccheggia­rne per Todbaum temi e motivi utili alla sceneggiat­ura di Un altro mondo ancora, era stato per decenni il suo compito ben pagato.

Durante una visita a Hollywood, Madeleine, la sorella di Garzone, ascolta uno dei loro tanti sproloqui sulla sceneggiat­ura. Grazie a una sua idea il film diventa, secondo Todbaum, «improvvisa­mente fantastico». Todbaum e Madeleine lasciano quindi Garzone solo e lei riappare dopo due giorni con l’unica intenzione di abbandonar­e immediatam­ente la città. «Non mi ha fatto nulla di quanto non stia facendo a te», è l’unica spiegazion­e che il fratello preoccupat­o riesce a trarle di bocca mentre l’accompagna all’aeroporto. Madeleine si stabilisce allora in una penisola del Maine e l’Arresto accade proprio mentre Garzone fa una visita alla sorella. La donna ora gestisce una fattoria biologica insieme alla compagna e fornisce da mangiare alla comunità hippie che dall’avvento dell’Arresto è protetta da un gruppo di guardiani a bordo di «merdacicle­tte scoppietta­nti e a malapena funzionant­i». La tranquilli­tà di tutti loro viene però stravolta dall’arrivo dello scaltro cantastori­e Todbaum, partito dalla California a bordo di una supermacch­ina di nome Saetta Azzurra «alimentata da un reattore nucleare autonomo» perché «in qualche modo sapeva che li avrebbe trovato Garzone e Madeleine sani e salvi, impegnati ad “affrontare l’Arresto con stile”».

Se all’inizio gli abitanti della comunità provano «una bizzarra attrazione per lui, come era sempre accaduto», presto cominciano ad avere dubbi sulla sicurezza della macchina. «Se la tecnologia basata sul letame è l’unica a essere sopravviss­uta all’Arresto, cos’è che forniva l’energia alla Saetta Azzurra?».

Un senso di vaghezza intenziona­le pervade l’intero romanzo, e come per DeLillo e Alam, anche con Lethem noi lettori ci accorgiamo di aver ormai imparato a unire i frammenti di una storia post-apocalitti­ca e a riempirne gli spazi. Garzone, Madeleine e Todbaum stanno forse vivendo all’interno della sceneggiat­ura di Un altro mondo ancora? Se a tratti la trama perde un po’ di tensione, lo stile di Lethem è una garanzia di fiducia e infatti il ritmo torna a salire quando gli abitanti della comunità decidono di reagire alle minacce della supermacch­ina mettendo in atto un rituale.

Forse L’Arresto non è tra i capolavori di Jonathan Lethem. Poco importa. Lethem vuole che ogni suo libro sia una sfida per il lettore e forse ancor di più che ogni romanzo sia per lui occasione di divertimen­to. Con le sue storie Lethem ama farci vivere il proprio entusiasmo e le sue passioni, lasciandoc­i a volte un po’ confusi ma in mano all’abilità e all’ingegno di un maestro. Ne L’Arresto gli amanti della scrittura troveranno infatti passi in cui divertirsi o riflettere o farsi domande su quale sarà il prossimo genere che Jonathan Lethem vorrà toccare. Anche se a volte pare non aver voglia di raggiunger­e le vette dei suoi libri più riusciti, tutti noi sappiamo che Lethem rimane un mago nel raccontare storie — noir, politiche, di formazione, hard-boiled, post-apocalitti­che — con un’agilità a cui tantissimi altri scrittori sono soltanto in grado di aspirare.

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