Corriere della Sera - La Lettura
È soltanto alla fine che sboccia l’inizio
Il libro La regista che ha fatto conoscere l’opera di Tempest in Italia ne legge i nuovi versi
Una delle voci più potenti della scena inglese è tornata. E lo fa conturbandoci, sorprendendoci. Tutta la notte sveglia a pensare a te è la prima poesia della nuova raccolta di Kae Tempest. «Perfino la pioggia era silenziosa/ Gli alberi trattenevano il fiato/ In nessuna bocca c’erano parole degne d’essere dette»: il rituale inizia con la messa in discussione della capacità stessa delle parole. Poco dopo, nel cuore dei versi, con una lunga anafora ci viene raccontata la vocazione per cui chi scrive venne al mondo. Se in Resta te stessa era per stare vicino ai fantasmi, per essere tempesta, qui dichiara d’essere «nata per sanguinare/ nata per amare/ nata per gradi/ nata e rinata e nata ancora in te come tu eri nata in me». C’è un femminile scelto e consapevole nell’intensa traduzione di Riccardo Duranti: Un arpeggio sulle corde (e/o) è infatti un testo del 2018 quando a scrivere è Kate che non ha ancora manifestato la sua transizione in Kae. Accadrà poi nell’estate del 2019 quando, come Tiresia che vuole restare sé stesso, ogni sé stesso che è stato, Tempest sceglierà una metamorfosi non binaria ma a favore di un they inclusivo.
Un arpeggio sulle corde è un libro sull’amore, una raccolta di poesie erotiche che si ricongiunge alla tradizione più spudorata e sensuale. Vibra dell’amore tra donne: pastoso, passionale, discontinuo e della crescita di una ragazza attraverso inquietudini, piaceri e solitudini. «Ci vorrà distanza, ma poi i nostri corpi dimenticheranno» dice in Non ora ma presto, ma poi l’oblio sembra non appartenere a queste pagine. Si espande ovunque un senso di mancanza, e a noi non resta che tacere di fronte a questo tentativo vano di riempire il vuoto. La solitudine non s’incarna nella presenza di una sola ma è scandita dall’assenza dell’altra. Tutto è pervaso dal posto vacante lasciato da lei — «vedo la forma del tuo corpo in ogni ramo nudo» (Tenersi occupate) — che rende il mondo intero insopportabile, in un’atmosfera generale che ricorda, in più occasioni, i versi di Ghiannis Ritsos nel suo Erotica.
Corpi femminili si addensano nella lontananza, per Tempest, ancora una volta crescere fa male, avviene in mezzo a perdite e segreti, avviene tra donne che si amano e si feriscono. È come se l’arpeggio del titolo trovasse forma nel silenzio dell’attesa. I versi riempiono il profilo dell’altra, le note sono assordanti: «Ti cerco ma sei sparita/ Chi è questa gente? /Dove sono i bambini che volevo portare in grembo per rendere entrambe donne?». Il tempo viene di continuo scardinato, preso in giro, per tornare a sé stesse, un finto tiranno. Si parte da La fine, prima sezione dell’opera, per passarea Nel mezzo (seconda sezione) e finire con Inizio (terza). Ma dentro si muove un altro tempo, di continuo irriverente. Cosa c’è del resto di più queer della sovversione della linearità? Della ricomposizione della propria storia come se si potesse davvero manipolarla? La voce di Tempest si staglia potente per le vie della città, nei boschi urbani, sussurra nei camerini, nei pub, nelle case di coinquiline ed è sempre carnale, una mappatura ininterrotta dei propri desideri, delle miserie e delle potenze che sappiamo generare, del dolore dei nuovi inizi.
La seconda parte del libro, Nel mezzo turba ancora una volta l’ordinario: è un luogo abitato da amore che muta in ferocia, da mancanza che si trasforma in scoperta, cinismo che si alterna a piacere «Vivevo alle tue calcagna come un cane/ Cantavo il tuo nome e ti credevo Dio e ogni volta che mi ammazzavi ci godevo/ Ma ogni parte che ammazzavi la scordavo».
Qualcosa cambia, una nuova consapevolezza volge il suo sguardo altrove. «Primavera riluttante del mio amore», la chiama così, in una delle liriche più significative del libro, Voglio cominciare qualche cosa. Devo cominciare qualche cosa. In originale ha un titolo che rimanda a una nota canzone di Michael Jackson («You want to be starting something, you got to be starting something») in un gioco di rimandi tipico dell’hip hop e che qui in particolare si annoda al remix di Method Man dei Wu Tang Clan e Mary J. Blige del pezzo
You’re All I Need to Get By di Marvin Gaye, pezzo innamorato e sensuale. Perché il corpus di Tempest sembra quasi una rete di collegamenti e rimandi, dove la cultura pop viaggia sempre accanto a qualcosa di antico e questa scrittura così corporea, primigenia, tiene insieme Saffo e Audre Lorde, in piedi, con un microfono stretto tra le mani.
Inizio, la terza e ultima sezione del libro, è dedicata al ritrovato amore. Il tempo, infatti, in Un arpeggio sulle corde non va a ritroso, ci conduce dal dolore alla gioia, verso la comprensione di cosa sia l’amore. Torna il quotidiano ma luminoso risveglio con Alice Coltrane di sottofondo e musica araba e francese; la scrittura cinematografica di Tempest si fa dirompente nei fotogrammi di una vita riscoperta. Ci sono lenzuola nuove, foreste e radici di alberi, premestruo condiviso e comete. C’è un laghetto e accanto risate preregistrate. C’è il nome di lei che «come un uccello cercava di spiccare il volo» dalla sua gola. C’è l’amore ferocemente vivo come in un pezzo di Bob Dylan. Il dolore è al tempo passato.
Un arpeggio sulle corde è una citazione da Gente di Dublino di James Joyce, viene dal racconto Arabia, che del resto parla della passione timida e non risolta di un ragazzo per una ragazza, parla di un rincorrersi amoroso che sembra essere sempre al centro delle opere di Tempest e del suo sguardo plurale e in continua metamorfosi. Come per il protagonista nel racconto di Joyce, anche in questi versi l’affermazione di sé passa attraverso la scoperta del limite tra i nostri sentimenti e il mondo. La dimensione di questo arpeggio è su corde delicate, private, la spoken word si attenua. Non c’è bisogno di leggere ad alta voce come in Antichi nuovi di zecca (2013), cade il filtro di una (o più) alterità presente in Resta te stessa (2014).
Stavolta c’è un’esposizione personale senza maschere, la poesia prende le sembianze del diario di una ragazza lesbica che tra tenacia e spaesamenti diventa adulta. «Il che non vuol dire che non siamo nuove/ Tu non sei lei/ Questo non è allora» sono i versi finali dell’ultima poesia da cui prende il titolo questo prezioso libro.
«Un arpeggio sulle corde»
La raccolta ha un titolo ispirato a Joyce e conduce dal dolore alla gioia, verso la comprensione dell’amore