Corriere della Sera - La Lettura
Blitz negli atenei Usa «Greco e latino razzisti»
La Howard University di Washington (da cui uscì Toni Morrison) chiude la facoltà di Lettere antiche. A Princeton ci si può laureare anche senza conoscere le lingue classiche, ma usando le traduzioni Gli istituti sostengono che le due materie sono legate al colonialismo e al suprematismo bianco. Ma c’è chi si oppone: «Bisogna aggiungere, non sottrarre. Invece di combattere il razzismo, si rischia di promuoverlo»
Adodici anni, schiavo in una piantagione del Maryland, l’abolizionista Frederick Douglass leggeva Cicerone e altri testi antichi. E quando li leggeva, diceva, non si sentiva più uno schiavo: la sua mente era libera. Più di un secolo dopo, nella Lettera dal carcere di Birmingham (1963), Martin Luther King sottolineava l’importanza della disobbedienza civile di Socrate, senza la quale, notava, oggi non ci sarebbe libertà accademica.
Oggi, però, per gli studenti afroamericani e non, studiare i classici latini e greci è sempre più difficile. Qualche settimana fa, la facoltà di Lettere antiche dell’Università di Princeton, sottolineando come queste siano invariabilmente legate alla supremazia bianca e al colonialismo, ha varato una riforma che elimina l’obbligatorietà dello studio delle lingue latina e greca. Non solo una loro conoscenza di base non sarà più un prerequisito per accedere ai corsi di laurea (in precedenza ne era richiesto un livello almeno intermedio), ma gli studenti potranno laurearsi in Lettere antiche anche senza dover mai studiare le lingue classiche: basterà leggere i testi in traduzione.
Una riforma che, sebbene già avanzata in passato, ha subito un’accelerazione dopo la «chiamata alle armi», un anno fa, del presidente Christopher L. Eisgruber per abbattere il razzismo sistemico all’università. Ufficialmente, secondo l’ateneo, il provvedimento che rimuove i requisiti linguistici mira a spingere più studenti ad accostarsi alle Lettere antiche. Una dichiarazione sul sito della facoltà, però, fa luce sulle reali motivazioni. «Il nostro dipartimento», si legge, «testimonia il ruolo delle Lettere antiche nel razzismo sistemico. È alloggiato in un edificio intitolato allo schiavista Moses Taylor Pyne, arricchitosi grazie alle piantagioni di zucchero. La stessa ricchezza che ha permesso l’acquisto delle iscrizioni romane che decorano la biblioteca. E poco lontano, un testo di Cicerone completa la statua dell’anti-abolizionista John Witherspoon. Condanniamo il razzismo che ha reso la nostra facoltà e la nostra area di studi inospitale a studenti neri e di colore». Animatore del cambiamento è il docente dominicano Dan-el Padilla Peralta, secondo cui la produzione letteraria bianca è radicata nei classici latini e greci, che sembrano quasi disegnati, sosteneva, per sconfessare la legittimità degli studiosi di colore. Tanto che, in una recente intervista al «New York Times», Padilla ne suggeriva l’abolizione.
Uno dei più accaniti critici dei nuovi provvedimenti è il linguista afroamericano della Columbia University John McWhorter, che già in un paio di testi aveva messo in guardia dai pericoli di un certo vittimismo etnico. «Invece di combattere il razzismo — spiega a “la Lettura”
—, Princeton, al grido di “Uguaglianza! Uguaglianza!”, rischia di promuoverlo». McWhorter nota che espressioni usate dall’ateneo per indicare i nuovi studenti che intende attirare con l’eliminazione dei requisiti linguistici — da «comunità intellettualmente vivace» a rappresentanti di «una grande varietà di prospettive ed esperienze» — sono eufemismi per studenti neri e di colore. «L’università sostiene che sarebbe razzista aspettarsi che questi studenti imparino il latino e il greco. È vero il contrario. Princeton ci sta dicendo che il latino e il greco sono troppo difficili per gli studenti neri. O invece dobbiamo supporre che studenti neri del XXI secolo abbiano competenze uniche in quanto discendenti dagli schiavi per discutere di schiavitù nelle civiltà greca e romana? Il sociologo afroamericano W.E.B. Du Bois, che insegnò latino e greco in un’America molto meno illuminata, rimarrebbe sconcertato. Soprattutto, eliminando i requisiti linguistici, Princeton crea una sottoclasse di laureati che verranno giudicati in base alle loro scarse competenze, e quindi esclusi dal mercato».
Per McWhorter, le Lettere antiche sono così intessute nella storia, nella vita e nella cultura americane «che cancellarle vorrebbe dire cancellare una parte di noi. Se elimini il latino e il greco, non puoi comprendere la Costituzione americana, il motto degli Stati Uniti («E pluribus
unum») e quelli delle forze armate, le sigle delle confraternite studentesche».
Dello stesso tenore le proteste contro la decisione, ad aprile, della Howard University di Washington, D.C., alma mater di Toni Morrison, Zora Neale Hurston e Ta-Nehisi Coates nonché della vicepresidente Usa Kamala Harris, e unico fra gli atenei storicamente neri degli Stati Uniti a vantare una facoltà di Lettere antiche, di eliminarla, adducendo ragioni commerciali e di marketing. All’indomani dell’annuncio, mentre una petizione raccoglieva oltre cinquemila firme tra studenti e docenti, il filosofo afroamericano Cornel West, in un editoriale sul «Washington Post», definiva la decisione «una catastrofe spirituale». A West aveva risposto lo stesso ateneo, osservando che mentre Harvard, dove West insegna, e altre università Ivy League che hanno guadagnato direttamente o indirettamente sulla pelle degli schiavi, vantano risorse finanziarie per decine di miliardi di dollari, Howard supera appena i 700 milioni, ed è costretta a fare scelte difficili sulla base del rapporto costi-benefici, della popolarità dei corsi e della propria missione.
Provvedimenti che preoccupano anche Mary Norris, storica correttrice di bozze del «New Yorker» che nel suo secondo libro, Greek to Me (Norton, 2019), illustra come il greco antico influenzi l’inglese moderno. «Moltissime parole inglesi d’uso comune, da poem (poesia) a
museum ,a mnemonic, derivano dal greco antico», ricorda a «la Lettura». «Cancellare, come fa Princeton, lo studio delle Lettere classiche perché gli antichi erano maschi bianchi il cui pensiero non è rappresentativo dell’esperienza delle persone di colore è miope. Invece di costruire qualcosa di nuovo, l’università, che vanta peraltro un eccellente dipartimento di greco moderno, rischia di distruggere le fondamenta di un’istituzione di grande valore intrecciata a molte altre ere e culture». E aggiunge: «I classici latini e greci sono classici perché straordinari. È incredibile quanto siano vive queste lingue che definiamo morte. Non è solo quante parole inglesi derivino dal greco antico, ma anche quanto è espressivo il greco antico. L’ultimo decennio ha visto una moltitudine di traduzioni inglesi di Omero: per certi versi, un nuovo Rinascimento. E sì, le traduzioni sono importanti, ma non hai realmente vissuto finché non hai gustato il testo originale. Leggendo Platone in greco, ci rendiamo conto che nessuna traduzione può rendergli giustizia. Gli antichi greci non erano antichi, sono contemporanei. Le loro voci sembrano le nostre. Leggerli in lingua originale li riporta in vita, trasforma le statue in carne e ossa. Una traduzione difficilmente lo fa. Se letterale, il risultato è rigido. Se libera, da Socrate che parla in slang a Omero che sembra un musicista country, rischia di suonare troppo disinvolta e falsa».
Conoscere il latino e il greco, poi, mette al riparo da strafalcioni. Come quello in cui è incorso il gigante dell’abbigliamento sportivo Nike che, volendo omaggiare la dea della vittoria da cui prende il nome in lettere greche nelle nuove sneaker Air Force 1, ha usato il pi greco come fosse una N e il sigma al posto della E. Scrivendo «PIKS» invece di «NIKE».