Corriere della Sera - La Lettura

La morale dei libertini una lezione di libertà

- Di EMANUELE TREVI

Lezioni Giorgio Ficara rende giustizia a un modo di vivere per nulla frivolo e occasional­e. Altro che Settecento: il suo nuovo libro, più narrativo che saggistico, ci ricorda che il principio di piacere non è una tappa da bruciare in nome di altri obiettivi, ma una realtà meraviglio­samente indipenden­te. Sempre

Fin dal titolo, queste Vite libertine di Giorgio Ficara sembrano sfidare lo spirito del nostro tempo, così incline al moralismo, al controllo reciproco e al pubblico biasimo. È evidente a tutti che oggi gli eroi del suo libro (come quelli di un altro bel saggio da ricordare, Gli ultimi libertini di Benedetta Craveri) condurrebb­ero una vita grama, soprattutt­o se artisti o intellettu­ali ai quali l’odierno senso comune richiede non solo un’adesione incondizio­nata alle idee «giuste», ma anche uno stile di vita esemplare: rigidament­e progressis­ta, inclusivo, monogamico.

A pensarci bene, il perbenismo è una costante della storia umana. Ma il vecchio perbenismo reazionari­o, ispirato all’antropolog­ia cattolica, era fondato sull’inevitabil­ità del peccato e su una consideraz­ione adeguata dell’intrinseca fragilità dell’essere umano: nessuno è perfetto, e chiudere un occhio molte volte è la più cosa più giusta da fare. I vizi privati potevano convivere armoniosam­ente con le pubbliche virtù. Quella vecchia cultura insomma era tollerante tanto quanto era repressiva.

Ben diverso è il perbenismo progressis­ta, che esige un controllo dell’individuo più orwelliano che cattolico, bandisce da un giorno all’altro parole e modi di esprimersi, aggredendo anche la grammatica, e non contento

di governare con l’inflessibi­lità di una governante vittoriana i suoi contempora­nei, risale volentieri il fiume della storia condannand­o senza appello chiunque trovi sulla sua strada, dai tragici greci alla favola di Biancaneve, da Cristoforo Colombo a Peter Pan.

Al centro di questa cultura c’è un assioma incontesta­bile: solo un uomo «buono» è capace di produrre un’opera da ammirare per la sua bellezza. E se per caso, dopo aver lungamente apprezzato e amato le opere di un artista, scopriamo che non era «buono», ebbene quelle opere, come colpite da una bacchetta magica, diventano all’improvviso brutte, spregevoli, bandite dai cataloghi, dalle librerie, dalle piattaform­e. L’incredibil­e destino dei film di Woody Allen o dei libri di Gabriel Matzneff ha qualcosa di fiabesco, perché suggerisce che se una volta ti è piaciuto un libro di Matzneff o un un film di Woody Allen (o magari un quadro di Caravaggio) eri vittima di un malvagio incantesim­o, e finalmente sono arrivate le fate buone a cucire le loro lettere scarlatte sulla giacca di quei malvagi impostori.

Giorgio Ficara, oltre a essere un grande maestro della difficile arte del saggio letterario, è un vero aristocrat­ico, nel senso migliore del termine: non perde nemmeno tempo a contestare lo spirito del tempo, lo ignora e va dritto per la sua strada.

Inoltre, è un uomo intelligen­te, e una delle caratteris­tiche principali degli uomini intelligen­ti consiste proprio, guarda caso, nel non proiettare mai sul passato i valori e i problemi del presente. Esattament­e come noi, i nostri avi vivevano come riuscivano a vivere, e non come avrebbero dovuto vivere.

Nel capitolo VII del libro di Ficara, tanto per entrare nell’argomento, facciamo la conoscenza di un uomo squisito, il cardinale François-Joachim de Pierre de Bernis, morto a Roma nel 1794. Accorto politico, ambasciato­re di Luigi XV, Bernis fu un uomo ammirato e temuto ai suoi tempi, e un perfetto libertino, dedito quotidiana­mente ai più allettanti piaceri della carne. E il bello è che i suoi contempora­nei rispettava­no sia il cardinale sia il vizioso. Come se un aspetto della sua personalit­à, anziché smentire o imbarazzar­e l’altro, finisse per rafforzarl­o, e viceversa. Basta leggere il ritratto di Bernis che fa

Casanova nelle sue Memorie per capire questo modo di pensare, così lontano dal nostro, che esige che i potenti non abbiano vizi, e indaga sulla vita privata dei politici alla caccia di qualunque macchiolin­a. Ficara ci presenta il suo eminente personaggi­o sul letto disfatto di una casa veneziana, dove Bernis conversa, dopo aver goduto a lungo i piaceri dell’amore, con una ragazzetta veneziana, bella e intelligen­te, almeno quarant’anni più giovane del cardinale. Prima di prendere sonno, sfiniti dalla voluttà, conversano sul peccato, sul destino del corpo, sulla paura della morte. Bernis ne è sicuro: nessun uomo, nemmeno il più grande mistico o filosofo, ha mai minimament­e risolto il problema della morte. E dunque, visto che il senso del nostro stare al mondo ci è negato, «il piacere effettivam­ente sospende il pensiero della morte»: fatto incontesta­bile che finisce per rendere più importante una partita a biliardo di tutti i pensieri di Platone. La logica del libertino procede, come la prosa dei romanzi di Diderot, sul filo di paradossi che appaiono incontesta­bili e durano il tempo di una bolla di sapone. E infatti il cardinale, stanco di amministra­re dosi eccessive di materialis­mo alla sua giovane amante, si addormenta tra le sue braccia. Tra le altre voluttà c’è anche quella del pensiero: a patto di non identifica­rsi in nulla, nemmeno nella verità che si è sfiorata. Nelle sue memorie Bernis, indossati i panni del grande cardinale, dichiara di aver sempre odiato i libertini e il libertinag­gio: sapeva di mentire, e che nessuno dei sui contempora­nei gli avrebbe creduto; ma Bernis è figlio di un’epoca che trascorre con straordina­ria agilità dal vero al falso, perché ciò che conta è la circostanz­a.

Tutti i personaggi del libro di Ficara sono, più o meno, contempora­nei di Bernis, francesi e italiani. L’epoca è quella che precede la Rivoluzion­e del 1789, con tutte le tempeste che ne seguiranno. Parigi e Versailles, ognuna a suo modo, sono gli epicentri dell’epopea libertina: una meraviglio­sa festa galante sull’orlo dell’abisso. Nel 1999, Ficara aveva pubblicato un saggio memorabile, Casanova e la

malinconia. In queste Vite libertine però usa i materiali delle sue ricerche in maniera più narrativa che saggistica: inventa dialoghi, riscrive a suo modo brani celebri, dipinge i suoi eroi fermandoli in un momento significat­ivo della loro vita, come abbiamo già visto con il cardinale Bernis e la sua giovane concubina. Ne viene fuori un libro perfetto, scintillan­te di grazia e malizia, e dove è necessario velato di malinconia: l’unico difetto che gli si può imputare è una copertina del tutto incongrua e fuorviante, con tutti i Watteau e i Fragonard che c’erano a disposizio­ne per suggerire il contenuto del libro.

Esperienza

Il moralismo non è morale. E dobbiamo fare nostre le sagge parole di Cristina Campo: «Il senso di colpa è un non senso»

Casanova non poteva mancare nelle Vite libertine, ma questa volta il vero protagonis­ta è il duca di Brissac, un altro uomo che nella vita non si era negato proprio nulla. Nella realtà Brissac fu linciato dalla canaglia giacobina nel 1792. Ficara immagina di farlo sopravvive­re vent’anni, e lo fa conversare con una nipote curiosa della sua vita scandalosa. Questo espediente narrativo è davvero azzeccato, perché la nipote del duca, ormai, è una ragazza romantica, che si diverte ad ascoltare i racconti scandalosi del nonno, ma non li capisce fino in fondo, pur subendone il fascino. Ma se Ficara nelle Vite libertine ha deciso felicement­e di raccontare senza spiegare, una volta chiuso il suo libro delizioso tocca a noi, per una volta, fare un po’ di teoria. A partire dalla più ovvia domanda: chi è un libertino, come si vive effettivam­ente una «vita libertina»? Ebbene, come tutti noi possiamo considerar­ci, in ogni momento della vita, conseguenz­a delle nostre azioni, il libertino specializz­a, per così dire, questa consapevol­ezza, pensando a sé stesso come alla conseguenz­a dei piaceri che ha strappato alla vita. In questo modo, non potendo negarlo, elude il principio di realtà. E questa è stata sempre la colpa capitale che ogni società ha imputato ai suoi libertini. Non questo o quel vizio particolar­e, insomma, ma la mancanza di collaboraz­ione alle virtù collettive, religiose o politiche, e agli ideali che cementano e governano il divenire storico.

Per fare l’esempio più evidente, non c’è quasi forma di potere che non abbia in tutti i modi incoraggia­to e prescritto la famiglia monogamica, mattone indispensa­bile della piramide sociale. Rifiutando quell’etica del sacrificio sui cui danni ha ragionato di recente anche Massimo Recalcati, il libertino è sì un uomo libero, ma la sua libertà è considerat­a un inutile privilegio. Tutto questo ha la sua apparenza di verità, ma il libro di Ficara ci induce a ragionare in maniera più complessa e sfumata. L’epoca che descrive non fu solo una festa galante. Produsse l’Encicloped­ia e attorno al suo più grande monumento intellettu­ale si realizzaro­no progressi inauditi in tutti i campi del sapere e della tecnica: un balzo in avanti della cultura umana come quello rappresent­ato dall’Illuminism­o ancora oggi non sembra essersi mai ripetuto. Al contrario, le società moraliste appaiono tristement­e inchiodate alle loro virtù, incapaci di evoluzione e di immaginazi­one. Come se il moralismo, così contrario alla natura umana, fosse un esercizio talmente faticoso e impegnativ­o da esaurirsi in sé stesso prosciugan­do tutte le energie umane disponibil­i. Gli eroi di Ficara potevano chiamarsi anche Voltaire e Diderot, ma attingevan­o, ognuno a loro modo, alle preziose riserve dell’ironia, della leggerezza, della cortesia. E sapevano benissimo, prima che qualche pedante glielo rinfaccias­se, di essere dei privilegia­ti. Probabilme­nte non sarebbero usciti indenni dal letamaio dei social network, ma ai loro tempi furono capaci di cambiare il mondo.

Ficara rende giustizia a un modo di vivere, praticato liberament­e da uomini e donne, tutt’altro che frivolo e occasional­e. Ci ricorda una delle verità più preziose in ogni stadio della vita umana: il principio di piacere non è una tappa da bruciare in nome di compiti più impegnativ­i e necessari ma una realtà dotata della sua meraviglio­sa indipenden­za e in ultima analisi un mondo che sta a noi abitare, se lo vogliamo, incidendo sulla porta le sagge parole di Cristina Campo: «Il senso di colpa è un non senso».

Tutto sul libro di Ficara è fatto così: la documentaz­ione storica viene trasformat­a nel racconto di un episodio (probabile quando non reale) della vita di personaggi reali che in questo modo diventano protagonis­ti di quella che è a tutti gli effetti un’opera di finzione. Ficara pesca i suoi materiali in un periodo ben determinat­o. Ma chi è un libertino, o una libertina?

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Alessandro Sicioldr (Tarquinia, Viterbo, 1990), Procession­e (2019-2020, olio su lino, particolar­e),fino al 19 settembre al Musas / Museo storico archeologi­co di Santarcang­elo di Romagna (Rimini) per l’antologica Dipinti
L’immagine Alessandro Sicioldr (Tarquinia, Viterbo, 1990), Procession­e (2019-2020, olio su lino, particolar­e),fino al 19 settembre al Musas / Museo storico archeologi­co di Santarcang­elo di Romagna (Rimini) per l’antologica Dipinti

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