Corriere della Sera - La Lettura
Gigi Riva e De André: il canto degli amici fragili
Il 14 settembre 1969 il campione del Cagliari, dopo una partita a Marassi, suona a casa del cantautore, tifoso del Genoa. Una sigaretta dopo l’altra, un silenzio dopo l’altro, si scoprono ammiratori l’uno dell’altro. Federico Buffa e Marco Caronna lo ra
Èil 14 settembre 1969. Il Cagliari ha giocato a Marassi contro il Genoa. È finita 0-0 ma dopo pochi mesi la squadra di Manlio Scopigno avrebbe festeggiato l’unico, storico scudetto. Merito in gran parte di un trascinatore solitario e taciturno, «un orfano lombardo, indomito, irrequieto e soprattutto posseduto dall’istinto per far gol». Gigi Riva, il miglior marcatore azzurro di sempre. Un giocatore diverso da tutti, uno che sul pullman di ritorno dalla trasferta ai compagni che aspettavano Bandiera gialla di Gianni Pettenati faceva ascoltare Preghiera in
gennaio di Fabrizio De Andrè, la canzone scritta tornando dal funerale dell’amico Luigi Tenco. Un altro irregolare, Faber, impossibile da incasellare. Tra le altre cose, un grande appassionato di calcio, tifoso al limite dell’ossessione del Genoa. E fan di campioni fuori dagli schemi.Come Gigi Meroni. Come Gigi Riva.
Erano destinati a incontrarsi. Accadde davvero, quel giorno del 1969. Che fa da filo rosso allo spettacolo Amici fragili. Federico Buffa racconta l’incontro tra Gigi Riva e Fabrizio De André scritto assieme a Marco Caronna che ne cura la regia e le musiche live (chitarre, voci, percussioni) con Alessandro Nidi (pianoforte, tastiere); Paolo Fresu appare in video con la sua versione del brano sardo No potho reposare. Debutterà a Cagliari, dal 1° al 5 dicembre 2021 al Teatro Massimo, preceduto da una serata a Sassari il 30 novembre al Teatro Verdi e tre anteprime estive: l’8 luglio a Milano Marittima (al Ravenna Festival), il 20 a Venaria (Torino) e il 25 luglio al Castello Scaligero di Villafranca di Verona (per il Villafranca Festival).
«Provo un’attrazione fatale per Gigi», premette Buffa, giornalista e telecronista sportivo che da anni pesca dai campi di calcio, al di là del novantesimo minuto, occasioni di racconto con libri, documentari (due già realizzati su Riva), programmi tv. «Da piccolo passavo le vacanze nel comune vicino al suo, sul lago Maggiore. Sapendo che lui tornava d’estate, cosa che non ha più fatto, mi appostavo davanti casa sua con bicicletta, una Legnano gialla, e aspettavo che uscisse a fumare: ogni 20 minuti». Le sigarette scandiscono anche l’incontro con De André. Uno non è ancora campione d’Italia, l’altro ancora non ha scritto La
buona novella. Fa da tramite Peppe Ferrero, centrocampista, passato dal Cagliari al Genoa, «una carriera a portar acqua». Uno che sapeva quanto Gigi amasse quel cantautore. «Gli fa trovare un biglietto con l’indirizzo. Non è di buon umore Rombo di tuono. Quando non segna è intrattabile ma prende il taxi. Si fida dei gregari». Corso Italia 6, terzo piano.
«È l’incontro tra due anime randagie, inquiete», sintetizzano Buffa e Caronna. «Con molte cose in comune, più di quanto essi stessi immaginassero». Il rosso e il blu delle maglie delle due squadre, per cominciare. La stessa terra d’adozione, la Sardegna. L’allergia alla retorica. E caratteri speculari. «L’istinto a rovesciare l’ordine dei più forti. Un gusto e un’abitudine all’isolamento, al silenzio». Un incontro scandito dal silenzio il loro. Pochi convenevoli. La stanza in penombra, un giradischi, un valzer in sottofondo. «Occorsero parecchi whisky e innumerevoli sigarette perché i due, idoli a loro insaputa l’uno dell’altro, rompessero il ghiaccio e si sentissero accomunati da qualcosa che trascendeva il loro talento. Non parlano per un tempo indefinito». Amici fragili nasce appunto con l’ambizione di «occupare quel silenzio. Quando le parole diventano di troppo Fabrizio regala a Gigi la sua chitarra, Gigi regala a Fabrizio la sua maglia numero 11. I due si salutano, non si vedranno mai più». Riva dirà: «Sono andato altre volte sotto casa sua ma non ho più bussato, non ci siamo più incontrati di persona».
Non è stato difficile, spiega Federico Buffa, immaginare cosa potesse unirli, su quali basi costruire un’amicizia, «anche questa senza paragoni. Cementata dalla forza di due miti che vogliono vivere nascosti, palesemente nascosti, lontani dal mondo contemporaneo. Fabrizio De André prende dichiaratamente a modello l’Oblomov di Gonciarov, il campione d’inerzia che si crea il suo proprio mondo. Luigi, quando morì la madre, scomparve per tre giorni. Me lo raccontò la sorella Fausta, la persona che lo ha cresciuto e conosciuto meglio di tutti. Ha sempre avuto difficoltà a gestire la rabbia». Non a caso, sostiene, è un luogo come la Sardegna a accogliere le loro inquietudini. «Per Riva, al di là della parabola calcistica, è un vero rifugio. Con il peso del rimpianto di aver perso la madre, avrebbe fatto qualsiasi cosa per dimostrarle che cosa era diventato. E se fosse stata viva l’avrebbe portata almeno un’ora in quella terra, così lontana dalla loro e così vicina. È ancora lì che vive». Scena scarna: un tavolo, due sedie, disegni sui grandi schermi sullo sfondo, i musicisti. Due cabine telefoniche, espediente per farli parlare. «Il telefono del vento, pescato dalla tradizione giapponese della manutenzione del ricordo. Se qualcosa o qualcuno è ricordabile non è perso del tutto».
Ne entrano in scena molti di ricordi e presenze. Con un’accortezza. «Si va a toccare a una figura come De André, siamo stati attenti — precisa Caronna — a non farlo diventare uno spettacolo su Faber, l’ennesima celebrazione. Parlo da devoto, tutto è già stato fatto. Ci siamo interrogati a lungo. E anche Dori Ghezzi ci ha spinto a farlo, raccontare quel momento lì ». Con un’accurata scelta delle canzoni da inserire. «Secondo me ce ne sono alcune che Fabrizio ha scritto che parlano anche di Riva. Preghiera in gennaio era ineludibile, immaginando le facce dei compagni che l’ascoltavano sul pullman. Solo lui se la poteva permettere una scelta simile.
Crueza de mä, perché il mare, l’acqua racconta tutti e due. Anime salve, che apre lo spettacolo, ci pare il manifesto programmatico di entrambi: “Che solitudine/ che bella compagnia”». E, ancora, Fiume
Sand Creek, Hotel Supramonte. «O pure Valzer campestre di Marinuzzi perché è quello il padre mette quando nasce Fabrizio. Quel che De André avrebbe potuto dire lo scrive attraverso le canzoni. Se Gigi avesse fatto canzoni le avrebbe scritte così». Come Amico fragile: «Se vuoi potrei occuparmi un’ora al mese di te».
E poi, confermata anche da Dori Ghezzi, la passione sconfinata di De André per il Genoa. «Sui suoi diari trovi la tabella di marcia per la salvezza della squadra e di fianco gli appunti per La domenica delle
salme. Non capisci quale è il sacro e quale il profano». Le classifiche di serie A, aggiornate di domenica in domenica, le statistiche, i marcatori, le previsioni per ogni incontro. Però mai canzoni sulla squadra. «Mi coinvolge troppo», confessò. Dall’altra parte Gigi Riva, un mito anche dopo il ritiro. «Mi ha sempre affascinato come calciatore, è ovvio — continua Buffa — ma anche come ha saputo gestire la sua immagine nel mondo del pallone. La scena di lui che nel 2006 lascia il pullman della nazionale italiana diretta al Circo Massimo perché ha visto salire gente che fino al qualche giorno prima diceva che l’Italia non doveva andare al Mondiale e ora si mescola ai vincitori, dà l’idea di una coerenza di fondo difficilmente riscontrabile tra i contemporanei. Si fa dare il trolley e scompare nell’oscurità. Lo rappresenta benissimo». Una storia ricordata anche da Francesco Totti nel suo Un capitano.
Musica e calcio, giacimenti inesauribili . «Il calcio è l’esperanto del mondo, è il linguaggio comune del pianeta. Essendo uno sport inesatto ha anche la possibilità di generare risultati sorprendenti. Può succedere di tutto», conclude Buffa. Che su Amici fragili è pronto a fare una scommessa. Riva non andrà a vederlo, neanche nelle repliche sarde. «Non c’è nessuna possibilità. Nessuna».