Corriere della Sera - La Lettura
Pechino e Vaticano Le paure di Taiwan
Il Papa evita di affrontare apertamente la repressione degli uiguri e quella a Hong Kong per non compromettere il pur complicato dialogo con la Cina. E l’isola «ribelle», ormai una vivace democrazia minacciata dal regime di Xi Jinping, teme che la Santa Sede recida i rapporti diplomatici. Un fragile gioco di equilibri che attraversa anche il mondo cattolico
Inegoziatori vaticani conoscono una legge che nessuno ha scritto ma tutti, nella cerchia strettissima della Roma papale a contatto con il regime di Pechino, rispettano tacitamente: niente viaggi a Taiwan. Gli inviti del governo di Taipei arrivano regolarmente. Promettono un’accoglienza amichevole e sontuosa. E infatti, alcuni cardinali e vescovi continuano a visitare regolarmente quella nazione-modello, vetrina dell’anticomunismo, un tempo chiamata Formosa, a 180 chilometri di mare dalla Cina continentale. Ma i mediatori dell’accordo col regime di Pechino no. Sanno che scatterebbe automaticamente un ostracismo di fatto. Un viaggio in quella che l’Impero di Mezzo considera una provincia ribelle, destinata a tornare presto sotto il suo controllo con le buone o con le cattive, sarebbe visto come una provocazione. Nella propaganda del Partito comunista, è un territorio «da liberare».
«La Cina vuole costringere il Vaticano a recidere i rapporti diplomatici con Taiwan, perché sono gli unici importanti che siano rimasti al governo dell’isola sul piano internazionale». Padre Bernardo Cervellera ha lasciato dopo 16 anni la direzione di «Asianews», l’agenzia dei missionari cattolici, consegnando questo messaggio non proprio rassicurante. Ora cercherà di studiarle entrambe da vicino, prima a Hong Kong, poi, da ottobre, a Taipei per sei mesi ad affinare il suo cinese, poi di nuovo nella Cina continentale. Che Pechino sia riuscita a isolare Taiwan sul piano internazionale, e miri a farlo sempre di più, è indubbio. La lista delle nazioni che la riconoscono è scesa dalle 32 del 2000 alle 15 alla fine del 2020, ha calcolato il ministero degli Esteri australiano. E il Vaticano politicamente pesa più di tutti gli altri, essendo l’unico che si trovi in Europa. Gli altri sono Paesi come Haiti, Honduras, le Isole Marshall, il Guatemala, il Paraguay.
Quest’ultimo sta pagando il rapporto privilegiato instaurato in chiave anticomunista nel 1957 dal dittatore Alfredo Stroessner. La pandemia del Covid ha inasprito una guerra dei vaccini attraverso la quale Pechino cerca di spezzare il rapporto tra Taipei e il governo paraguayano. In più, la Cina ha fatto in modo che Taiwan fosse ostracizzata dalle organizzazioni internazionali. La sua espulsione dall’Onu risale al 1971. E sempre durante l’emergenza del coronavirus — ha sottolineato nel luglio del 2020 la «Catholic News Agency» — «il Vaticano è stato l’unico alleato diplomatico di Taiwan che non fece un appello affinché questa nazione partecipasse alle riunioni della Organizzazione mondiale della sanità», per non dispiacere a Xi Jinping. Dunque, quando i diplomatici vaticani e padre Cervellera sottolineano, da punti di vista diversi, le incognite sul futuro dell’isola, toccano un tasto sensibile.
Sotto la protezione dell’anonimato, nella Roma papale raccontano l’inquietudine crescente degli esponenti di
Taiwan in visita nella capitale del cattolicesimo. «Francesco sa che i cinesi non vogliono che incontriamo esponenti di Taipei», viene spiegato. «Anche se quando a fine 2019 è venuto a Roma per una canonizzazione il vicepresidente di Taiwan, il Papa lo ha salutato. Abbiamo avvertito Pechino e non ci sono state proteste». Ma qualcuno ha notato maliziosamente che la fotografia della stretta di mano tra Francesco e l’esponente del governo taiwanese fu rimossa dopo qualche settimana. E comunque, tutte queste accortezze finiscono per alimentare l’allarme del governo guidato dalla presidente Tsai Ing-wen, votata anche per la durezza con la quale si rapporta con Pechino.
L’atteggiamento di Tsai verso il Vatica