Corriere della Sera - La Lettura
HANNO RAGIONE GLI OGGETTI
Dalla fine del secolo scorso Graham Harman, professore al Southern California Institute of Architecture di Los Angeles, lavora a una delle teorie filosofiche più provocatorie e discusse degli ultimi anni. Ontologia Orientata agli Oggetti. Una nuova teoria del tutto (prefazione e cura di Francesco D’Isa, traduzione di Olimpia Ellero, Carbonio, pp. 240,
€ 17,50) è il libro che presenta al lettore italiano l’edificio barocco progettato da questo nomade del pensiero formatosi negli Stati Uniti sui testi di Martin Heidegger.
La «OOO» prende in parola Socrate: la filosofia non è una forma di conoscenza, ma un’inesausta e perenne tensione erotica nei confronti di una sapienza che non potrà mai essere raggiunta pienamente. Eppure, è da essa soltanto — non certo dalla fisica — che si può esigere una teoria del tutto. Forza «potenzialmente distruttiva», la filosofia allarga il più possibile il suo raggio d’azione, resiste a ogni tipo di riduzionismo e pone al centro della riflessione gli oggetti nella loro autonomia, nel loro ritrarsi a ogni tentativo di prensione. Riscopre così quella che Ortega y Gasset definì «la prima persona delle cose», una mossa pregna di conseguenze etico-politiche che spodesta il soggetto dalla posizione privilegiata che ha sempre occupato in secoli di filosofia. soltanto perché è molto economica. Vorremmo avere a disposizione materiali simili alla plastica ma senza gli impatti negativi che la caratterizzano… questo però è impossibile, perché questi sono dovuti proprio alle sue caratteristiche intrinseche. Dobbiamo fare dei compromessi e capire che i costi economici della plastica oggi non comprendono quelli ambientali, che sono elevatissimi».
Lei scrive che tutte le plastiche prodotte raggiungeranno, prima o poi, la scala nanometrica. Conosciamo gli impatti futuri di questa frammentazione?
«Ne sappiamo sempre più, ma non è ancora chiaro quali potranno essere. È un campo di ricerca molto vivo, ma siamo in ritardo. La questione è complicata. Prima di tutto ogni tipo di plastica ha un destino differente, e da questo dipende la sua pericolosità. Le variabili sono molte: in che modo si è frammentata? A quale ritmo? Che percorso ha fatto e in che modo? Quali inquinanti organici ha assorbito? Di fronte a tanti scenari è arduo stimare gli impatti su ambiente e salute umana. Sappiamo però che saranno ingenti, perché la plastica accumulata è tanta, soprattutto nei suoli, e ormai non c’è più modo di recuperarla. Sarebbe quindi opportuno fermarne subito il consumo. So bene che alcune plastiche sono necessarie, ma dobbiamo limitarci a questa ristretta categoria».
Il Covid-19 ha cambiato il nostro rapporto con la plastica?
«Sì, profondamente. In positivo e in negativo. Durante l’emergenza abbiamo usato molta plastica (mascherine, materiale ospedaliero…), ma al tempo stesso ne abbiamo ridotto il consumo perché abbiamo viaggiato meno, costruito meno oggetti, case e automobili. I periodi di lockdown ci hanno insegnato che possiamo fare a meno di molte cose. Forse questo è il primo passo verso una società a consumi ridotti. Lo spero davvero.