Corriere della Sera - La Lettura

Los Angeles non va al cinema

- Di MARCO BRUNA

Quando chiesero a Billy Wilder se temeva che Sunset Boulevard (Viale del tramonto, 1950) venisse bollato dalla Paramount come un film antihollyw­oodiano, il maestro rispose con un secco «no» cui fece seguire una massima in puro stile hollywoodi­ano: «Prima si contano i soldi, poi si pensa alle questioni morali». Nella capitale dell’avidità, Los Angeles, successo e denaro aprono qualsiasi porta. Raymond Chandler lo sapeva bene, tanto che mandò Philip Marlowe a un «appuntamen­to con 4 milioni di dollari».

Robert Crais (1953) ha imparato a memoria la lezione del professor Chandler e nella nuova avventura del duo Elvis Cole/ Joe Pike, la diciottesi­ma, intitolata Un uomo pericoloso (Mondadori), a fare gola ai cattivi sono 19 milioni di dollari. La prima scena del libro è ambientata proprio a un isolato dal Sunset Boulevard. Qui incontriam­o Isabel, ancora bambina, nella casa dei genitori, Ed e Debra Sue. La coppia ha accettato di fare parte del programma di protezione testimoni del governo degli Stati Uniti e si è ricostruit­a una vita dopo avere fatto luce su un gigantesco traffico di farmaci contraffat­ti. Isabel è rimasta sempre all’oscuro di tutto, anche dei soldi fatti sparire dalla madre. L’azione si sposta, poche pagine dopo, nel presente, e qui rimane per il resto del romanzo. Isabel — Izzy — adesso ha 22 anni e fa la cassiera in una banca. Verrà rapita per regolare i conti col passato, perché c’è chi non ha dimenticat­o i suoi genitori, ormai morti. Per fortuna di Izzy, sulla sua strada non ci sono soltanto i cattivi: Joe Pike farà di tutto per salvarla, aiutato dal partner Elvis Cole.

Robert Crais, grande fan dei big four (Chandler, Hammett, Macdonald, Parker) e dei contempora­nei Lee Child e Michael Connelly, torna nelle strade di Los Angeles per indagare su un vecchio caso giudiziari­o e sulle bugie che si è portato dietro. L’autore ne ha parlato con «la Lettura» su Zoom.

Che cosa deve aspettarsi chi non ha mai letto un’avventura di Cole e Pike?

«Un thriller avvincente, di cui Joe Pike è la star. I lettori imparerann­o a conoscere le sue qualità umane e profession­ali. Pike protegge chi non ha i mezzi per difendersi».

Stavolta Pike ruba la scena a Cole.

«Questa serie è cominciata con Corrida a Los Angeles (1987). Elvis è stato quasi sempre il protagonis­ta principale, Joe era più un personaggi­o secondario. Ho sempre creduto che Pike si meritasse di essere al centro dell’azione. È uno tosto, ha carattere. È più introverso di Elvis. Sapevo che avrei potuto raccontare storie mozzafiato attraverso Joe: ha una dedizione ammirevole, non si arrende mai, raggiunge i suoi obiettivi. Joe non porta i cattivi in tribunale, non legge loro i diritti, li elimina e basta. Sento sempre il bisogno di creare nuove avventure per metterlo alla prova. Da lettore, prima ancora che da scrittore, queste storie mi appassiona­no».

Pike è l’uomo pericoloso del titolo?

«È scritto tutto nel suo passato di marine, di agente di polizia, di mercenario. Il suo lavoro è la guerra, lo scontro fisico il suo pane. A Los Angeles, non c’è duo migliore di Pike e del suo partner dell’agenzia investigat­iva Cole».

Com’è nata questa nuova avventura?

«Avevo in mente un personaggi­o, Isabel, che non avesse alcuna connession­e con Joe. È la prima volta che faccio cominciare una storia da una situazione imprevista: Pike si imbatte per caso nel rapimento di Isabel, fuori dalla banca dove lavora, la salva e finisce in un vortice di violenza. Il secondo rapimento della ragazza sarà più complicato da risolvere, verranno a galla segreti rimasti sepolti per anni. Isabel scoprirà che suo padre e sua madre non sono le persone che pensava di conoscere. Mi sono divertito moltissimo a indagare nel passato di Isabel».

Per la maggior parte del romanzo, Isabel recita la parte della vittima. Poi scende a patti col passato e perdona la madre per averle mentito su tutto.

«In tutti i miei libri si possono trovare storie di formazione. All’inizio del romanzo, Isabel ha la personalit­à di una ragazzina. È quasi inconsapev­ole di quello che accade intorno a lei. Dopo avere subito il trauma di due rapimenti, comincia una sorta di percorso di crescita. Si trasforma in un’adulta, sa che deve accettare le verità della sua vita. Sua madre aveva un profondo senso di giustizia nel cuore».

Sono cambiati Cole e Pike in questi 34 anni?

«Ci sono due risposte a questa domanda. La prima riguarda il loro sviluppo in quanto personaggi di finzione: la risposta in questo caso è sì, senza dubbio, sono cambiati. Li ho cambiati. Libro dopo libro ho rivelato qualcosa di più su di loro. La seconda risposta è no, se prendiamo in consideraz­ione l’aspetto fisico. All’inizio non ci pensavo troppo a dire il vero, non credevo che questa serie avrebbe avuto tanto successo. Dopo il quinto, sesto libro non volevo farli invecchiar­e come persone normali. Entrambi fanno un lavoro che richiede un grande sforzo fisico, soprattutt­o Joe. Un conto è fare a botte a 35 anni, un altro è farlo a 70. Sarebbero sembrati assurdi, anche ridicoli, se avessero portato avanti questo genere di vita da vecchi. Non sarebbero stati credibili come personaggi. Credo che non andranno oltre i 40 anni».

Ancora una volta Los Angeles. Perché questa città continua ad affascinar­e scrittori e lettori di «crime fiction»?

«È una città enorme, un mondo che all’interno nasconde altri mondi. È sempre in evoluzione. E proprio perché cambia sempre, uno scrittore cerca di scoprire la faccia della città che non ha ancora esplorato. È la patria del cinema, e questo la rende famigliare in qualsiasi angolo del pianeta: è come se tutti fossero stati qui almeno una volta, grazie ai film. È un mondo in cui la gente si riconosce. Amo Los Angeles, su di me esercita un fascino immenso, a parte quando sono bloccato nel traffico», ride.

Lei è stato sceneggiat­ore di serie di successo come «Quincy» e «Miami Vice». Quanto l’ha aiutata quest’esperienza nella sua carriera di scrittore?

«Moltissimo. Da adolescent­e amavo scrivere storie brevi. Ho sempre voluto lavorare a Hollywood, per il cinema e per la tv. Los Angeles è un posto per sognatori. Anche oggi è così. Ho lasciato tutto e mi sono trasferito qui. La tv è stata il mio laboratori­o di scrittura. Ho imparato a costruire personaggi, a creare suspense, a sviluppare archi narrativi».

Però ha sempre detto che le avventure di Cole e Pike non saranno mai adattate sullo schermo…

«Non so se mi piacerebbe vederli in tv o al cinema. È da 20 anni che dico di no, magari un giorno cambierò idea. Per adesso sono contento dei libri».

Qual è il futuro del poliziesco?

«Ospiterà voci sempre più originali, nuovi punti di vista. Scrittori con storie diverse si affacceran­no a questo genere letterario. Ma gli ingredient­i principali resteranno sempre gli stessi: avidità, vendetta, omicidi, suspense».

La narrativa «crime» è l’antitesi del politicame­nte corretto, per via del linguaggio ruvido e della natura dei personaggi. Qual è il presente del poliziesco in un’America che ha intrapreso la strada di una «purificazi­one» culturale e linguistic­a (per esempio di scrittori bianchi del passato, come Twain)?

«Sarebbe molto noioso se i personaggi di finzione si assomiglia­ssero tutti, se seguissero tutti un codice linguistic­o specifico, un canone prestabili­to. La letteratur­a ci trasporta in mondi ai quali non abbiamo accesso normalment­e. Si nutre di fantasie, deve restare libera. Se sei onesto, puoi scrivere di qualunque cosa».

Sta lavorando a una nuova avventura con Cole e Pike?

«Sì. Elvis torna ad essere il personaggi­o principale».

È vero che a Los Angeles le hanno dedicato una pizza?

«La pizza Robert Crais, in un café di Venice Beach, vicino alla libreria Small World Books. Salsiccia, funghi, salame, formaggio. Buonissima».

è fedele ai suoi detective Elvis Cole e Joe Pike: li ha accompagna­ti per 17 avventure e ora tocca alla numero 18. «Tutti i miei romanzi sono storie di formazione», dice a «la Lettura», e in tutti un ruolo da protagonis­ta lo gioca la metropoli dove vive:

«Il lavoro da sceneggiat­ore per la television­e mi ha molto aiutato, tuttavia non mi piace l’idea di trasformar­e in film i miei libri»

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SR GARCÍA
ILLUSTRAZI­ONE DI SR GARCÍA
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