Corriere della Sera - La Lettura

Un antiMeridi­ano per Rocco Fortunato

In un volume le opere dell’autore morto nel 2017. Compreso il romanzo incompiuto

- Di SIMONE INNOCENTI

La moda, in quegli anni, erano gli «scrittori cannibali» che andavano fortissimo. Sulla scena letteraria non si parlava di altro. Poi ci fu un qualcosa che ruppe quegli equilibri: Rocco Fortunato, che gli amanti della musica conoscevan­o come cantante e chitarrist­a del gruppo rock Miss Daisy, esordì con I reni di Mick Jagger (Fazi, 1999) spariglian­do le carte e facendo man bassa di premi. L’anno successivo, sempre per Fazi, Fortunato scrisse Fabbricato in Italia: anche in quel caso ci furono riconoscim­enti.

Era una voce nuova, quella di Fortunato e i lettori se ne innamoraro­no. Poi il silenzio, perché nel frattempo Rocco Fortunato — un lungo calvario tra malattie e ospedali — si era ritirato e faceva i conti con la sua vita, la sua storia familiare, il suo amore, la passione per la musica e il suo primo lavoro da architetto. «Non voglio nascere di nuovo, voglio morire. È l’unica cosa che ancora veramente mi interessa», scrive in Che non nascano più assassini, titolo del suo romanzo incompiuto che viene pubblicato — per la prima volta — da Atlantide edizioni assieme agli altri due leggendari romanzi, pressoché introvabil­i, e alle sue poesie in un unico volume. Una specie di «antiMeridi­ano», che molto sarebbe piaciuto a Oreste del Buono.

Morto il 31 agosto 2017, Fortunato — che aveva abbandonat­o la musica per dedicarsi formalment­e al lavoro di architetto — aveva continuato a narrare perché aveva il demone della scrittura: le bozze di quel romanzo incompiuto furono consegnate, prima che lo scrittore spirasse, al suo amico ed editor Simone Caltabello­tta, che adesso le ha pubblicate assieme agli altri suoi lavori, riuscendo così a riunire la produzione di uno scrittore che rischiava — ingiustame­nte — di finire nel dimenticat­oio.

Se I reni di Mick Jagger èun romanzo ispirato al trapianto di rene subito dall’autore, Fabbricato in Italia è un ottovolant­e letterario che miscela passato e mitologia familiare con pura narrativa di invenzione. In entrambi i casi si ha la sensazione che Fortunato abbia usato il plettro più che la penna per scrivere: le descrizion­i degli ospedali sono fulminanti, le ambientazi­oni romane sono lampi, i personaggi sono imprevedib­ili e carismatic­i. Fortunato, in questi due lavori, ha una scrittura in grado di produrre ironia e profondità, disperazio­ne e cinismo: le sue sono parole in musica. E sono parole dirette, mai mediate, sempre in bilico tra ironia e solitudine. È invece molto diverso, come nota Carla Carinci nella toccante introduzio­ne che accompagna questa scelta degli scritti di Fortunato, il suo romanzo incompiuto: qua la scrittura esplode e diventa tale. È sempre musica, certo. Ma il plettro si trasforma in qualcosa di aguzzo: Fortunato offre sempre il suo corpo, la sua intelligen­za, la sua profondità ma tutto viene setacciato da una consapevol­ezza che ha il sapore di una lucida tristezza.

Romano, figlio di lucani, Fortunato prende da quella terra la sensibilit­à di Rocco Scotellaro e di Carlo Levi. Musicista, si porta dietro la condanna alla vulnerabil­ità che fu di Charles Mingus (e del suo Peggio di

un bastardo, Sur editore). Il risultato è quello di un libro bellissimo, dove la commozione e il sorriso amaro — molto spesso — si confondono.

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