Corriere della Sera - La Lettura

In Islanda ho fatto pace con il sogno americano

- Di MICHELE PRIMI

In «Boy From Michigan» il cantautore John Grant ripercorre al contrario la fuga dalla provincia e torna alla «gioia per le cose semplici»

Il ragazzo del Michigan, John Grant, cantautore americano nato nel 1968 a Buchanan, 4 mila abitanti nella grande provincia americana, interprete di intense ballad in bilico tra dannazione e redenzione, oggi vive sulla costa dell’Islanda, vicino a Reykjavík. «Qui lo spazio mi permette di respirare, mi sento accettato», dice a proposito del Paese che ha scelto come casa e in cui ha registrato il suo quinto album, Boy From Michigan, uscito il 25 giugno per l’etichetta Bella Union (la cover è la seconda foto dall’alto, gli altri ritratti sono di Hörður Sveinsson). «L’Islanda mi ha salvato la vita».

La storia personale e artistica di John Grant è una lunga battaglia contro l’intolleran­za, il conformism­o e quella che definisce «la normale follia della società americana in cui sembra possibile adorare allo stesso tempo Gesù e Hitler», raccontata attraverso cinque album di canzoni struggenti e profonde tra folk, synthpop e indie rock (a cui si aggiungono i sei dischi pubblicati tra 1995 e 2004 come frontman della band The Czars), in cerca dell’accettazio­ne definitiva di sé stesso. Cresciuto a Buchanan in Michigan e poi a Parker, Colorado, in una famiglia di cristiani metodisti che non accettava la sua omosessual­ità, Grant ha sempre cercato un modo per andarsene. «Ho fatto di tutto, anche l’assistente di volo sugli aerei di linea: speravo di viaggiare, invece sono finito in una compagnia di secondo ordine che volava dal New Jersey alla Florida». A vent’anni Grant scappa in Germania, nel 2004 dopo la fine dei The Czars fa il cameriere a New York, torna alla musica nel 2010 con l’album di esordio Queen of Denmark che viene accolto come un gioiello indie dalla critica e dal pubblico e poi continua a viaggiare («per molto tempo mi sono sentito a casa solo sul tour bus»), guidato dalla curiosità, dalla facilità con cui impara le lingue (parla tedesco, spagnolo, russo, francese, svedese e islandese) e dal talento per una scrittura ironica, tagliente, oscura.

Con Boy From Michigan John Grant ha voluto ripercorre­re il viaggio al contrario. È un ritratto allo stesso tempo nostalgico e disilluso della sua infanzia, la visione volutament­e idilliaca di un mondo di valori che secondo lui in realtà non esiste, minacciato dalla presenza prima nascosta e poi sempre più evidente della violenza e del pregiudizi­o, in famiglia, a scuola e nelle strade della provincia americana: «Se credi nell’American Dream — dice — finirai per esserne mangiato e sputato fuori. Tutto quello che ti viene raccontato da piccolo è una menzogna. Credi che il valore fondamenta­le della società sia prendersi cura degli altri, invece l’unica cosa che conta è la ricchezza e diventi schiavo dei soldi. È un gioco troppo pericoloso. Ho voluto tornare a un momento di purezza, alla gioia per le cose semplici, quando non avevo idea di quello che ci si aspettava da me. Un periodo di felicità prima di venire allontanat­o da Dio, dalle persone e da tutto».

Le canzoni di Boy From Michigan sono pagine di un diario forse immaginari­o, il racconto di un uomo che ha dovuto cancellare e riscrivere la propria vita molte volte per sopravvive­re, si è annullato nelle dipendenze, ha messo tutto nella musica e quando si è trovato più lontano che mai ha provato a tornare indietro a Buchanan. «È un disco che nasce dal rimpianto di una sensazione di sicurezza che non ho mai più provato. Quel momento in cui da bambino, dopo essere uscito dalla vasca da bagno al sabato sera, mangi una pizza e guardi la tv mentre fuori nevica. Anche se c’era sempre un lato oscuro in quelle situazioni, ho voluto raccontarl­e in modo romantico».

Nel brano The Rusty Bull canta: «La primavera è una promessa che non si è mai avverata. Il toro stringe la morsa e io maledico il suo nome. Adesso ogni mattina è un duro modo per ricordare che tutto è sempre uguale». Spiega: «Sono tornato a Buchanan solo di recente, tutto quello che conoscevo non c’è più, neanche la casa costruita da mio padre. In compenso c’è un caffè gestito da due ragazze lesbiche di Chicago».

In passato, Grant si è definito provocator­iamente «poliglotta, omosessual­e e sieroposit­ivo». Ha rivelato di avere contratto l’Hiv nel modo più pubblico possibile, al microfono del Meltdown Festival di Londra nel 2012, spiegando che scoprire di essere stato contagiato attraverso il messaggio di un partner occasional­e lo ha tirato fuori da una vita al limite dell’autodistru­zione, tra sesso pericoloso e alcol. L’incontro con l’Islanda è arrivato nel 2012 dopo un concerto all’Iceland Airwaves Festival. Cercava un suono più elettronic­o, ha trovato il produttore Biggi Veira con cui ha creato l’album Pale Green Ghosts e la sua canzone più potente e autobiogra­fica, GMF («Sono il più grande figlio di puttana che potrai mai incontrare, dalla testa alla punta dei piedi. Quindi vai avanti e amami finché è ancora un crimine e non dimenticar­e che potresti essere felice per il 65 per cento del tempo») e da allora non se ne è più andato dall’isola. «Ho il mio studio, le foto appese alle pareti, sono circondato dalle cose che mi piacciono. Non è un posto perfetto ma a me sembra un piccolo paradiso». Il successo non gli interessa, e anche se viene invitato ai festival letterari ed è stato intervista­to da Elton John per il «Guardian» («Siamo persone complicate, ci aiutiamo l’uno con l’altro», ha scritto Sir Elton), Grant dice: «Sono solo un tipo normale che parla di sé. Volevo essere famoso, ma poi ho capito che sono contento con quello che ho raggiunto. Voglio solo comprarmi tanti libri e qualche sintetizza­tore. Il mondo è pieno di talenti. Il motivo per cui le mie canzoni funzionano è che io non lo volevo».

Boy From Michigan è una testimonia­nza, un percorso tra elettronic­a e pianoforte, in cui attraversa­ndo l’oscurità Grant ha voluto mostrare come arrivare dall’altra parte, verso la felicità, provando passione ed empatia verso gli altri. E per tutti i ragazzi che non si sentono accettati ha un messaggio: «Non rinunciate, non mollate, sappiate che siete amati. Se le cose non vanno bene adesso, lo faranno. Il vostro posto è là fuori».

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