Corriere della Sera - La Lettura
In fondo al film ci sarà sempre una primavera Poi si parte da capo
Stagioni protagoniste con Antonioni, Ozu, Rohmer, mentre Kim Ki-duk ne conta cinque
C’è un film che le quattro stagioni le ha tutte
nel titolo. In un ciclo che si ripete: Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora
primavera. Nel 2003, il regista sudcoreano Kim Ki-duk (scomparso l’11 dicembre
2020, poco prima di compiere 60 anni) lasciava che le stagioni si susseguissero in un eremo nel mezzo di un laghetto. Cinque capitoli: dalla primavera all’inverno, per tornare infine alla primavera. Una parabola sulla ciclicità della vita dove le stagioni non solo quelle climatiche ma corrispondono ciascuna a un momento dell’esistenza del monaco buddista che abita l’eremo e, soprattutto, del bambino che il monaco alleva come discepolo. Con le stagioni, il bambino cresce, si innamora di una ragazza, fugge, uccide, ritorna... e poi sarà maestro a sua volta, di un nuovo bambino di cui si prenderà cura e alleverà come discepolo.
Nel narrare storie e vite, nel tracciare lo scorrere del tempo attraverso le immagini il cinema ha abbracciato più volte le stagioni. Lo aveva fatto uno dei maestri della Nouvelle vague, Éric Rohmer, negli anni Novanta con i Racconti delle quattro stagioni. Quattro commedie che raccontano con leggerezza l’instabilità e l’indecisione degli affetti: Racconto di primavera (1990), Racconto
d’inverno (1992), Un ragazzo, tre ragazze... (Conte d’été in originale, 1996) e Racconto d’autunno (1998).
Stagioni dell’anima sono quelle tracciate dal giappo
nese Ozu Yasujiro in Tarda primavera (1949), Inizio
d’estate (1951), Inizio di primavera (1956) e Tardo autunno (1960). Le stagioni di Louise (2016) sono invece il film d’animazione di un altro regista francese, JeanFrançois Laguionie (intervistato su «la Lettura» #430 del 23 febbraio 2020): l’anziana protagonista, Louise, perde l’ultimo treno che lascia Biligen, la località balneare dove trascorre l’estate. Rimane bloccata in una città deserta, con lei solo un cane, Pepe, avanti con gli anni anche lui. Il tempo trascorre e le stagioni — anche quelle della sua vita — si intrecciano e confondono.
Scandito dalle stagioni è il tempo dei contadini. Per Bernardo Bertolucci in Novecento (1976), in cui percorse mezzo secolo della storia d’Italia, sono anche metafora: l’estate dell’infanzia, che corrisponde con l’inizio del secolo; l’autunno che precede il fascismo, ovvero l’inverno; infine il 25 aprile, la primavera. Il periodo dell’anno scandisce anche la vita dei contadini della Bassa bergamasca ne L’albero degli zoccoli (1978) di Ermanno Olmi, dall’autunno 1897 alla primavera 1898.
Alcuni film guardano a un preciso momento dell’anno. L’estate letta dal cinema italiano in storie dai tratti molto diversi: Il sorpasso (1962) di Dino Risi, L’avventura (1960) di Michelangelo Antonioni, Travolti da un
insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974) di Lina Wertmüller, Mediterraneo (1991) di Gabriele Salvatores, Ferie d’agosto (1996) di Paolo Virzì, Il ciclone
(1996) di Leonardo Pieraccioni... Fino all’estate 1983, che porta «da qualche parte nel Nord Italia» in Chiamami col tuo nome (2017) di Luca Guadagnino.
Quindi le foglie ingialliscono e iniziano a cadere. Lo scrive Tom Hanks a Meg Ryan in C’è posta per te di Nora Ephron (1998): «Non vai pazza per New York in autunno? Mi fa venire voglia di comprare quaderni e matite». E Manhattan è un tripudio di colori anche in
Autumn in New York (di Joan Chen, con Richard Gere e Winona Ryder, 2000). Con la stagione fredda torniamo in Italia, a Venezia, dove nell’arco di Dieci inverni (film di Valerio Mieli del 2009) Silvestro e Camilla si incontrano, allontano, ritrovano. Fino al ritorno della primavera, stagione di grandi speranze, o una Maledetta primavera, come nella canzone che dà il titolo al film di Elisa Amoruso con Micaela Ramazzotti (ora in sala), dove al centro sta lo sconvolgimento dell’adolescenza.
Infine, una scena cara a tutti gli appassionati di commedie romantiche (e non solo). In Notting Hill (1999), un Hugh Grant desolato percorre Portobello Road. Il mercato è affollato e, mentre lui cammina tra le bancarelle, le stagioni si susseguono velocemente. Una dopo l’altra scandiscono il tempo. E la nostra vita.