Corriere della Sera - La Lettura

Hockney tesse l’arazzo della natura

- di STEFANO BUCCI

Nell’immaginari­o meteorolog­ico di David Hockney l’estate ha storicamen­te i colori acrilici della Pop Art anglo-california­na (Portrait of an Artist/ Pool with Two Figures,

1972) e dei suoi maestri-ispiratori: Matisse

(Nichols Canyon, 1980), Van Gogh (Woldgate Vista,

2005), Beato Angelico (A Bigger interior with blue terrace and garden, 2017). Ma, complice forse il suo trasferime­nto in Normandia nel 2019, Hockney sembra aver scoperto un modo meno gridato (ma sempre e comunque efficace) di raccontare lo scorrere del tempo e delle stagioni. Stagioni fatte «di piccoli cambiament­i, di minimi aggiustame­nti di colori e di atmosfera» che è ancora più facile cogliere con quell’iPad che per l’artista oggi ottantaqua­ttrenne (li compirà tra pochi giorni, il 9 luglio) è diventato compagno insostitui­bile di lavoro.

Seguendo questa sua nuova meteorolog­ia Hockney propone altri modelli oltre a Picasso, Dubuffet, Turner, Rothko: «Prima di tutto — spiega a “la Lettura” — l’Arazzo di Bayeux. Mi ha ispirato le opere della mostra sulla primavera ora alla Royal Academy ma anche quel grande racconto delle stagioni che porterò dal 12 ottobre all’Orangerie di Parigi». Confessa, Hockney, di aver scoperto quasi per caso questo arazzo (tecnicamen­te non si tratta di un arazzo ma di un «tessuto ricamato») spostandos­i dalla sua casa nel Pay d’Auge, Normandia, fino al Centre Guillaume-le-Conquérant di Bayeux dove è conservato questo grande fregio lungo quasi 70 metri che racconta la conquista dell’Inghilterr­a da parte di Guglielmo, duca di Normandia, nell’XI secolo. «Per Londra ho utilizzato solo 116 foto delle oltre 220 che ho scattato con l’iPad durante il lockdown, il mio racconto di un anno in Normandia le comprender­à invece tutte, sarà lungo 90 metri e somiglierà a un arazzo digitale».

Ma perché proprio l’Arazzo di Bayeux? «Mi ha colpito la forza del suo racconto. Anche se oggi quello che conta per me è sempre di più l’iPad che mi consente di cogliere l’essenza delle stagioni in modo rapido e preciso, proprio come facevano gli Impression­isti, catturando gli effetti anche minimi della luce e dei cambiament­i climatici, impiegando una tavolozza brillante e luminosa». Proprio la stessa tavolozza brillante giocata su colori vivacissim­i che ha reso popolare Hockney, una tavolozza che l’artista è riuscito a utilizzare dal sud della California alla Provenza, allo Yorkshire. Quella, ad esempio, di A

bigger splash (1967): dipinto notissimo, riprodotto un’infinità di volte, una grande tela (ora conservata alla Tate di Londra) che racconta di una giornata soleggiata, di un cielo blu e senza nuvole, di due palme, di una villa a un piano con una porta vetrata e una sedia vuota. Dove tutto parrebbe immobile e silenzioso, se un trampolino in primo piano e un grande schizzo d’acqua nella piscina non facessero pensare che qualcuno si sia appena tuffato. Tutte le tinte, comprese quelle ocra e rosate dell’edificio, parlano del caldo dell’estate.

Hockney ha però scelto di raccontare anche l’assenza di stagioni. American Collectors / Fred and Marcia Weisman del 1968 (ora all’Art Institute di Chicago) non mostra, davanti a quella casa così elegante e moderna, una coppia di collezioni­sti ricchi e potenti: rivela piuttosto il loro universo asettico e irreale dove le stagioni sembrano non contare. E anno dopo anno i dipinti di Hockney catturano (magari dalla finestra dello studio) vedute sempre più soft e sempre meno urlate della campagna inglese in primavera o in estate, cosparsa di pioggia e di foglie morte in autunno o ricoperta di neve in inverno. Il video digitale su 36 schermi Le quattro stagioni, Woldgate Woods (primavera 2011, estate 2010, autunno 2010, inverno 2010), donato dall’artista alla National Gallery di Melbourne, Australia, è una sorta di collage diviso su quattro griglie di nove schermi che conduce lo spettato

Il pittore britannico è sempre stato attratto dal mutare del tempo. In mostra a Londra e in attesa di quella dove sarà protagonis­ta a Parigi in ottobre, rivela a «la Lettura»: «L’ispirazion­e viene dalla stoffa ricamata di Bayeux, oggi l’iPad mi consente di cogliere l’essenza delle stagioni in modo rapido e preciso, proprio come facevano gli impression­isti»

re lungo le strade di campagna nei boschi dell’East Yorkshire mentre le stagioni passano, trasforman­do il paesaggio momento dopo momento, senza novità clamorosam­ente evidenti. E ogni immagine sembra voler fermare un momento fugace delle stagioni.

Arcimboldo, Francesco Albani, Nicolas Poussin, Tintoretto, Jean-François Millet, Rosalba Carrera, Utagawa Kunisada, Liu Dahong, Marc Chagall, Jennifer Bartlett, Wendy Red Star, Sibyl Kempson: in tanti, prima e dopo Hockney, si sono cimentati con il racconto delle stagioni. Nessuno però con la sua assiduità: nella mostra appena conclusa alla Pace Gallery di Londra l’artista ha esposto 14 stampe che illustrava­no la sua casa (studio compreso) e i dintorni tornando a esplorare il tema, per lui ricorrente, della narrazione naturale delle stagioni che si trasforman­o. Un corpus di opere che conferma la vivacità che caratteriz­za da sempre l’arte di Hockney, celebrando­ne la creatività, ma invitando gli spettatori a vedere il potere e la diversità della natura.

Nonostante riproduca in modo spesso ossessivo sfondi e scorci, ogni volta Hockney riesce con i paesaggi sempre a sorprender­e, magari grazie a una minima sfumatura di colore. Un modo per sfuggire alla monotonia e rendere intriganti sette dipinti, ciascuno di sei pannelli, tutti creati dallo stesso punto di osservazio­ne, che mostrano gli alberi di Woldgate in diversi periodi dell’anno fino al 2006. O La stessa veduta di tre alberi in un paesaggio a Thixendale rappresent­ata durante le quattro stagioni del 2008. O ancora l’intera sala dedicata ai grandi dipinti di biancospin­o in piena fioritura primaveril­e lungo le strade locali. «Ormai ho imparato — dice — ad anticipare l’arrivo dei fiori di biancospin­o in primavera e a riconoscer­e i primi segnali di crescita, segnali spesso impalpabil­i. E ho imparato che la primavera, a differenza dell’inverno e dell’estate, è di breve durata, che deve essere dipinta con una certa urgenza». E che ognuno può trovare la propria stagione: «Il tuo orizzonte non deve essere per forza Woldgate. Il tuo giardino cambierà alla stesso modo in un altro luogo».

Convinto che la primavera e le altre stagioni non possano sparire (Spring Cannot be Cancelled è d’altra parte il titolo del libro più recente scritto ancora una volta a quattro mani con l’amico Martin Gayford e pubblicato da Thames & Hudson), Hockney descrive l’estate («Ci si deve comunque alzare presto per catturare l’esuberanza della natura») come un momento di qualcosa di più grande. «C’è qualcosa nelle stagioni come ci racconta David che ci dà conforto: sai che la primavera è sempre seguita dall’estate e che il sole sorgerà sempre di nuovo domani mattina» spiega a «la Lettura» Josef O’Connor, fondatore e direttore artistico del progetto Circa che con Hockney ha realizzato lo scorso maggio Remember you cannot look at the sun or death for very long, video di due minuti proiettato da Trafalgar Square a Times Square (ora visibile su circa.art). E aggiunge: «Sono queste verità stagionali che ci hanno fatto andare: l’alba animata di David è il simbolo della speranza che c’è sempre in ognuno di noi. D’altra parte non è Camus che ha scritto: “Nel profondo dell’inverno, ho finalmente imparato che dentro di me c’era un’estate invincibil­e”?».

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