Corriere della Sera - La Lettura

MARX AVEVA LA VISTA LUNGA SOLO A METÀ

- Di GIANCRISTI­ANO DESIDERIO

Il Manifesto del partito comunista, pubblicato per la prima volta a Londra nel febbraio del 1848, contiene due profezie: una vera e una falsa. La vera è il mondo globale. La falsa è l’utopia del comunismo. Ma l’importanza di quel testo «rivoluzion­ario», il più famoso di Karl Marx (e di Friedrich Engels), non è in ciò che dice ma in come lo dice. Non a caso il filosofo Antonio Labriola, che mezzo secolo dopo pubblicò In memoria del Manifesto dei comunisti, sottolinea­va che il «nerbo» di quel testo non era da ricercarsi nelle proposte pratiche quanto nel «sicuro ingresso nella storia» dei socialisti che fino a quel momento ne erano stati esclusi. L’incipit e la chiusa dello scritto non a caso sono celeberrim­i. Il primo dice: «Uno spettro s’aggira per l’Europa: è lo spettro del comunismo». Il secondo conclude: «Proletari di tutto il mondo unitevi».

Ora l’editore Bibliopoli­s, che cura l’Edizione nazionale delle opere di Antonio Labriola, ha pubblicato quel suo «opuscolo» che uscì per la prima volta nel 1895 sul «Devenir Social» e in coda, come nell’edizione del 1902, c’è anche il Manifesto tradotto dallo stesso Labriola (pp. 264, € 40).

La cosa curiosa del Manifesto, come notò già Labriola e come disse Lucio Colletti, è che presenta un elogio della borghesia che è, anche per i borghesi Marx ed Engels, la vera classe che ha trasformat­o il mondo. I proletari, come dice Labriola, sono i «sotterrato­ri della borghesia» che hanno il compito storico di instaurare la «dittatura del proletaria­to».

Le dure repliche della storia dimostrano, invece, che la dittatura sarà sempre sul proletaria­to.

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