Corriere della Sera - La Lettura
MARX AVEVA LA VISTA LUNGA SOLO A METÀ
Il Manifesto del partito comunista, pubblicato per la prima volta a Londra nel febbraio del 1848, contiene due profezie: una vera e una falsa. La vera è il mondo globale. La falsa è l’utopia del comunismo. Ma l’importanza di quel testo «rivoluzionario», il più famoso di Karl Marx (e di Friedrich Engels), non è in ciò che dice ma in come lo dice. Non a caso il filosofo Antonio Labriola, che mezzo secolo dopo pubblicò In memoria del Manifesto dei comunisti, sottolineava che il «nerbo» di quel testo non era da ricercarsi nelle proposte pratiche quanto nel «sicuro ingresso nella storia» dei socialisti che fino a quel momento ne erano stati esclusi. L’incipit e la chiusa dello scritto non a caso sono celeberrimi. Il primo dice: «Uno spettro s’aggira per l’Europa: è lo spettro del comunismo». Il secondo conclude: «Proletari di tutto il mondo unitevi».
Ora l’editore Bibliopolis, che cura l’Edizione nazionale delle opere di Antonio Labriola, ha pubblicato quel suo «opuscolo» che uscì per la prima volta nel 1895 sul «Devenir Social» e in coda, come nell’edizione del 1902, c’è anche il Manifesto tradotto dallo stesso Labriola (pp. 264, € 40).
La cosa curiosa del Manifesto, come notò già Labriola e come disse Lucio Colletti, è che presenta un elogio della borghesia che è, anche per i borghesi Marx ed Engels, la vera classe che ha trasformato il mondo. I proletari, come dice Labriola, sono i «sotterratori della borghesia» che hanno il compito storico di instaurare la «dittatura del proletariato».
Le dure repliche della storia dimostrano, invece, che la dittatura sarà sempre sul proletariato.