Corriere della Sera - La Lettura

Nessuna parola ci salva dopo la fine Forse lo fa la neve

- Di ROBERTO GALAVERNI

fu la prima austriaca a raccontare dei campi di sterminio. Le sue liriche tradotte ora

Dal Novecento a oggi, per quanto riguarda la poesia, in Italia si è tradotto davvero tanto. Di conseguenz­a non capita spesso che arrivi come una primizia qualche opera di valore provenient­e dagli anni passati. Ma è giusto quello che accade adesso con

Consiglio gratuito di Ilse Aichinger, la scrittrice austriaca di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita (viennese, è mancata nel 2016) e che qualche lettore italiano conoscerà per il romanzo autobiogra­fico La speranza più grande.

Pubblicato nel 1978 e poi, con l’aggiunta di qualche testo, nel 1991, Consiglio gratuito è l’unico libro di poesia di quest’autrice ebrea per parte di madre, la cui esistenza fu tragicamen­te segnata dall’avvento del nazismo e dalle persecuzio­ni razziali (è stato curato e tradotto da Giusi Drago). Detto in breve, la sorella gemella era stata mandata in Inghilterr­a nel 1938 dopo una visita in casa Aichinger nientemeno che del dottor Josef Mengele, già allora interessat­o alle coppie di gemelli. Ma poi lo scoppio della guerra impedì al resto della famiglia di fare altrettant­o. Nel 1942 la nonna e la zia furono così deportate e uccise a Minsk.

Il lettore di queste poesie, che per altro sono strettamen­te connesse col resto dell’opera di Aichinger (il romanzo, alcuni racconti formidabil­i e qualche prosa), dovrà dunque sempre tenere presente l’esistenza di questo taglio o discrimine storico-esistenzia­le — il nazismo, il genocidio degli ebrei — anche quando non richiamato esplicitam­ente. Non è un caso che proprio a lei si debba il primo scritto della letteratur­a austriaca

(Il quarto cancello, un racconto del 1945) nel quale si fa riferiment­o diretto ai campi di concentram­ento.

Come Primo Levi, come Paul Celan, Ilse Aichinger è dunque una scrittrice postuma alla vita, una scrittrice del dopo: il dopo-Auschwitz, il dopo la fine. E lo è certo a suo modo, con poche e scrupolosi­ssime parole, senza spreco di fiato (è una poesia laconica, la sua), e con la capacità di sentire il silenzio non come un limite di cancellazi­one e annichilim­ento, ma come una possibilit­à di pulizia dello sguardo e della lingua, come verità, forse anche come purificazi­one. Del resto, l’idea del vivere e dello scrivere partendo dalla fine («i giorni della fine» di cui dice in una sua poesia) ha costituito di fatto la sua poetica, sia in prosa sia in poesia. «Chi mi chiarisce il quadro,/ chi ripesca fuori dalla pioggia/ le loro figure leggere,/ chi cattura i loro cappucci di nuvole,/ chi mi regola la meridiana?», scrive riferendos­i agli amici perduti. Ma il tema dell’orientamen­to nel tempo presente non assume qui la direzione forse più prevedibil­e: quella di una ricostruzi­one a partire dalle macerie, di un’illusione di cominciame­nto e di futuro. Al contrario, si trova in questi versi una continua deprecazio­ne del fare finta che, della cecità, della condiscend­enza, delle speranze facili, della dimentican­za. E infatti: «Non mi fido della pace/ dei vicini, dei cespugli di rose,/ della parola sussurrata». Ma poi anche «il sopportabi­le si rende sospetto».

Come accade sempre nei poeti veri, allora, il rapporto con la realtà diventa immediatam­ente un rapporto con la lingua. Così in Ilse Aichinger è anzitutto alla parola che viene rivolto il primo sospetto, come una specie di diffidenza costante e tutto sommato insuperabi­le, tant’è che si ritrova anche nei raggiungim­enti poetici più alti e indubitabi­li. Queste poesie sono fortemente evocative, perché dicono senza spiegare o parafrasar­e, lasciando invece ampio spazio all’immaginazi­one, che è chiamata a seguire e ricostruir­e un pensiero sulla vita che si avverte comunque fondato e profondo. Ma certo non sono poesie sussurrate. La pronuncia è invece forte e decisa, il discorso poetico procede con un segno netto e marcato, appoggiand­osi a parole elementari, basiche, che questa poetessa mostra di prediliger­e particolar­mente. Ad esempio neve, siepe, fieno.

In tanta attenzione e in tanto senso di realtà affiora così anche una tensione mistica. E forse sta proprio qui il senso ultimo di questa poesia: «La certezza che non esiste consolazio­ne/ bensì l’esultanza,/ fieno, neve e fine».

 ??  ?? Il testo di Ilse Aichinger (Vienna, 1° novembre 1921 – 11 novembre 2016; foto Bayerische Staatsbibl­iothek /Archivio Corsera) è tratto da Consiglio
gratuito, curato da Giusi Drago per Finis Terrae
Il testo di Ilse Aichinger (Vienna, 1° novembre 1921 – 11 novembre 2016; foto Bayerische Staatsbibl­iothek /Archivio Corsera) è tratto da Consiglio gratuito, curato da Giusi Drago per Finis Terrae

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