Corriere della Sera - La Lettura
Il triangolo sì, la vita fa meno paura
Un incrocio di lutti avvicina due bambini, alla loro amicizia si aggiungerà una ragazza: il legame che si forma li accompagnerà verso l’età adulta. Mirko Sabatino riflette sulla genitorialità, il dolore, la scrittura
Ci sono momenti, nell’esistenza degli uomini, che segnano separazioni tragiche, e altri che regalano incontri unici. Nel giro di pochi secondi a Ettore Maggio, il protagonista del nuovo romanzo di Mirko Sabatino, accadono entrambe le cose: all’età di 6 anni, in un medesimo incidente d’auto di cui non ricorda nulla, muoiono l’adorato nonno Ottavio, con lui a bordo di quella Fiat 131 su cui facevano lunghi giri e allegre chiacchierate, e i genitori di Bruno Basanisi, suo coetaneo e destinato a diventare, di lì a poco, l’amico di una vita intera.
E dire che quando ha saputo dell’arrivo di quel nipote Ottavio Maggio non ne è stato affatto entusiasta. Titolare di una pasticceria ben avviata in una non precisata cittadina pugliese, 54 anni, vive in una famiglia «allargata» con la moglie Anita, due delle tre figlie femmine (il tanto desiderato maschio non è mai arrivato e Nora, quella di mezzo, psicologa, abita e lavora a Torino), due sorelle nubili, e certo non si sarebbe aspettato che Marina, nel giorno dei suoi vent’anni, lo rendesse nonno. Per di più, in una mattina di aprile del 1977, subito dopo il parto, il padre del piccolo sparisce senza mai più dare notizie di sé. Eppure Ottavio, che ama raccontare storie e coltiva un segreto, dopo aver ignorato per 9 mesi la gravidanza della figlia, di fronte al neonato depone ogni delusione: e quel bimbo, che Marina chiama con il nome che lui aveva scelto per il figlio maschio mai arrivato, renderà gli ultimi sei anni i più belli della sua vita.
Il piccolo cresce, accudito e vezzeggiato in quel gineceo, all’ombra del bancone di nonno Ottavio, cui lo lega un rapporto speciale, e dopo l’incidente, oltre che senza un padre, si ritrova anche senza il nonno che gli ha insegnato a immaginarsi nel futuro per accertarsi di esserci. Solo zia Nora riesce a consolarlo dal dolore, quando gli spiega che la medicina con cui si cura l’anima sono le parole, che tanta parte avranno nella vita di Ettore. E il primo giorno di scuola, pochi mesi dopo l’incidente, per una di quelle strane coincidenze che la vita mette sul piatto, si ritrova Bruno in classe, cambiato nell’aspetto, quasi che per sopravvivere al dolore il suo corpo «si fosse costretto ad assumere nuove fattezze».
Inizia così un rapporto fatto di sguardi ma senza parole, finché due anni dopo Ettore, trascinato dal suono della musica, si ritrova ad ascoltare Bruno al pianoforte, nell’appartamento degli zii che lo hanno accolto, e quel silenzio che li lega assume toni diversi. Poi tra di loro si insinua Irene Favelli, la figlia del notaio che ha aiutato Ottavio in un momento di difficoltà con un prestito generoso. Abita di fronte ai Maggio ed Ettore la osserva ore dalla finestra: molto più adulta di loro, bella, con i capelli ricci e neri e gli occhi straordinariamente blu, cinica eppure affettuosa custode del fratello disabile Matteo, volitiva e trasgressiva, pronta a candidarsi, fresca arrivata, a diventare la prima della classe: dietro la corazza, un personaggio pieno di fragilità e contraddizioni, destinato a restare impresso nella mente di chi legge.
Passano gli anni e i tre si lasciano alle spalle l’infanzia, così tragica per tutti, fra prepotenze dei compagni, le prime feste, rancori e gelosie, e la musica di Bruno, che dà a Ettore sedicenne la misura di chi è in quel momento e di «chi sarebbe stato da allora in poi». Li lega un triangolo di amicizia e amore, un rapporto che è come un’infezione, ma «buona» dice Irene, pericolosa solo quando si separano, e così le loro strade continuano a incrociarsi fra andate e ritorni, nonostante le diverse scelte di vita: Irene finisce per restare dietro al bancone del bar pasticceria che alla morte del notaio sua madre ha cinicamente strappato ai Maggio; Ettore lascia il luogo natale, si laurea in Lettere, scrive lunghe lettere al padre e, munito solo di un nome e di una fototessera ottenuta per puro caso, lo cerca in ogni città che cambia, lavora come giornalista e riesce finalmente a fare della scrittura il suo mestiere; Bruno, dal destino beffardo, intraprende la carriera di concertista e gira il mondo, ma terribili attacchi di panico lo tengono per mesi lontano dalle scene.
Fra sorprese e colpi di scena, oltre non si può dire per non svelare troppo ai lettori di una storia tra saga familiare e vicenda di formazione, a tratti visionaria, piena di dolore e un filo di speranza, sull’amicizia, l’amore e la genitorialità, sulle coincidenze e i montaliani «scorni» dell’esistenza, orchestrata da un destino ineluttabile che gli antichi Greci chiamavano «necessità», sulla responsabilità e sul mistero insondabile del passaggio tra la vita e la morte. Che si fa a tratti anche riflessione metanarrativa sul mestiere della scrittura, forse la sola in grado di restituire il senso delle cose.