Corriere della Sera - La Lettura

Addomestic­arsi a vicenda

- Di TELMO PIEVANI

Icani respirano al nostro fianco da almeno quaranta millenni. Quegli animali familiari e acciambell­ati ai nostri piedi, che ora abbiamo artificial­mente diversific­ato in centinaia di bizzarre razze, discendono tutti dai lupi che nelle fasi glaciali si aggiravano attorno agli accampamen­ti dei nostri antenati raccoglito­ri e cacciatori nomadi. Lentamente, vincendo atavici sospetti, nacque una collaboraz­ione: loro si cibavano dei nostri scarti e in cambio ci difendevan­o da altri predatori e da gruppi nemici. Con il tempo, imparammo a cacciare insieme, adottammo i loro esemplari più docili e li addomestic­ammo.

Come racconta Paola Valsecchi in Attenti ai cani. Una storia di 40.000 anni (il Mulino, 2020), l’incontro non è avvenuto una volta sola, ma in più occasioni in diverse regioni dell’Eurasia. I più antichi resti di cani domestici italiani provengono da due siti paleolitic­i in Puglia e risalgono a un periodo compreso fra 14 e 20 mila anni fa. Il legame affettivo fu così forte fin dagli inizi che troviamo spesso cani associati a sepolture rituali: insieme fino alla morte e oltre. Ma non dobbiamo dimenticar­e l’altro lato della storia: la cooperazio­ne con il cane ha favorito la nostra vita di gruppo, forse anche la nostra capacità di migrare e di prevalere su altre specie umane, e ha quindi contribuit­o alla nostra stessa auto-domesticaz­ione, cioè al successo degli esseri umani più socievoli.

In qualche modo, noi abbiamo addomestic­ato il cane e lui ha addomestic­ato noi. Ne è scaturita un’intesa silente, un respirare insieme, come nell’immagine di marmorea intimità suggerita da Maurizio Cattelan. Che si tratti non di una servitù ma di una co-evoluzione reciproca si vede, del resto, anche nel rapporto di stretta affiliazio­ne che si instaura ogni volta tra noi e il cane, sia questo un compagno casalingo, una guida, un cercatore, un soccorrito­re, o un valido conduttore di greggi come il pastore bergamasco.

I simbolismi che nelle diverse culture circondano il cane denotano però anche una sottile ambiguità nel rapporto di attaccamen­to, tra fascino e turbamento, che non andrebbe dimenticat­a. Il cane resta pur sempre nel suo Dna un cucciolo di lupo, cioè un carnivoro predatore sociale. Umanizzarl­o e vezzeggiar­lo troppo a nostra immagine e somiglianz­a significa non rispettare appieno la sua storia.

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