Corriere della Sera - La Lettura
L’occhio di chi non vediamo
Siamo abituati, per ragioni evolutive e culturali, a prestare maggiore attenzione alle cose quando ci vengono presentate all’interno di una cornice, sia essa concettuale o concreta. È per questo che l’opera di Cattelan risulta così spiazzante. Qui non esiste nulla che indirizzi il nostro sguardo, il che porta a un inevitabile ribaltamento di ruoli: ci aspettiamo di osservare un’opera esposta a nostro uso e consumo e invece ci ritroviamo ad essere osservati. Gli occhi sono quelli posticci di una miriade di piccioni imbalsamati, ma potrebbero essere anche quelli di ratti, lucertole, scarafaggi, ma anche telecamere di sorveglianza, qualunque cosa sia talmente ben integrata nel tessuto urbano da risultare visibile solo in un secondo momento.
Il disorientamento che si prova a ritrovarsi in un ambiente che siamo abituati a considerare presidio umano e renderci conto di essere circondati da uccelli appollaiati ovunque è simile a quello che abbiamo provato affacciandoci dai nostri balconi durante il primo lockdown: quando d’un tratto le strade erano punteggiate di animali che sembravano avere solcato il perimetro urbano per conquistare uno spazio lasciato incustodito. In realtà, gran parte di quegli animali viveva in città da molto prima della pandemia; semplicemente non eravamo abituati a considerarli alla stregua di concittadini.
Esistono specie che abitano contesti urbani da così tanto tempo da essersi adattate evolutivamente per sopravviverci meglio, e il piccione (columba livia )èuna di queste. Lo stesso non si può dire dell’essere umano che, semmai, vive da tempo nella sciagurata illusione di poter piegare l’ambiente che lo circonda alle proprie esigenze. Eppure diventa ogni giorno più chiaro che dovremo pagare un prezzo per i secoli in cui abbiamo giocato d’azzardo a credito con l’ecosistema, come diventano ogni giorno più chiari i limiti del nostro modo di vedere e concepire il mondo.
Se i piccioni di Cattelan sono così potenti è perché riescono a inquietarci su due piani: a livello inconscio, perché ci pongono sotto lo sguardo di una specie che siamo abituati a considerare tappezzeria del nostro scenario urbano; e in seconda battuta a livello conscio, perché ci ricordano che il nostro sguardo può abbracciare una porzione assai limitata della totalità del reale. Lo straniamento che proviamo di fronte a Ghost sè quello di una specie che ormai capisce solo il linguaggio che essa stessa ha inventato, e che d’un tratto si rende conto di essere cieca. O quasi.