Corriere della Sera - La Lettura
Le donne di Dante cantano con i Beatles
Dante e le donne. Le suggestioni, come dimostra un recente libro (postumo) di Marco Santagata, sono innumerevoli. Ci sono le donne di casa, quelle che di sicuro Dante ha frequentato, da sua madre Bella alla sorella maggiore Tana, dalla moglie Gemma alla figlia Antonia. C’è ovviamente Bice Portinari, l’amore eterno sfiorato, sognato e magnificato. C’è anche, a quanto pare, una donna gozzuta forse di Pratovecchio. Poi ci sono le altre donne sospese a metà tra immaginazione poetica e consistenza biografica: ci sono Fioretta, Violetta e Lisetta, di cui non si sa quasi nulla. Ci sono la Donna Pietosa e la Donna Gentile, la Donna Pietra.
Ovviamente ci sono le donne che il pellegrino Dante ha incrociato nel suo viaggio ultramondano inventandole di sana pianta oppure strappandole alla cronaca e trasfigurandole per renderle famose presso i posteri grazie al suo racconto: Francesca da Rimini, l’indovina Manto, la sventurata Pia dei Tolomei, la misteriosa Matelda traghettatrice, la nobildonna trevigiana pasionaria e pietosa Cunizza da Romano, l’altra nobildonna Piccarda Donati, dalle cui parole trapela l’eco di violenze subite, costretta come fu a rinunciare ai voti religiosi per sottostare a un matrimonio politico. Sarà lei a fornire al pellegrino le notizie essenziali sulle anime dei beati... Per non dire delle figure femminili letterarie, storiche, mitiche o mistiche che vengono solo evocate, si scorgono appena o si intravedono di scorcio, oppure si materializzano addirittura riempiendo di sé la scena: Marzia moglie di Catone, Elettra, Didone, Cleopatra, la prostituta biblica Raab, Anna madre della Vergine, e le salvatrici del poeta, Santa Lucia, la Vergine stessa e ancora Beatrice.
Questa ampia varietà di personaggi femminili, che spesso prende corpo e voce nel poema acquistando un’importanza stupefacente per la cultura medievale, non ha lasciato indifferente la critica dantesca suggerendo persino una lettura gender della Commedia (come fa, per esempio, la studiosa italo-americana Teodolinda Barolini). Ma insomma, questo argomento tutt’altro che futile si presta a essere trattato in vari modi, dal livello accademico-scientifico al didascalico e al leggero, come ha scelto di fare Neri Marcorè in un nuovo spettacolo di teatro-canzone intitolato Le divine donne di Dante, che verrà rappresentato in prima assoluta giovedì 22 luglio al Ravenna Festival, poi venerdì 6 agosto al Macerata Opera Festival e domenica 5 settembre al Mittelfest di Cividale del Friuli.
La formula è presto detta: Marcorè, che sarà accompagnato dall’Orchestra Arcangelo Corelli diretta da Jacopo Rivani, ha affiancato a 13 figure dantesche 15 canzoni attinte dal repertorio italiano e non solo. «Accoppiamenti giudiziosi» e talvolta imprevedibili guidati dalla sapienza di Francesca Masi, che da responsabile della promozione culturale del Comune di Ravenna ha messo in campo la sua formazione filologica, essendo allieva di un’autorità come Giuseppe Billanovich, per collaborare con Marcorè nella scelta dei passi del poema.
Dagli identikit dei singoli personaggi, magari solo per un contatto di parole o per un’analogia di immagini, si passa ai brani, cominciando — un’ouverture — con Cardiologia di Francesco De Gregori, una sorta di summa sull’amore che «ha sempre fame» (quello indecente, quello prepotente, quello passato e quello presente...). E proseguendo con tre canzoni di Vinicio Capossela e altrettante di Ivano Fossati, altre di Sting, di Ligabue eccetera. Un gioco di specchi e di rimandi che aiuta la conoscenza e la scoperta di figure femminili magari ritenute secondarie.
Impegnato anche sul set de Le più belle frasi di Osho, una commedia in dieci puntate cui sta lavorando per RaiPlay, Marcorè si avvicina allo spettacolo dantesco proponendo un conteggio matematico: «Le donne nella Commedia sono 42 contro circa 500 uomini: diciamo che le quote rosa non erano rispettate, ma si tratta comunque di storie straordinarie, a volte oscure, perché tante sono le donne non note, ma degne di essere
approfondite per tirare fuori dal loro percorso biografico vero o immaginario tutta la modernità. Mi hanno proposto di provare a farlo attraverso la chiave di lettura della musica leggera e la cosa mi ha molto affascinato, è stata una sfida e ho cercato di affrontarla trovando soluzioni non troppo scontate». Per esempio?
«Alcune sinapsi venivano naturali, altri collegamenti erano più sorprendenti anche per me. Pensando a Francesca, si poteva rimandare a Non è Francesca di Lucio Battisti immaginando Francesca da Rimini dal punto di vista del marito... Però poi ho scelto Il bacio sulla bocca di Ivano Fossati, essendo il bacio la scintilla che fa nascere tutta la storia tra i due amanti. E aggiungendo la canzone di Ron, Non abbiamo bisogno di parole ,si rende omaggio anche al silenzio di Paolo, che nel canto non prende mai la parola. È un’eccezione: per Francesca ho scelto due canzoni».
Meraviglia che non ci sia neanche un testo di Giorgio Gaber e soprattutto di Fabrizio De André, che sono stati (e sono tuttora) i cavalli di battaglia di notevoli spettacoli portati in giro per anni da Marcorè.
«È vero che avrei potuto fare la scaletta di questo spettacolo sulle donne di Dante con dieci canzoni dell’uno e dieci dell’altro, esaurendo tutto con loro, ma ho preferito cambiare completamente il repertorio. Però, se devo essere sincero, fino alla fine ho avuto la tentazione di inserire Verranno a chiederti del nostro amore ma poi ho rinunciato. È stato un sacrificio. Almeno in un caso sono partito da una canzone che volevo assolutamente inserire».
Quale?
«Vince chi molla di Niccolò Fabi è una delle mie canzoni preferite e allora ho chiesto a Francesca Masi a quale figura dantesca si potesse accostare, così è stata scelta Piccarda».
«Lascio andare la mano che mi stringe la gola...». Un’immagine di cedimento per chi aspira a qualcosa di più alto... «Tra gli accostamenti che anche per me sono stati più imprevedibili c’è L’odore del sesso di Ligabue, collegata alla figura di Didone che tradisce la memoria del marito per l’amore irresistibile verso Enea... E la luminosità della cananea Raab del IX del Paradiso ha richiamato la canzone della luce per eccellenza, e cioè Here Comes the Sun dei Beatles. Un’altra analogia che mi piace è quella che si stabilisce tra Enjoy the Silence dei Depeche Mode e Pia, sul godimento del silenzio. Lavorando con Francesca Masi e consultandomi con i musicisti, siamo arrivati a questo copione, mentre io mi sono occupato della parte musicale affidando a Stefano Cabrera gli arrangiamenti. Un gran lavoro. Prima di ogni canzone ci saranno le descrizioni dei personaggi, la loro storia, i vizi e le virtù... Che so, qual è il peccato dell’indovina Manto? A me è venuta in mente una magnifica canzone di Sting sulla fragilità: “Tienimi su quando sto per cadere...”. E chi è Marzia, che fu data giovanissima in sposa a Catone, poi per scopi di procreazione fu prestata a Ortensio, alla cui morte tornò da Catone. Oggi siamo più indulgenti rispetto ai vizi capitali e Marzia non verrebbe certo condannata da un giudice moderno, anzi forse sarebbe elogiata per la generosità di essersi prestata a una richiesta sentimental-sessuale. Ma insomma, se lei è finita nel limbo, il marito sarebbe dovuto andare all’Indibile ferno. È interessante rivedere queste figure con il senno di poi, in una prospettiva nostra che tenda alla restituzione di una giustizia e dignità postume».
C’è sempre un’idea di amore che per la donna significa sacrificio di sé e come tale qualche volta perdura anche nelle canzoni di oggi.
«All’inizio Francesca aveva pensato al titolo Come donna innamorata perché il tratto comune è l’amore nelle sue varie sfumature, passioni, dedizione, fallimento, una capacità di comprendere e accogliere l’altro molto maggiore rispetto agli uomini. Cardiologia è appunto un’ouverture: la frase finale dice che dell’amore non si butta mai via niente...». Com’è stato il rapporto scolastico di Marcorè con Dante?
«Dalla Divina Commedia ci siamo passati un po’ tutti, anche chi come me ha fatto il liceo linguistico ad Ancona. Devo confessare che non è stato un amore immediato: solo dopo mi sono reso conto della potenza stilistica e retorica che porta la Commedia a diventare un’opera popolare nonostante le difficoltà. Ho sempre letto molto, sin dal liceo, poi mi sono diplomato come interprete parlamentare di inglese e tedesco, ma la mia aspirazione era fare il traduttore letterario e non l’interpretariato. Prima di tutto però è venuta la musica, la mia vera passione: oggi sono fiero di essere riuscito a fare rientrare la musica nel ventaglio delle mie proposte teatrali. Cerco ormai di costruire progetti intorno alla musica anche se c’è il teatro, la recitazione, il cinema, la letteratura, la clownerie... Tutto questo in un esercizio di stile il più possibile rigoroso anche nella trasversalità che unisce più arti possibile. Se potessi nei miei spettacoli ci metterei pure le arti visive».
Anche questa su Dante si può considerare un’esperienza di traduzione?
«Sì, se consideriamo la traduzione come un’operazione di traghettamento: si tratta di cambiare vestito a un testo, e il passaggio da un codice all’altro deve essere tale che il messaggio possa essere recepito da chi lo riceve con la stessa forza espressiva originaria. Dunque, in effetti, cercare di partire da Dante trovando una mediazione nella canzone leggera è un tipo di traduzione. Ma in generale, l’interprete è sempre un traduttore: anche il doppiatore è un traduttore, anche l’attore che legge un testo di Shakespeare e il cantante che interpreta, appunto, una canzone per un pubblico sempre diverso attraverso i suoi strumenti personali, che sono la voce e il corpo. Tutto quel che faccio, in fondo, sta all’interno del grande mare dell’interpretazione e dunque della traduzione». Anche imitare Maurizio Gasparri e Massimo Cacciari?
«Anche imitare è interpretare, e cioè tradurre: si tratta di cogliere i tratti di una personalità, magari composita e complessa, per esaltarne un solo aspetto facendone una caricatura. Bisogna estrapolare un tratto, un segnale, una suggestione e riproporla in un altro codice: quel che abbiamo cercato di fare con le “divine donne” di Dante».
Neri Marcorè ha passato in rassegna le 42 figure femminili della «Divina Commedia» (gli uomini sono circa mezzo migliaio) e ne ha abbinate 13 a 15 brani musicali. Così, nello spettacolo che debutterà il 22 luglio a Ravenna, Francesca da Rimini sarà evocata da Ivano Fossati, la prostituta cananea Raab del nono canto del «Paradiso» da «Here Comes the Sun» dei Fab Four e Didone rivive in «L’odore del sesso» di Ligabue... «“Vince chi molla” di Niccolò Fabi è uno dei miei pezzi preferiti: l’abbiamo accostato a Piccarda.
Ho voluto tirare fuori dal percorso biografico vero o immaginario di queste donne tutta la loro modernità»