Corriere della Sera - La Lettura

LO SCORPIONE TESSE LA TELA

- Di STUART MacBRIDE

Una piccola agenzia letteraria naviga in cattive acque. Anzi: è proprio sott’acqua. Poi succede qualcosa. Un manoscritt­o che non prometteva nulla si rivela invece molto più efficace del suo incipit. Ecco allora che cambia tutto: per l’agenzia, per i suoi due titolari e, certo, anche per chi ha scritto quel intitoland­olo «La tela dello scorpione»

Il sangue forma un lago sul pavimento sotto il corpo piegato. Il lento valzer dei morti è sempre stato lo spettacolo più bello del mio... Una voce con un accento snob emerse dal silenzio. «Oh, per l’amor del cielo...». Simon cercò di non sospirare. Cercò di concentrar­si sul manoscritt­o di fronte a lui, quello che aveva preso a caso dal mucchio. Tom poteva sbraitare e infuriarsi quanto voleva, questo era qualcosa di importante.

Il lento valzer dei morti è sempre stato il...

«Per l’amor del cielo!».

No.

Simon si appoggiò allo schienale della sedia e si voltò. L’ufficio non era il tipo di posto in cui si portano i clienti: c’era solo lo spazio per una scrivania condivisa, un piccolo classifica­tore beige, due sedie di legno e l’orrore del torreggian­te mucchio di faldoni dell’agenzia. Di fatto, una cameretta foderata di scaffali in fondo al rognoso appartamen­to di Simon, nella parte un po’ meno alla moda del sobborgo di Croydon. Gli scaffali avrebbero dovuto essere colmi di libri, rilegati e tascabili, edizioni straniere e premi letterari ma erano pieni di polvere, perché a nessuno interessav­a più un libro ben scritto. Se non era un romanzo poliziesco, un thriller o un libro per bambini sfornato da qualche vacua celebrità, gli editori non erano minimament­e interessat­i. Questo spiegava anche perché l’unica decorazion­e della stanza fosse l’ingiunzion­e a pagare l’affitto, messa al centro della scrivania come sprone e monito di quel che sarebbe accaduto se non avessero presto venduto un libro.

«Merda!». Tom aveva i piedi sulla scrivania, il manoscritt­o in una mano, la tazza di caffè nell’altra. Aveva il suo solito abito di tweed a tre pezzi, i bottoni del panciotto tesi, perché da quando l’aveva comprato aveva messo su dieci chili ed erano passati sette anni. Capelli radi tirati indietro sulla fronte alta, occhialini rotondi, guance paffute che cominciava­no a scurirsi per la barba. «Incredibil­e? Voglio dire... incredibil­e!».

«Se non ti piace, archivialo». Simon indicò il cestino della carta straccia già traboccant­e. «Ma in ogni caso, sta’ zitto. Sto cercando di leggere».

Il lento ballo dei morti è sempre stato lo spettacolo più bello della mia vita: uno spettacolo a cui torno di continuo, anche se so che a un certo punto la musica deve finire e la polizia scoprirà i partner con cui ballo…

«Tanti saluti». Tom gettò l’intero scartafacc­io nel cestino, dove sprofondò in una malferma montagna di carta. «E tu?».

«Un thriller: La tela dello scorpione».

«Dio ci aiuti». Prese un’altra busta imbottita dal mucchio dei faldoni, l’aprì e fece scivolar fuori il contenuto sulla scrivania. «Hai sentito di Bob Docherty?».

«Boozy Bob ha tirato le cuoia a forza di bere?».

«Sono entrati in casa sua: gli hanno mozzato i pollici». Un sospiro. «Il funerale è mercoledì. Pensi che dovremmo inviare una corona?».

«Siamo al verde, ricordi?». Simon appoggiò la pagina che stava leggendo sul mucchio di carte e ci mise su un dito. «È un po’ rozzo, ma la premessa è buona. Penso che abbia delle potenziali­tà».

«Sul serio?». Tom lo fissò. «Parlami di queste potenziali­tà».

«Il serial killer dà la caccia ad agenti di polizia coinvolti in errori giudiziari e li fa fuori in una miriade di modi raccapricc­ianti e molto creativi».

«Sembra orribile».

«Il bello è che il killer è una donna, una poliziotta, e il libro è una specie di memoriale. James Herriot che incontra Hannibal Lecter». Simon si accigliò. «Bisogna lavorare sul tono, sai cosa voglio dire».

Un sorriso si diffuse sul viso di Tom. «Non solo sembra orribile, ma pare proprio il genere di cose che gli editori amano. Avanti, sbrigati, Simon!», e si strofinò le mani. «Forse riusciremo finalmente a pagare l’affitto, come le persone civili». qualcosa di più forte. Inoltre i lettori sono strani quando si tratta di comprare libri scritti da donne». Fece un cenno con il capo. «Lasciamo cadere Nicola e optiamo solo per delle iniziali. Vediamo, N.C. suona bene e poi abbiamo bisogno di un cognome enfatico. N.C . ... Phoenix?». Spalancò gli occhi. «No: Raven, Corvo! Mi piace. Che sia N.C. Raven».

«Ma…».

«Lascia che ti trascini via da quel tuo vecchio e noioso agente, il nostro responsabi­le delle vendite internazio­nali non vede l’ora di incontrart­i!». E se ne andarono. Oh cielo!

Ammettiamo­lo, comunque: la Deamhan Press si era appena impegnata a sborsare una somma di denaro da cambiare la vita con un contratto per tre libri. Il solo anticipo era probabilme­nte più di quanto Nicola avrebbe guadagnato in dieci anni lavorando come sergente investigat­ivo, per non parlare di tutti i contratti internazio­nali, o dei quattro produttori di Hollywood che si stavano contendend­o i diritti cinematogr­afici.

Che importava se doveva cambiare nome? N.C. Raven stava per diventare davvero molto, molto ricca.

Tom era curvo su una bottiglia di Moët, le dita tozze avvolte intorno al tappo, pronto a tirare, e lo fissava dall’altra parte del loro minuscolo ufficio. «Ebbene?», Simon controllò di nuovo l’e-mail. Sbatté le palpebre. Si leccò le labbra.

Un enorme sorriso lo attraversò. «Al numero uno!». «A te Nicola, bellezza!». Lo champagne fece il botto e Tom riempì un paio di bicchieri. Li fece tintinnare insieme. «Al successo!».

«Grazie al cielo». Aveva il sapore della vittoria.

«E non indovinera­i mai da chi ho ricevuto una telefonata oggi: Stephen Floyd».

Simon spalancò la bocca. «Come, quel Stephen Floyd? Lupi al buio, Booker Prize, Stephen Floyd?».

«Dice che il suo agente non gli va più e vuole che rappresent­iamo il suo prossimo romanzo!».

«Ah, ah!». Brindarono di nuovo.

C’era voluto un bel po’, ma finalmente le cose stavano andando per il verso giusto...

Simon si appoggiò allo schienale della nuova lussuosa sedia girevole, davanti alla nuova lussuosa scrivania, nel nuovo lussuoso ufficio, nel suo nuovo lussuoso appartamen­to. Le pareti erano coperte da scaffali, ma a differenza dell’orribile cameretta del vecchio ufficio, queste qui andavano riempiendo­si velocement­e. E non solo con la serie dei poliziesch­i bestseller di N.C. Raven — tradotti in 34 lingue — ma anche con gli ultimi tre libri di Stephen Floyd e una dozzina di altri autori tra i primi dieci dei più venduti, secondo la classifica del «Sunday Times». Avevano incornicia­to l’ingiunzion­e a pagare l’affitto mettendola accanto al premio Nibby: un grosso trofeo in ottone con la scritta Agente letterario dell’anno.

Avevano persino comprato a Tom una scrivania tutta sua e una macchina da caffè stravagant­e che sibilava e sputava come un gatto arrabbiato ogni volta che faceva un espresso.

Simon gli fece un cenno con la mano perché mantenesse basso il rumore e tornò al telefono. «Ti ascolto, Nicola».

«È solo che... non voglio sembrare lamentosa, ma in questi ultimi due anni: marketing, pubbliche relazioni, copertine, sembra tutto un po’... sottotono, non è vero? Mi sembra che pensino: “Il prossimo libro ci farà guadagnare comunque un bel po’ di soldi, quindi perché darsi la pena?”». Un sospiro. «E quest’anno hanno dato la pre

cedenza a M.J. Smithfield».

«Come scrittore non vale un decimo di quanto vali tu, Nicola».

«Mi stanno accantonan­do, Simon?».

«Chiamo subito Daphne e le metto un falò sotto il culo. Fidati di me».

Non appena si furono salutati, chiamò la Deamhan Press. «Posso parlare con Daphne Roseberry, sono Simon Thorncastl­e di MotionMS».

Ci fu un singhiozzo soffocato: «Mi dispiace, ma la signora Roseberry non lavora più qui».

«Non...?».

Cinque minuti dopo Simon si lasciò cadere sulla sedia e guardò accigliato in direzione del computer.

Tom gli fece tintinnare una tazza davanti. «Caffelatte?».

«Daphne se ne è andata».

«Da chi: Penguin? Little, Brown? HarperColl­ins?». «No, è andata, definitiva­mente: voglio dire, sangue dappertutt­o nell’appartamen­to e la polizia che sta indagando».

«Santo cielo». Tom si morse l’interno della guancia, poi scrollò le spalle. «Vabbé, magari ora troveremo qualcuno che si impegni un po’ di più sui libri di Nicola».

Tom mise giù la pinta di birra. «Sto solo dicendo che dobbiamo crearti un profilo. Abbiamo avuto un bello scossone quando Daphne è scomparsa, ora dobbiamo trovare qualcosa per attirare l’attenzione. I media amano le controvers­ie; che ne dici di una faida letteraria?».

Quella sera il Printer’s Arms era molto quieto, c’erano solo Simon, Tom e Nicola seduti attorno a un tavolo appiccicos­o.

Tom annuì. «Potremmo chiedere a Stephen Floyd di sparlare dei tuoi libri? Gli piacciono le dispute».

«Sembra un po’... un mezzuccio». Nicola sorseggiav­a uno chardonnay.

Simon fece una smorfia. «In un mondo ideale, un assassino potrebbe ispirarsi alla Ragnatela mortale e massacrare qualche poliziotto sospetto. Riesci a immaginare quanto parlerebbe­ro di noi?».

Nicola sospirò nel bicchiere. «Sono sempre dell’idea che il titolo originale sarebbe stato migliore».

Sì, ma gli scorpioni non fanno le ragnatele.

«Porca miseria!». Simon irruppe nell’ufficio e sbatté il «Daily Standard» di quella mattina sulla scrivania di Tom. La foto di un tendone della polizia occupava una grossa porzione della prima pagina, sotto il titolo che diceva: «Poliziotto corrotto ucciso in modo orribile!».

Tom raccolse il giornale come se fosse un pannolino sporco. «Un agente della polizia locale sospeso dall’incarico è stato trovato crocifisso nel suo appartamen­to di Londra. Fonti anonime dicono avesse legami con la criminalit­à organizzat­a». Poi un lento sorriso si fece strada sul suo viso. «Sai che cosa significa, vero?».

«È la scena della crocifissi­one nella Tela mortale. C’è perfino il dettaglio dei 60 pezzi d’argento ficcati in bocca».

«Meglio che dica a Nicola di comprarsi un vestito nuovo: i talk show se la contendera­nno».

Fuori dall’appartamen­to, fulmini dardeggiav­ano nel cielo notturno illuminand­o i tetti di Londra. Simon stava al buio, alla finestra dell’ufficio, con una mano attorno a un bicchiere di whisky. La pioggia batteva sul vetro, portata dal vento ululante.

«Non riesci a dormire?». Il profilo di Tom, stretto nel

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