Corriere della Sera - La Lettura
Il signorino delle mosche è Leopardi
Ingenuità del genio Il «Compendio» con due testi naturalistici inediti del poeta a 14 anni
Di Giacomo Leopardi mi ha sempre colpito una frase da lui messa in bocca al Folletto di una delle sue
Operette morali: «Io tengo per fermo che anche le lucertole e i moscherini si credano che tutto il mondo sia fatto a posta per uso della loro specie». La frase mi ha colpito, per l’immensa apertura d’orizzonte che questa meravigliosa espressione di protervo disincanto promuove — ci crediamo tanto diversi, ma siamo noi che giudichiamo: e chi, se no? — e anche per l’uso colto della parola «moscherini». I moscherini sono ovviamente i moscerini, che io ho studiato per tanti anni in laboratorio e che mi hanno rapito il cuore. Con i loro occhioni, di tutte le sfumature del rosso acceso, e con la loro passione per i profumi: un moscerino maschio può «comprarsi» un intero harem di moscerine con una goccia di aceto. Altro che Chanel N° 5!
Di Gaspare Polizzi ricordo tante avventure di convergenze parallele, ma in particolare una sera gloriosa di qualche anno fa per le vie di Recanati. Adesso ritrovo tutto, moscherini e Polizzi, in un aureo libretto del Leopardi adolescente: Compendio di storia naturale,
edito da Mimesis e amorevolmente curato appunto da Polizzi con la collaborazione di Valentina Sordoni. L’operina riporta due inediti da tempo in attesa di pubblicazione, del poeta quattordicenne, intento come solo lui sapeva fare a «divenir del mondo esperto,/ e de li vizi umani e del valore». Dove si parla anche di mosche. «Le Mosche sono piccoli insetti volanti, che hanno intorno al capo una corona di occhi, e come di specchietti lucidissimi co’ quali senza muoversi vedono tutti gli oggetti, che sono intorno ad esse». Non è proprio così, ma come dimenticare questo vivido ritrattino?
Il commento cui si abbandona l’autore della fonte alla quale verosimilmente il nostro s’ispira è degno di considerazione: «Ancor più mirabile è osservare come la mosca, con tutta quella molteplicità de’ suoi occhi non ravvisi gli oggetti in confuso; ma chiari, e distinti». C’è decisamente dell’entusiasmo in tutto questo, e il giovane Giacomo non si poteva augurare di meglio. Per il suo oggi e per il suo domani.
Tutta l’opera del nostro poeta mostra infatti una solida ossatura di conoscenze interiorizzate e meditate, come pure una certa inclinazione per il sapere scientifico, con il suo incedere disincantato e quasi canzonatorio, ancorché sistematico. Atteggiamento canzonatorio e dissacrante che da adulto il poeta sembra vivere con un composto senso di colpa, che lui pretende di tenere a bada estendendo il suo pessimismo al cosmo intero e la sua dissacrazione al facile entusiasmo dei suoi contemporanei per il secolo dei Lumi. Il Leopardi che incontriamo in questa lettura è invece un Leopardi giovanetto che studia e che sembra apprezzare ciò che studia. Con che cuore non lo sappiamo, ma sappiamo con che impegno: in lui ogni studio è «matto e disperatissimo» oppure non è.
Leggendo lo scritto, che poi non è molto di più di un compitino, ma è un compitino di Giacomo Leopardi, mi è venuto in mente che in fondo quella di imparare è una delle poche soddisfazioni che ci possiamo togliere, volendo.
Il bello di Leopardi è che ci restituisce con gli interessi tutto quello che riesce a far suo. Leopardi non sarebbe Leopardi senza la sua «libreria» interiore, piena zeppa di grossi volumi e di agili articoli, di gioielli e di cianfrusaglie, di dottrina e di accondiscendente frivolezza, di punti fermi e di fermate facoltative. Come dire della gloria del disteso mezzogiorno e delle farfalle crepuscolari apparse in mezzo ai viburni. Sono proprio i preziosi volumi della sua biblioteca interiore che assicurano la continuità del pensiero del nostro, quasi sospeso nella sua apparentemente imperturbabile razionalità. Ma con il passare degli anni su questo candido canovaccio lascia sempre più spesso qualche traccia il suo vissuto che, per quanto scomodo e in fondo banale possa essere, è sempre il suo vissuto.
Quante volte mi sono chiesto se si può vivere senza un vissuto. Alcune personalità eccezionali ce lo fanno sperare, ma i poeti, incluso il nostro caro Leopardi, si incaricano di disilluderci e di ricondurci a più miti consigli. Come non è possibile riflettere sul tempo senza stare nel tempo, così non è possibile contemplare la vita senza trovarcisi immersi anima e corpo. Il prezzo è alto, ma a volte ne vale la pena. Con Leopardi sempre, giovane e meno giovane.