Corriere della Sera - La Lettura
Il «Castigo» di Tiepolo di nuovo steso per 14 metri
«Il castigo dei serpenti», un monumentale olio su tela di Tiepolo, è stato srotolato (era stato piegato e accantonato come un qualsiasi lenzuolo) e restaurato Sarà presto esposto in una nuova sala della Galleria dell’Accademia di Venezia, in uno spazio destinato alla pittura del Seicento e del Settecento in Laguna
Nella lunghissima storia del Castigo dei serpenti di Giambattista Tiepolo (quasi 290 anni srotolati su una tela di 13,56 metri, alta 1,64) trovano spazio anche Tinto Brass e George Baselitz. A Italico Brass, pittore e collezionista oltre che nonno del regista de La chiave, era appartenuto fino al 1974 il Complesso della Scuola Vecchia di Santa Maria della Misericordia che ha ospitato nei suoi laboratori, vero fiore all’occhiello della Direzione regionale Musei del Veneto, il restauro del Castigo (eseguito dalla CBC e durato di fatto per tutto il lockdown ).A George Baselitz riporta invece Toto Bergamo Rossi, direttore della Fondazione Venetian Heritage che ha finanziato l’intero restauro nonché fino al 27 novembre la sua monografica Archinto, sempre a Venezia, ma a Palazzo Grimani.
Il Castigo con la sua storia lunghissima e spiegazzata (visto che quando l’ordine religioso che l’aveva commissionato venne soppresso nel 1810 si era pensato bene di conservarlo ripiegandolo proprio come un lenzuolo) è uno dei pezzi forti (o il pezzo forte?) del nuovo percorso espositivo, curato dal direttore Giulio Maneri Elia e dalla vicedirettrice Roberta Battaglia in collaborazione con Michele Nicolaci, delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Che da fine agosto-primi di settembre 2021 arricchirà il museo, che custodisce la più grande collezione al mondo di arte veneta, con 63 opere, per la maggior parte inedite, dedicate alla pittura veneta del Seicento e Settecento.
Ad accogliere i dipinti, molti dei quali finora mai esposti al pubblico per mancanza di spazi, saranno i saloni Selva-Lazzari, del pianoterra, totalmente rinnovati dopo un accurato lavoro di restauro, risistemazione e con una nuova illuminazione a Led (offerta da iGuzzini). E sono dipinti in parte mai esposti prima, o mai ammirati nella veste attuale, frutto di interventi di restauro realizzati per l’occasione. Oltre al Castigo dei serpenti, proveniente dalla Chiesa veneziana dei Santi Cosma e Damiano, la Deposizione di Cristo dalla croce di Luca Giordano; Erminia e Vafrino scoprono Tancredi ferito di Gianantonio Guardi (unica tela di un ciclo di 13 ispirato alla Gerusalemme liberata di Tasso, rientrata in Italia dopo un iter collezionistico complesso); la Parabola delle Vergini sagge e delle Vergini stolte di Padovanino; la Giuditta e Oloferne di Giulia Lama (anticonformista pittrice veneziana ancora tutta da riscoprire).
Le nuove sale e i restauri, secondo Maneri Elia, rappresentano «una sorta di risarcimento per un periodo, il Seicento a Venezia, finora non adeguatamente rappresentato alle Gallerie».
Opera monumentale che bene testimonia la feconda fantasia e originalità inventiva dell’artista, il Castigo (un «capolavoro assoluto») racconta l’episodio biblico dell’atroce punizione inflitta da Dio al popolo di Israele, reo di avere messo in discussione la propria fede durante la traversata del deserto, sfiancato dalla fame e dalla sete e per questo condannato a morire per i morsi dei rettili velenosi. A Mosè, che lo supplica di fermare la strage, Dio impartisce l’ordine di erigere un serpente di bronzo su di un palo, capace di dare la salvezza a coloro che avessero rivolto a lui lo sguardo.
Il formato lungo e stretto della tela trova spiegazione nella sua collocazione davanti all’altare maggiore, sul barco, ovvero sul pontile che attraversava l’aula della chiesa dei Santi Cosma e Damiano alla Giudecca. La scansione del racconto in tre campi, delimitati da fastose cornici ornamentali imitanti ricchi stucchi e intervallati da partiture architettoniche in finto legno dorato («un’architettura nell’architettura»), riprende probabilmente l’andamento delle finestrelle esistenti nel barco da cui le monache benedettine di clausura, protette da inferriate dorate, potevano assistere, non viste attraverso le gelosie, alla liturgia che aveva luogo nell’aula.
Il tema era stato già esplorato da Tiepolo in una dozzina di fogli giovanili, schizzati rapidamente a penna e acquarellati, oggi dispersi tra varie collezioni pubbliche e private e sembra eccitare la fantasia dell’artista che si esercita nel trovare soluzioni continuamente variate nella rappresentazione di eroiche figure maschili, immortalate in audaci contorsioni, complessi grovigli e arditi scorci, sorprese in espressioni tragiche nel disperato sforzo di liberarsi dalla morsa dei serpenti. L’irruenza espressiva è accompagnata da una pennellata corposa e da una tavolozza ridotta di pigmenti (biacca, giallo di Napoli, oro, rosso vermiglione e lacca, verde, blu).
Il dipinto (che avrà per sé un’intera parete di 25 metri e che sarà circondato da altri Tiepolo, «un museo nel museo») presentava gravi lacune, per lo più di andamento verticale e diagonale che solcavano, come una ragnatela, l’intera superficie pittorica interferendo pesantemente con la visione. I danni erano stati causati da un maldestro ripiegamento cui la tela, smontata dal telaio e arrotolata su sé stessa, era stata soggetta per circa un secolo, durante il suo ricovero in un locale della chiesa dei Santi Maria e Liberale a Castelfranco Veneto adibito a deposito demaniale.
Prima di quest’ultimo intervento (la direzione tecnica è stata di Cristiana Sburlino e Francesca Bartolomeoli), la superficie pittorica necessitava di una pulitura (soprattutto da «quelle sciabolate verticali in stile Marina Abramovic» ironizza Maneri Elia) e di una complessiva revisione per ridurre l’interferenza visiva delle sciabolate mediante l’abbassamento di tono delle stesse che tendono a mettersi sempre davanti all’originale. «Sarà un’esperienza unica» conclude Giulio Maneri Elia. Una riscoperta, quella del Castigo, che anticipa i fasti della grande mostra che l’Accademia dedicherà in primavera ad Anish Kapoor ma soprattutto la definitiva apertura (e il restauro) dell’intera collezione.