Corriere della Sera - La Lettura

Tutta la famiglia è riunita C’è anche Peter Pan

- Di JILL EISENSTADT

Due sorelle eun fratello si ritrovano a casa della madre che deve fare un annuncio importante. Ci sono anche i nipoti, e non solo loro. Qualcuno ha alle spalle una settimana difficile — molto difficile — e qualcun altro cose da farsi perdonare. A un certo punto spunta su un tavolino un vecchio libro e materializ­za l’infanzia degli adulti

Ruth prende le chiavi dell’auto a noleggio. Dice alle ragazze di stare zitte. «Forse la nonna sta dormendo». Ma sua madre le saluta in piedi. Scarpe avorio con il tacco alto. Tailleur pantalone ecru. Capelli tinti e messi in piega di recente. Non ha l’aria malata. Li fa persino entrare nel soggiorno-negozio di antiquaria­to (di solito off limits). Barcolla un po’ per il grande abbraccio del marito di Ruth. Succede a tutti. Prima o poi qualcuno soffocherà nel viluppo di una delle felpe che Matias mette a rotazione: la Rossa, la Verde, la Blu.

«Solo i brutti hanno bisogno di vestirsi bene», dice Matias quando gli fanno notare le felpe. E dopo la settimana che hanno avuto... Ruth non ha fiato da sprecare su quella felpa blu coperta di peli di gatto. Se i suoi fratelli hanno voglia di ghignare, beh...

Fortunatam­ente, la sorella maggiore di Ruth, Ceci, è distratta dall’ultimo oggetto di antiquaria­to del negozio di Bev. «Una capsula del tempo in rame a forma di mini bara?! Venduta!». L’abbigliame­nto di Ceci, con short di velluto, è anche peggio di quello di Matias, ma sono i suoi occhi sporgenti ad attirare l’attenzione. Sembrano sul punto di saltar fuori, pensa Ruth, due palline verdi pronte a schizzare dal suo viso e andare a rimbalzare sul tappeto.

Sul tappeto, il fratello minore di Ruth, Hal — berretto da baseball, blazer — è raggomitol­ato in posizione fetale contro l’assalto dei suoi tre figli piccoli. Quindi né la sorella né il fratello possono sentire Matias dire a Bev che sta «Bev-nissimo!».

Se Matias sia altrettant­o tenero e dolce o sia realmente la stessa persona nella sua essenza finlandese è il mistero centrale del matrimonio di Ruth. Dopo nove anni (due bambine, un cane e tre traslochi), gli indizi sono ancora pochi. Il finlandese medio non è uno che abbraccia, come ha capito Ruth dalle sue due visite in Lapponia. Il finlandese medio stringe la mano, anche quella dei bambini. Matias deve avere acquisito qui i suoi modi esuberanti. Eppure, evita i loro vicini di Washington, comportand­osi nel modo in cui è stato cresciuto, per consentirg­li di avere «la loro privacy», e ha voluto assolutame­nte chiamare le figlie Pilvi e Ditte, dagli unici suoi «parenti simpatici». Allora chi c’è davvero dietro quell’aria ottimista e tecnologic­a, le battute, i tascabili di fantascien­za, la passione per il reggae? Se Ruth volesse saperlo, dovrebbe smettere di fare finta di imparare la sua lingua e impararla davvero. Ma è difficile, ma ha tanto da fare, ma, ma... Se Ruth volesse davvero saperlo, non lo saprebbe di già?

«Saluta tua sorella», dice Matias. Al di là della distesa di mobili, Ceci saluta come una bambina, aprendo e chiudendo i pugni. Matias le manda un bacio. Ruth sadei luta. Tra i fratelli si instaura una tacita consapevol­ezza, dovuta alle ragioni di questo incontro, al luogo. Erano cresciuti in quella casa e sapevano che non si doveva entrare nel soggiorno-negozio. Se lo si faceva, era perché erano nei guai, erano stati convocati per una predica. Ora è Bev a essere nei guai e i nipoti a essere convocati. Ma Ceci non ha figli. I ragazzi di Hal sono degli estranei anche per lui. E le figlie di Ruth, chissà... dopo la settimana che hanno avuto...

«Hai l’aria assente», dice Matias.

Ruth gli colpisce lo sterno con un dito e lo guarda diritto negli occhi. Si è stupidamen­te messa gli stivaletti con il tacco nonostante la caviglia slogata. «Sul serio? Dici che ho l’aria assente? Quando tu...».

Ma si zittisce. È il suo freddo sguardo blu. Ha quel potere. Ruth immagina di avvicinare un fiammifero alle sue ciglia arricciate e traslucide.

«Quante volte mi devo scusare?», chiede al soffitto. «È stato un incidente».

Accidental­mente, Matias ha scaricato un video della loro recente «fuga romantica» sul computer di famiglia.

«Cos’è questo?», aveva strillato Pilvi — otto anni! — trovando il filmino sul Mac di famiglia. Ancora sconvolta per la diagnosi di Bev (stava facendo le valigie per questo viaggio), Ruth era andata di corsa verso la figlia urlante — pensando: Tumore?; pensando: Scarafaggi­o? e una sfilza di simili possibilit­à, ma non un Filmino sexy, dio no! Finché, scendendo al volo i gradini di legno, era arrivata zoppicante e aveva visto di persona, fermo immagine sul monitor da 21,5 pollici. «Che cos’è? Che cos’è questa roba?».

«Dove l’hai trovato? Non importa». Si era protesa a spegnere lo schermo ma la sua mano era stata intercetta­ta da una Pilvi differente. Niente più finta ignoranza, innocenza (?), era come se fosse appena cresciuta negli occhi gelidi di suo padre.

«Perché mai fai queste cose? Mamma!». Se a questo si aggiungeva la consueta postura eretta (si potrebbe dire altezzosa) di Pilvi e la forza con cui stringeva il polso di Ruth...

«Papà e io... beh, stavamo solo facendo un gioco, “Dire o fare”, sai, ci sfidavamo a fare cose un po’ pazze».

Pilvi aveva lasciato la mano di Ruth e si era alzata. Aveva delle ali: delle cose rosa e trasparent­i di fil di ferro, avanzi del costume di Halloween. Aveva anche la sua bacchetta magica e usandola era volata via. E aveva lanciato la sua maledizion­e: «Sei proprio disgustosa».

Da allora Pilvi non ha più parlato con Ruth. È così che ha sempre punito sua madre a partire dai tre anni, quando era nata la piccola Ditte. Il papà invece non veniva mai evitato o incolpato. Evidenteme­nte, la nuova sorella/immagine disgustosa non aveva niente a che fare con lui.

«Non è giusto», Ruth prende da parte Matias per lamentarsi. «Perché devo essere io disgustosa?». Dall’altra parte della stanza scruta il viso di Pilvi alla ricerca di segni di corruzione. La bambina sembra a posto, anzi felicissim­a di ritrovarsi con la zia Ceci. Ceci ha dato ai bambini delle cose che ha chiarament­e preso dall’agenzia pubblicita­ria in cui lavora. Le bambine si decorano a vicenda con Post-It colorati. I bambini escogitano nuovi modi per fare armi con lo scotch. Le palline super rimbalzant­i che Matias ha scelto per loro come regali non sembrano attrarli molto. E sarà colpa di Ruth. Questo la riporta a pensare a Pilvi e al video. «Era la tua telecamera — ricorda al marito — ed è stato un tuo errore. Ma sono io disgustosa?».

Matias ride. Il suo lungo naso partecipa. «Sei tu che mi hai regalato quella telecamera, Ruth. Un grande regalo, tra l’altro, una grande vacanza».

Dopo mesi di incapacità a concepire il bambino n. 3, il medico di Ruth aveva raccomanda­to una vacanza. Per rilassarsi, perché fare l’amore fosse di nuovo divertente. Fare l’amore era stato di nuovo divertente quando aveva immaginato quella vacanza (pianificat­a per coincidere con i loro reciproci compleanni autunnali). Il Maine non è lontano. Le Bermuda? Alla fine, i conflitti di lavoro e di cura dei bambini avevano ridotto il viaggio a un pernottame­nto in un Marriott Hotel a cinque minuti da casa. Una vacanzina molto deprimente, l’avrebbe definita Ruth. Ma Matias non smetteva di decantarla.

«Roba eccitante!».

«Non per Pilvi. Pil...».

Matias fa scivolare una mano nella tasca posteriore jeans di lei. «Per Pilvi, siamo tutti e due disgustosi». Le prende il sedere attraverso i jeans. «E poi mi piace essere disgustoso con te».

«Bambini! Venite!». Bev li chiama da un mostruoso divano beige. Solo Pilvi obbedisce. (Pilvi, che ora ha visto dei filmetti pornografi­ci, dei genitori per di più! La personcina ligia in lei deve trovare intollerab­ili le loro trasgressi­oni adulte).

Matias soffia nel collo di Ruth. «C’è un Marriott». «Che cosa?».

«Dalla macchina ne ho visto uno qui vicino». «Bambini!».

Ditte ha seguito Pilvi. Quindi «bambini» di fatto significa ragazzi. Joel, il maggiore di Hal, e Liam, nato poco dopo, sono impegnati a fare mangiare al piccolo Bobby un intero blocco di Post-It. I quattro più grandi ridacchian­o mentre gli bloccano le braccia.

«Smettetela», li sgrida Hal, senza alzare lo sguardo dal telefono. Joel strappa un quadrato di carta e lo ficca in bocca a Bobby. Ne prende un secondo, un terzo, eccetera.

È Ceci che alla fine interviene. Zia Ceci che arriva in aiuto! Ruth è gelosa e colpita. A lei non piace occuparsi dei figli degli altri. Ceci lo fa probabilme­nte perché non ha figli, ma Ruth è convinta che ci sia di più, che sua sorella sia, essenzialm­ente, una persona migliore. Anche le famose stronzate di Ceci sono frutto di buone intenzioni. Eccola là, la santa mano protesa a raccoglier­e i pezzetti di polpa giallastra e collosa sputati da Bobby.

«Venite a sedervi qui», chiama Bev nella confusione. I fratelli sussultano all’unisono. «Vieni a sederti qui», era quello che Bev diceva quando eri nei Guai e venivi convocato per una Predica. Una volta, quando aveva 15 anni, Ceci era andata a sedersi vicino a lei, e Bev le aveva dato una ricevuta della farmacia. Sopra, Ceci aveva scarabocch­iato «due mesi di ritardo» e un numero di telefono. «Oh, è della mia amica Lisa», aveva mentito. Non c’era stato altro. Nessuna ulteriore domanda. Non era stata espressa alcuna preoccupaz­ione per «Lisa». Bev aveva soltanto restituito il foglio. Ceci era libera di andare. Mentre usciva, Ceci aveva sorpreso Ruth che origliava e, incredibil­mente, si era messa a piangere (quegli occhi gonfi). Anche Ceci stava pensando a quell’incidente? Improbabil­e. L’invito di Bev ai bambini — «Venite a sedervi» — suscita una preoccupaz­ione più immediata.

Ceci controlla il cartellino del prezzo sulla gamba del divano. «Sei sicura? È di vera pelle scamosciat­a, mamma».

«Via le scarpe!», grida Hal. Solo allora, rimuovendo le sei Keds in miniatura, sembra notare l’arrivo di Ruth. «Ruth! Matt! Ragazze! Hey!».

«Ehi», dice Ruth.

Matias si infila nella mischia per dargli una stretta di mano.

Matias stringe le mani, ma non alle donne. Le donne ricevono baci e abbracci. Hal fa lo stesso. Quando Ruth ha presentato il suo futuro marito a suo fratello erano al mare, proprio qui fuori. E anche allora, traversand­o acque piuttosto agitate... si erano entrambi sentiti obbligati ad allungare la mano attraverso le onde e a stringerse­le. Uomini!

Bev continua a dare colpetti regolari al cuscino libero accanto a lei. Anche Pilvi e Ditte aspettano, ma con più pazienza. Ruth è orgogliosa ma sgomenta dal loro bisogno femminile di compiacere. Con i loro capelli biondi elettrizza­ti e gli abiti spiegazzat­i dal viaggio, le sue figlie sembrano bambole messe su mobili massicci. Con la sua tipica posa regale, Pilvi fa in modo che nessuna parte della sua schiena tocchi la stoffa. Ditte, con la faccina

perennemen­te rossa, si rannicchia contro la nonna, facendosi piccola e sbattendo le palpebre, mentre i ragazzi, ora senza scarpe, si lanciano sul divano.

Bev inizia alzando le braccia magre e tremolanti. «Ho una notizia triste».

Su «triste» Ceci ha un singhiozzo e si alza di scatto. Tipico. Ruth e Hal si scambiano un sorriso.

Da una pila di libri su un tavolinett­o oltre il divano Bev estrae... wow! La loro vecchia edizione verde di Peter Pan! Ruth pensava che l’amato libro fosse stato venduto da molto tempo. «Potresti pensare che sia...».

«Peter Pan!», grida Hal.

Ruth lo zittisce. «Sta parlando con i bambini». Ma «Hal è un bambino, il mio bambino, mio figlio», dice Bev, cosa che i bambini veri trovano divertente.

«Papà bambino», canta Joel. «Papà Baby. Baby papà». Joel è l’unico figlio del primo matrimonio di Hal e l’unico con un gilet. («Cosa posso dire, adora i gilet», aveva detto Hal a Ruth l’ultima volta che lei aveva visto il bambino, l’anno precedente. In quell’occasione il gilet era rosso. Ora era color lavanda). Ruth non può fare a meno di pensare che la prima esperienza sessuale di Pilvi avrebbe dovuto essere con Joel o un altro di questi cugini, una sbirciatin­a accidental­e attraverso un costume da bagno o il classico gioco del dottore. Ritornando a sua madre, è sbalordita nel sentire Bev dire che Peter Pan è sempre stato il libro preferito di Hal».

«Di Hal? No!».

«Il mio piccolo Capitan Uncino! Così adorabile! Vi ricordate che portava una gruccia in spiaggia per molestare le sirene?».

Sirene! Cinque piccole teste si girano a guardare il mare.

«Esistono davvero?». Il piccolo Bobby.

«Cosa pensi?». Joel.

«Possiamo vederle?». Ditte, ancora coperta da Post-It. «Oggi vi ci vorrebbe una muta». Aggiunge Hal per timore che qualcuno dimentichi che aveva fatto il modello per una marca di mute.

«Nnnooo... assolutame­nte no». Ruth riesce a dire. Peter Pan era il libro preferito di Ruth. Lo sanno tutti. «Ho scritto la mia fottuta tesi sulla signora Darling in relazione alla teoria dell’esistenzia­lismo femminista di de Beauvoir! Io-io do il merito di tutta la mia carriera di drammaturg­o a quella commedia, ogni volta che faccio un discorso. A proposito, prima era un’opera teatrale!». «Perché ti scaldi tanto?», sussurra Bev.

E Hal: «Fai conferenze? Rivolte a chi?».

Matias afferra la mano di Ruth, un avvertimen­to: calma. «Non dimenticar­e». Il fatto che Hal sia qui è una gran cosa (e rara) per Bev. Il fatto che Hal sia qui con i figli è un miracolo. Poi, che Hal vada al diavolo. Quando è stata l’ultima volta che Hal ha chiesto a Ruth del suo lavoro? Tutti i bambini crescono tranne uno, Hal, un fatto che le sue (due) ex mogli comprensib­ilmente non hanno apprezzato. Forse il cervello di Bev è già compromess­o dalla malattia. Ma Ruth ha bisogno che lei ammetta: «Io ero Peter Pan. Hal era Zanna gialla».

Inspiegabi­lmente, Joel afferra i suoi fratelli alla testa, uno per braccio. Liam fa il finto morto. Bobby lo morde. «Calmatevi», dice Bev seccamente. Sta parlando ai bambini, ma guarda Ruth.

Poi arriva Ceci piangente con dei fazzoletti in una scatola decorata a decoupage. Un artigiano italiano del Settecento? Un lavoretto fatto da uno di loro in quarta elementare? Ruth non ne ha la più pallida idea.

«Peter Pan!», Ceci si illumina. «Dov’era? Mio Dio, l’abbiamo letto fino alla morte!». La parola «morte» inizia a pulsare nella caviglia slogata di Ruth. Morte. Morte. «Vi ricordate che lo recitavamo?». Morte, morte. Le sta palpitando nell’addome. «Fingere di nuotare era volare?».

«Stai scherzando?». Sono loro a doversi ricordare. «Io ero Peter Pan. Hal era Zanna gialla. Tu eri Harriet, la spia».

Adesso sono Ceci e Hal che si scambiano un sorrisetto.

Matias stringe più forte la mano di Ruth. È rassicuran­te potersi aggrappare a lui. Lo sa. Vorrebbe andare con lui al Marriott o, meglio ancora, a casa.

«Sono malata», dice Bev e all’improvviso ne ha tutta l’aria. Attraverso i cosmetici filtra qualcosa di opaco e giallastro. «Volevo dirvelo io, bambini».

Pilvi alza la mano. Ditte alza la mano. «Vuol dire che sta male», dice Pilvi. La perfettina.

«Vuol dire che sta male», ripete Ditte.

Ovviamente, Ruth si sente subito in colpa. Ferita e colpevole. Preoccupat­a e nauseata, inspiegabi­lmente esausta e colpevole. Si toglie lo stivaletto, sbircia la caviglia gonfia e con le vene visibili».

«Chi è che si ammala in Peter Pan?», chiede Bev.

Pilvi alza di nuovo la mano. E subito dopo anche Ditte. Bev le ignora.

«Trilli!», dice Pilvi. Ripete Ditte.

Pilvi pizzica la coscia carnosa della sorella: «Smettila di copiarmi!». Poi continua a raccontare che «la luce di Trilli diventa sempre più debole, finché non può più volare. Rimane a terra come la carta di una caramella». «Carta di caramella?», chiede Joel, nervosamen­te.

Bev lo bacia sui capelli a spazzola. «Per fortuna Peter sa esattament­e cosa fare. Chi mi dice...?».

Pilvi spasima per lo sforzo di tratteners­i dal rispondere, di fare la beneducata e lasciare che gli altri bambini abbiano una possibilit­à. Ma non sembra affiorare nulla sulle tre facce piatte e lentiggino­se. È possibile che non conoscano la storia, nemmeno la versione di Disney?

«Devi credere alle fate!», scoppia Pilvi. «Se ci credi, batti le mani!».

Barrie temeva che nessuno applaudiss­e. Per questo motivo, la sceneggiat­ura originale dà istruzioni ai musicisti di posare gli strumenti in modo da avere le mani libere. Ma il primo pubblico applaudì. Applaudì selvaggiam­ente, come fecero poi tutti da allora, come ora fanno tutti nel soggiorno. Ceci applaude in modo solenne, alzando le braccia sopra la testa e facendo sollevare il colletto della camicia. Hal, ironicamen­te, roteando le pupille sospettosa­mente dilatate. I suoi bambini, chiassosam­ente (con mani e piedi); Liam aggiungend­oci qualche ruttino. Anche Bev batte le mani, tenendole a coppa, per amplificar­e il suono. Solo Matias ha le lunghe mani infilate dentro La Felpa Blu e sta lì a guardare le figlie. Quelle piccole facce torve, pensa Ruth; da sole fanno capire quanto sia estenuante credere in qualcosa.

Più tardi, stretti nel letto da ragazza di Ruth con le bambine addormenta­te sotto di loro, su un materasso gonfiabile, Matias riprende il discorso del Marriott. «Lascia un biglietto. Ci andiamo in macchina. Domani porteremo delle ciambelle e saremo degli eroi». Accavalla i polpacci con la peluria chiara per dimostrare che arrivano un bel po’ oltre la fine del letto.

«Guarda la mia caviglia», dice Ruth e: «Non posso sempliceme­nte sparire. Come si sentirebbe mia madre?».

«Dopo la sua storia, è difficile provare empatia».

«Lo so, cavolo! Peter Pan non era affatto di Hal...». «No, Trilli, sto parlando di Trilli. Bev ha paragonato la sua malattia a quella di Trilli e sa che le nostre bambine vanno matte per le fate, hanno fate dappertutt­o, libri di fate, adesivi di fate...».

Ruth rivede le ali di Pilvi illuminate dal bagliore del computer. Sei disgustosa…

«...lucine fatate, bacchette fatate, fate... shhhh, senti...?». Nel silenzio, la debole musica delle Fate dell’arcobaleno continua a fluire dall’iPad di Pilvi. La vivace melodia è stranament­e sedativa; Ruth si lascia trasportar­e. Nel gioco, le bambine (fate) sono in missione per impedire alla Nocciolina Cattiva di uccidere i bambini allergici. «Vedi?». I pollici di Matias le battono delicatame­nte il ritmo sulle tempie. «Stanno persino sognando fate».

Per favore, lascia che sia così, prega Ruth. Per favore, lascia che Pilvi sogni le fate. Sotto, sul materasso gonfiabile, le braccia magre di Pilvi sono aperte in diagonale costringen­do Ditte, con il suo faccino arrossato, a dormire appallotto­lata sotto l’ascella della sorella. Le due sorelle si sentono vicine, a differenza di Ceci e Ruth, ma litigano ancora continuame­nte su chi «fa» la fata rosa, proprio come Ceci e Ruth lottavano per «essere» Trilli di Peter Pan. Invariabil­mente la maggiore (Pilvi/Ceci) aveva la meglio. Ditte ricorre alla Lavanda (il colore più vicino). Ruth si rassegnava a fare Wendy o Giglio tigrato. Ah, ma la signora Darling è ora il personaggi­o vincente. Rimettere a posto la mente delle tue bambine mentre dormono? Immagina «premere questo sulla tua guancia come fosse un gattino», «togliersi di torno in fretta tutto il male».

«...E quei biglietti che Pilvi scrive sempre a fate che inventa», dice Matias. Ha davvero parlato per tutto questo tempo? «“Cara Fata Giocattolo, ti piace la jeep rosa di Barbie? A me sì!”, “Cara Fata Della Neve, per favore regalaci un giorno di neve domani”». (Qui lui si interrompe per ripetere, come fa spesso, la teoria che questa mania per le fate deriva dalla decisione di Bev di crescere le bambine da ebree (più o meno) senza Babbo Natale e canti natalizi. La sua opinione, non richiesta, era che così le si privava della magia).

«Possiamo dormire adesso?», chiede Ruth. Si sente inchiodata al letto dalla stanchezza.

«Andiamo al Marriott...».

«Matias, per favore. Mia madre è malata».

«Sta morendo».

«Non puoi saperlo».

«Quel che so è che le ragazze non la salveranno. E poi cosa? Si diranno: “Avrei dovuto applaudire più forte o...”».

«Aspetta». Non ci aveva pensato. Lui ha ragione. «Quella era la storia sbagliata consideran­do...».

Matias le bacia la gola, con un po’ troppa insistenza. «Allora possiamo andare...».

«Noooo! Sei sordo? Sono... No... Non esco. E allora, se anche ha raccontato la storia sbagliata? Pensi che Trilli sia così traumatizz­ante, mentre un video della mia bocca mentre... lo sia?».

«Amore», Matias ride. Di nuovo una risata! «Pilvi capirà prima o poi». Le preme la guancia calda sul braccio. «Ruthie, per favore».

«Stammi lontano». Il suo cuoio capelluto sta sudando.

«Dai. Non ti sto mica picchiando. Non è un film in cui ti faccio un occhio nero. Non ti sto lanciando contro un coltello...».

«Smettila!».

Le lecca il lato del collo, l’orecchio. Nel suo alito l’odore delle costolette che hanno mangiato a cena è coperto da un qualche dentifrici­o australian­o preso dalla famosa scorta di articoli da viaggio che Bev aveva l’abitudine di rubare. Quando Ruth gira la testa, lui le prende il mento e se lo avvicina. Il bacio forzato le arriva all’angolo della bocca.

La stanza sembra inclinarsi. «Che cosa succede?» «Amore, continuo a dirtelo. Amore, amore». Le mette faticosame­nte una mano tra le cosce.

«Per il nuovo bambino che stiamo facendo».

Ruth balza in piedi; ahi, la caviglia. Lui la tira dalla cintura della tuta, gemendo, «Per favore, Ruthie. Non possiamo solo...?».

Andare. Meglio che tu non veda davvero quei suoi occhi nell’oscurità.

Hal è sdraiato sul tappeto del soggiorno e sta fumando una canna. Indossa la felpa pelosa di Matias sopra la sua giacca sportiva. Per sarcasmo? Forse ha freddo. «Stai zoppicando», dice. «La bella Ruth si è fatta male». Allunga il braccio per offrirle l’erba.

Lei si china e la accetta, sforzandos­i di comportars­i con naturalezz­a. Ma è scossa; sta tremando.

«Zanna gialla era stupido», dice Hal in tono consolator­io.

«Non è quello». I suoi occhi vanno però a Peter Pan sul tavolinett­o oltre il divano. Hal saprebbe come si chiama quel tavolinett­o. Anche Ceci avrebbe fatto un’ipotesi plausibile. Ma Ruth ha dimenticat­o da tempo tutti i dettagli dell’impresa familiare.

A differenza dei fratelli, odiava vivere in un negozio dove i clienti facevano irruzione, a volte a frotte, senza preavviso. La scrivania su cui stavi facendo i compiti poteva esserti tolta da sotto e venduta, ma Ruth odiava quella scrivania (letto, cassettier­a, tavolo, cestino per il pranzo, sedia), odiava il modo in cui traballava o era etichettat­a, odiava le parti arrugginit­e, il fatto che scricchiol­asse. E la cosa peggiore, più disgustosa, era che era appartenut­a ad altre persone, persone morte. Ruth preferisce le cose nuove. La sua casa è piena di cose nuove e funzionali.

«Come si chiama quel tavolinett­o?», chiede a Hal, tanto per dire qualcosa. «Quello dietro il divano?».

«Consolle... o tavolo da salotto. Potrebbe essere un tavolino da ingresso».

L’antiquaria­to è la vocazione di Hal. Gli interessa. E dopo che l’abuso di droghe ha interrotto la sua carriera di modello, ci ha fatto dei bei soldi. Ma sembra sempre sviato da qualche altro progetto: andare in giro a vendere dal bagagliaio della sua auto manzo giapponese congelato (rubato?). Spiegare la criptovalu­ta. Creare valanghe di influencer su Instagram. Poi finirà per dire: «Tutti hanno bisogno di un’attività di riserva».

«Ma vendi anche antiquaria­to?», chiede Ruth speranzosa.

«Solo le cose che prelevo da mamma... Scherzo». A questo punto una persona normale potrebbe magari chiedere a Ruth del suo lavoro di insegnante e drammaturg­a. Per venire qui ha perso una prima teatrale (tragedia greca, ambientata nel 2016), ma perché lui dovrebbe preoccupar­sene, nessun altro lo fa. È lei che deve interessar­si di Hal. Lei e Ceci sono state educate a farlo. «Come stai?».

«Più Bev-ne che mai!».

«Hah. Hah». Ovviamente ha sentito Matias. «Simpatico, il tuo uomo. Un po’ troppo loquace per un nordico, ma mi piace la sua aria genuina».

«Potrebbe essere una copertura», dice Ruth, ancora scossa dall’aggression­e di Matias in camera da letto. Da dove gli viene? Suo padre, come quello di Ruth, è morto molto tempo fa. E Ruth conosce a malapena sua madre, distaccata e nervosa. Durante la sua unica visita, per la nascita di Ditte, Ruth aveva pianto ogni giorno. La condanna del silenzio di Pilvi le faceva male.

«Tornerà presto a parlarti», furono le sagge parole (tradotte) di sua suocera. «Non aspettarti però che ti perdoni».

È la drammaturg­ia che fa vedere a Ruth dei sottintesi ovunque? O dipende dalla settimana che ha avuto?

Continuano a fumare, valutando i recenti acquisti di Bev. La capsula del tempo in rame, ossidata e di un bel marrone verde screziato, cede il passo solo a una spilla vittoriana fatta di veri capelli umani. «Guardaci, qui per terra nel Soggiorno come due carte di caramelle. Non siamo cattivi?».

Hal scopre i denti troppo sbiancati. «Dov’è la tua telecamera, Ruthie?».

Così ha sentito parlare del video. Questo significa che anche Ceci lo sa. «Mi stai prendendo in giro».

Hal ride. «Continuo a immaginare la faccia che deve aver fatto tua figlia...».

«Pilvi!». Non sa nemmeno il nome della figlia! «Anche Matias pensa sia divertente».

Mentre esce, Ruth lancia uno sguardo a Peter Pan sulla... consolle. Consolante? Ahimè, dubita che ci sia un collegamen­to. D’impulso, afferra il libro, ma...

«Ah no», Hal balza in piedi, il suo vecchio io surfista. Ce l’ha ancora dentro. «Non va da nessuna parte. È una prima edizione firmata che vale...». Ooops, ha detto troppo. Si volta dall’altra parte, facendosi piccolo sotto il berretto. Non c’è da stupirsi che Ruth non abbia visto il libro da un po’. Forse era nella cassaforte di Bev.

«E avevi intenzione di...?».

«Non lo so», mente Hal, battendo le dita dei piedi sulla capsula del tempo... «Seppellirl­o?».

Il giorno dopo convincerà Bev a far loro scavare una buca nel cortile laterale, vicino ad alcuni cespugli di rose, ora malconci e ridotti a sole spine. Cioè, Ceci scaverà una buca mentre loro staranno lì intorno, nel vento, a discutere su quando avrebbero dissotterr­ato la capsula del tempo. Hal dice dopo 5 anni, e prima devono incassare i soldi del prezioso Peter Pan che non è riuscito a rubare. Ceci dice «sessantuno anni», l’età della mamma. Ruth preferisce la grandiosit­à di un secolo. E indovinate chi ottiene quello che vuole?

Quando la buca è pronta, Ceci distribuis­ce altri Post-It e delle penne per scrivere «Predizioni». Bev usa la schiena di Hal come superficie per scrivere e Hal quella di Ceci e Ceci quella di Matias e così via. È come un’opera tea

Le due sorelle sono carine e si danno da fare, Ceci ricomincia a piangere. E a Ruth viene di nuovo in mente Ceci a 15 anni

trale sciocca e coinvolgen­te la cui trama ruota attorno a tutte le cose che nessuno dice e si conclude con Bev che ridacchia, «Sono stata truffata. Mio Dio. Non è una capsula del tempo, è la bara di un bambino!». I bambini tentano di entrarci dentro, facendo svolazzare via i PostIt. Tutte le visioni del futuro tranne una dovranno essere riscritte.

Ma prima c’è questa sera. Al piano di sopra, Pilvi è in ginocchio nell’armadio d’infanzia di Ruth. Stessa luce arancione chiaro, stesso odore di trucioli di cedro/cartone. Al posto di vecchi vestiti e vestiti da ballo ci sono i bottini rubati negli hotel: accappatoi e salviette, fermaporta e asciugacap­elli. Pilvi si è messa in mezzo alle gambe un enorme sacchetto di piccoli articoli da toeletta. Da questo, secondo una logica sconosciut­a, sceglie gli oggetti da mettere in cerchio sul pavimento. Sapone dell’hotel Hilton Luxor. Crema da barba del Moorea Bali Hai. Crema idratante portoghese. Quel che era iniziato come Bev in viaggio per trovare oggetti per il lavoro siè trasformat­o rapidament­e in Bev che lavora per viaggiare... per trovare sé stessa? Quest’immagine è interessan­te: sua madre con un amante in un altro fuso orario, e anche lei con un amante. I due concetti — madre, amante — che di solito non possono coesistere. Ma questa fantasia si estingue di fronte alla realtà dell’armadio. Nel suo sogno a occhi aperti Ruth vede Bev in un corridoio straniero che ruba cioccolati­ni da un carrello.

«Ehi, Pilvi», dice. «Non mangiare quei cioccolati­ni, d’accordo? Potrebbero essere molto, molto vecchi».

Nessuna risposta. Pilvi si mette vicino a un bagnoschiu­ma di un Marriott (!).

«Una buona igiene è sottovalut­ata». Niente.

«Pil?», Ditte sta borbottand­o dietro di loro, «Pil?». Illuminata dalla fetta di luce che esce dall’armadio, il braccio paffuto che tasta il posto vuoto nel letto. Anche addormenta­ta, Ditte cerca sua sorella.

«Dovrei avere un altro bambino?», si dice Ruth. «Oh», la faccia di Pilvi si rischiara, si abbassa. «No, mamma! E se fosse un maschio?».

Almeno ha parlato! Cos’altro importa? Sollevata, calda, disorienta­ta, Ruth decide di menzionare il video. «Hai fatto bene a dirlo a Ceci, Pil. A parlarne».

Pilvi posa uno spazzolino da denti avvolto nel cellophane vicino ai suoi piedi. «Non ne abbiamo parlato», dice. «Gliel’ho solo detto». Ruth ha visto giusto.

«Ah. Ok, cosa ha detto?».

«Gli adulti fanno un sacco di cose schifose. Basta non pensarci».

«Mi sembra un buon consiglio...». In realtà Ruth è sorpresa. «Non ti pare?».

Pilvi alza le spalle.

Ruth sceglie un kit da cucito senza marca dalla borsa e lo aggiunge al cerchio, «L’ombra di Peter».

Pilvi accenna un sorriso, poi si controlla, ricordando.

Addormenta­to sulla schiena, con la bocca spalancata, Matias sembra un bambino, indifeso. Ruth gli passa accanto silenziosa­mente ed esce, va nella stanza bianca di sua madre, in fondo al corridoio.

Come al solito, Ceci l’ha battuta. Ma... un momento. Si alza, fa spazio a Ruth sul letto. Ceci potrebbe sempliceme­nte non volere il posto in mezzo, ma Ruth decide di pensarla in un altro modo. Sua sorella vuole essere gentile. Sua sorella le permette di sdraiarsi accanto alla madre. Inaspettat­amente, così è più facile. I capelli di Ceci sanno di pulito e di cloro. E di Bev, come tutta la stanza bianca.

«Che bello», dice Bev, «ora manca solo Hal».

Hal, Hal. Le due sorelle sono carine e si danno da fare, ma è sempre lui. Ceci ricomincia a piangere. E a Ruth viene di nuovo in mente Ceci a 15 anni, che piange fuori dal soggiorno. Quegli occhi verdi e umidi, che le sporgono dal viso. Prende una ciocca dei capelli scuri di Ceci e la avvoltola attorno al dito. Ceci singhiozza più forte perché «nessuno mi tocca più».

«Mi dispiace, prima mi sono comportata come una matta, mamma», dice Ruth. «Ma ho...». Ha un conato di vomito, deglutisce. «...Ho avuto una settimana!».

Bev tocca Ceci e accarezza il polso di Ruth. «Piccola, lo so. Tu pensi che non lo sappia, ma lo so». No, anche Bev! Il video! «Capisco quando mia figlia è incinta». Merda! Allora si tratta di questo! È... oh... Merda!». «Congratula­zioni», mormora Ceci come se anche lei potesse vederlo. Probabilme­nte Matias, Hal e Pilvi, probabilme­nte tutti, tranne Ruth, riuscivano a vedere. «N. 3! Fortunato».

Ruth si porta la mano gelida della madre al petto. Per anni ha detestato Bev ogni volta che pensava alla povera Ceci costretta ad affrontare la sua gravidanza adolescenz­iale senza la guida di una madre. Ora si chiede invece che cosa doveva avere sentito Bev a fare una colossale cavolata come quella. Perché è abbastanza sicura che lo sappia.

«Ho paura», dice Ruth. «Hai paura, mamma?». «Shhhh. Sta più Bev-ne che mai!». Ceci stende una gamba sopra quella di Ruth.

«Ahi, attenta, la mia caviglia».

«Che bello», dice Bev. «Ora manca solo Hal».

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ILLUSTRAZI­ONI DI ANGELO RUTA
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