Corriere della Sera - La Lettura
Geppetto contemporaneo
crede che le favole siano molto vicine a noi. Lo dimostra la vicenda (vera) del pescatore americano inghiottito da una balena. «In tutte c’è un aspetto attuale. Come la Sirenetta, simbolo dell’ossessione per il corpo»
Il giorno del disegno numero 488 per Edward Carey, autore, drammaturgo e illustratore inglese, prevede un ritratto di William Turner. Nell’incontro con «la Lettura», via Zoom, lo scrittore in vacanza con la famiglia nel Kent, racconta che ha previsto una giornata al mare, ma non vuole trascurare l’impegno che si è prefissato dall’inizio del lockdown. Sta per terminare il progetto A drawing a day, un disegno al giorno, per illuminare con l’arte il buio della pandemia. «L’obiettivo sono 500 disegni che saranno poi raccolti in un libro». Carey maneggia da sempre miti e atmosfere fiabesche. Lo ha fatto anche con Nel ventre della balena (La nave di Teseo), spin-off della fiaba di Pinocchio in cui racconta la vita di Geppetto nei due anni trascorsi nella pancia di quello che per Collodi era un pescecane. Carey è un visionario: sognatore e idealista, crede che l’immaginazione sia il bagaglio fondamentale per affrontare i tempi difficili che stiamo vivendo.
Bisogna rivalutare il potere salvifico delle fiabe, anche riscrivendole?
«Certo, le favole non sono così lontane da noi. Ne abbiamo avuto una prova, poco più di un mese fa: un pescatore di aragoste che in Massachusetts, al largo di Cape Cod, è stato inghiottito per 30 secondi da una balena. Un sacco di persone mi hanno interpellato come fossi un veggente perché ho scritto di Geppetto, sopravvissuto anche lui nella pancia di un gigantesco cetaceo. Dopo questo fatto di cronaca la mia storia ha assunto tutta un’altra dimensione».
Nel corso di scrittura creativa che tiene all’Università di Austin in Texas, dove vive, analizza e insegna lo storytelling delle favole. Come reagiscono gli studenti alle sue lezioni?
«All’inizio sono stupiti, ignari della potenza del messaggio simbolico, potente e attuale nelle opere, ad esempio, di autori come Hans Christian Andersen e i fratelli Grimm. Conoscono solo le versioni edulcorate della Disney e non immaginano la forza dirompente di queste narrazioni. Andersen mostra l’ossessione per la fisicità: era un uomo di corporatura massiccia, a disagio con la sua taglia e anche con la sessualità. Nel personaggio della Sirenetta, il conflitto nell’essere metà umana e metà pesce è una metafora del costante malessere dell’autore. E, come sappiamo, niente oggi è più onnipresente che l’enfasi sul corpo e l’apparenza. In Hansel e Gretel è sviscerato un altro tormentone attuale: il cibo. Tutto nella trama di questa fiaba ruota attorno al bisogno impellente di sfamarsi. Metafora perfetta da interpretare nell’ottica consumistica della nostra realtà. Dove tutti sono sempre affamati, non solo di cibo... ma di potere, attenzioni, ricchezza. Mentre la sazietà è un obiettivo che si allontana sempre di più».
Nelle versioni più antiche le favole hanno risvolti ambigui, crudeli, misteriosi: svelano i lati più scuri dell’animo umano. Oggi la censura del politicamente corretto può considerarsi una minaccia alla forza di questi straordinari racconti?
«Lo scopo delle fiabe è sempre stato mostrare l’essenza degli esseri umani.
Non può esistere censura. Lo schema narrativo deve offrire la sensazione di tagliare la testa al protagonista per guardare cosa c’è dentro: nel bene e nel male. Pinocchio è un personaggio grandioso nelle sue sfaccettature, così vere e anche disturbanti. Sempre pronto a trasgredire ogni regola, a mentire. A comportarsi male per imparare a crescere. Tutte le favole sono grandi romanzi di formazione: per fare crescere il protagonista i genitori devono essere morti e anche i fratelli e le sorelle maggiori rischiano sempre la pelle! Poi insegno ai miei studenti che lo schema della favola è una struttura classica che ha ispirato grandissime opere e autori. Charles Dickens, il mio preferito, nel romanzo
Grandi speranze ci presenta Miss Havisham, che ha perso il senno perché è stata abbandonata all’altare. Dopo decenni indossa ancora l’abito da sposa, sporco e lacero, mentre la torta nuziale è rimasta sulla tavola mangiata dai topi. Questo personaggio è senz’altro la versione maledetta di Cenerentola. Un altro grande autore che ha pescato a piene mani dalle favole è Günter Grass nel meraviglioso romanzo Il tamburo di latta, così ha fatto anche Jeanette Winterson nell’incredibile trama della novella The Passion».
Un altro concetto che sta dilagando nel dibattito pubblico anglosassone, il «body shaming», cioè l’obbligo di non giudicare dall’aspetto, è senz’altro agli antipodi del mondo delle fiabe, dove i personaggi hanno sempre un’apparenza bizzarra ed eccentrica, lontana dagli schemi tradizionali. Che cosa pensa di questa idea?
«La trovo esagerata. I personaggi delle favole devono essere strani, a volte anche disturbanti. Sono proprio le imperfezioni ad arricchirli e a renderli diversi, la loro sofferenza rispetto ai canoni standard di bellezza è sempre funzionale alla storia».
Succede anche nel suo libro Piccola, la biografia di Marie Tussaud, dove la protagonista Marie Grosholtz, un’orfana poverissima, lascia la natia Svizzera alla volta di Parigi. Una donna minuscola e bruttina ma con forza e creatività incredibili. Come è nata l’idea di questo romanzo?
«Una delle mie prime esperienze professionali è stata proprio lavorare al Museo Madame Tussauds a Londra. Il compito era stazionare nelle sale per controllare che i visitatori non toccassero le statue. Alcuni si comportavano con grande maleducazione, magari cercavano di dare un buffetto sulla guancia della Regina Elisabetta. Stava a me redarguirli. Lavorando lì ho scoperto l’incredibile storia di questa donna che attraverso i calchi di cera aveva traghettato in Inghilterra le prove tangibili della Rivoluzione Francese. Nel 1789 i capi dell’insurrezione le avevano ordinato di creare le maschere mortuarie dei ghigliottinati, proprio le medesime che trasportò successivamente con sé a Londra, dove poi fondò il suo museo».
Il romanzo, come gli altri che ha scritto, è arricchito dalle sue illustrazioni. Lei scrive, disegna, a volte crea anche sculture in gesso o legno. L’ispirazione parte prima dalle immagini o dalla scrittura?
«Dipende, non c’è una regola fissa. Quando lavoro smarrisco la nozione del tempo. Un po’ come fanno i bambini quando giocano, è un atteggiamento spontaneo a cui tengo molto. Mi è fondamentale per conservare la creatività. A volte il coinvolgimento parte prima dalle immagini e poi dalle parole ma accade anche il contrario».
Rivendica quindi la libertà di tornare a una sensibilità tipica dell’infanzia, mentre nell’età adulta l’aggettivo «infantile» ha spesso una connotazione negativa...
«Non per me, sono convinto che avere la possibilità di perdersi nella propria immaginazione sia sempre un salvagente. Voglio continuare a credere che lo schema delle favole, anche nella vita vera, torni ancora e ancora. Ne abbiamo avuto purtroppo un altro esempio recentemente quando un orco dai capelli arancioni dalla Casa Bianca ha cominciato a fare danni in tutto il mondo...».
Che effetto le fa il ritorno in libreria, a settembre, del suo romanzo d’esordio «Observatory Mansions»?
«Per scrivere una nuova introduzione l’ho riletto dopo vent’anni e sono stato piacevolmente sorpreso dalla crudeltà di certe situazioni. Ai tempi era stato difficile trovare il coraggio di esprimere il mio umorismo macabro, alla fine avevo osato solo perché non pensavo di essere pubblicato!».