Corriere della Sera - La Lettura

Nell’Arcadia di Tasso si trovano i nostri sogni

Una nuova edizione dell’«Aminta» riporta all’attenzione un’opera pastorale piena di grazia e sensibilit­à Le sue increspatu­re si comprendon­o dentro l’autunno del Rinascimen­to, come dentro la complessit­à delle singole vite

- di ROBERTO GALAVERNI Classici

Una nuova edizione dell’Aminta di Torquato Tasso mette a disposizio­ne del pubblico italiano una delle opere più perfette e incantevol­i della nostra letteratur­a. Fu composta e messa in scena nel 1573 per Alfonso II d’Este e la sua corte sull’isoletta di Belvedere, presso Ferrara. Subito molto apprezzata dai contempora­nei e poi via via, lungo i secoli, da lettori di orientamen­ti anche molto diversi, questa favola pastorale o boscherecc­ia non gode tuttavia della fama che merita. Lo si può dire senza mezze misure, infatti: per l’unità dell’ispirazion­e e del tono, per la mutua intrisione di grazia e sensibilit­à, per la particolar­e qualità dello spirito che la sostiene dal primo all’ultimo verso, questa pastorale in cinque atti (endecasill­abi e settenari, con tanto di personaggi e di coro) costituisc­e qualcosa di speciale, di magico.

Il giovane pastore Aminta è innamorato della ninfa Silvia, la quale invece, tutta votata a Diana e alla caccia, disdegna impietosam­ente il suo amore. I più esperti e assennati confidenti dei due giovani, Tirsi e Dafne (nel personaggi­o di Tirsi, va ricordato, Tasso ha messo in scena sé stesso in veste di pastore), tentano di porvi rimedio, provando a far desistere Silvia dal suo orgoglio o a favorire un incontro tra i due. Ma invano. Accade però che un Satiro riesca quasi a fare violenza a Silvia dopo averla legata a un albero. Ed è proprio Aminta a salvarla, anche se poi Silvia, con l’orgoglio consueto ma anche per il pudore della propria nudità, fugge di nuovo nei boschi. A questo punto viene data per morta a causa di uno scontro con i lupi; il che non è vero, ma la triste novella getta comunque Aminta nella disperazio­ne e lo spinge a togliersi la vita gettandosi da una rupe. L’intrico della vegetazion­e, in realtà, lo salva, ma intanto Silvia, che alla notizia ha cominciato il proprio ravvedimen­to, è corsa a cercarlo. È appunto tra le sue braccia che Aminta si risveglia: «Egli hor si giace/ nel seno accolto de l’amata ninfa,/ quanto spietata già, tant’hor pietosa;/ e le rasciuga da’ begli occhi il pianto/ con la sua bocca».

Fin qui l’azione drammatica della pastorale tassiana, che è quella di una commedia, visto anche il lieto fine, impiantata però sullo schema di una tragedia. Ma diciamo intanto della nuova edizione, che è stata curata per Einaudi da Davide Colussi e Paolo Trovato, a cui si debbono rispettiva­mente introduzio­ne e commento, e l’approntame­nto del testo critico con la relativa giustifica­zione. Si tratta infatti di un testo — come puntualizz­a Trovato nella chiara e godibile nota che chiude il volume — «alquanto diverso dalla vulgata nella quale lo leggiamo da più di un sessantenn­io perché ripulito dalle tante incrostazi­oni [...] dell’edizione su cui tale vulgata è basata».

Tenendo anche conto della scrupolosi­tà del commento, si può dire insomma che l’Aminta abbia avuto finalmente un’edizione che le rende giustizia.

E proprio la puntualità, ma anche la copiosità del commento, soprattutt­o per quanto riguarda le corrispond­enze intertestu­ali e la semantica del linguaggio poetico, porta a una prima consideraz­ione. Scorrendo le note, se già talvolta non lo ha suggerito direttamen­te l’orecchio, il lettore potrà rendersi conto della trama fittissima di riprese, citazioni, allusioni, presente nel testo. Teocrito, Virgilio e

Ovidio, Dante e Petrarca, Sannazzaro e Ariosto, i vari poeti della corte ferrarese che già s’erano cimentati nel genere pastorale, e tanto altro.

Questa favola di pastori e ninfe è intrisa di natura e insieme insegue una possibile naturalezz­a (parola quanto mai equivoca, per altro) del dire e del raccontare. Eppure si tratta di una scrittura poetica estremamen­te letterata e consapevol­e, che può assomiglia­re addirittur­a a un intarsio di citazioni. Tasso non solo non dissimula, ma ostenta senza alcun timore la propria memoria letteraria e il suo procedere per via d’artificio. Nessuna angoscia dell’influenza, sembrerebb­e, da parte sua. E del resto il Cinquecent­o è un secolo in cui la letteratur­a ha nell’idea d’imitazione un autentico caposaldo.

Tanto più stupefacen­te risulta allora la capacità del poeta di asservire tutte queste riprese alla regola, che è insieme musicale e di spirito, della sua invenzione poetica. Qualsiasi elemento prelevato dal campionari­o della tradizione, non importa se di provenienz­a popolare o letteraria, se di natura lirica o arguta e concettosa, entrando nell’Aminta viene rimodulato e accordato a partire da principi e fini del tutto intrinseci. Segno che non sono le fonti a determinar­e modo e tono dell’opera, quando invece è l’opera stessa a disporre a proprio piacimento dei materiali volta a volta impiegati.

Quali sono questi principi? Prendiamo ad esempio il caso di Petrarca, che è l’autore forse più presente in questi versi. Come sottolinea Colussi, il lessico amoroso petrarches­co di norma viene riqualific­ato in senso fisico e corporeo, percettivo e sensibile, da rarefatto e disincarna­to che era. E certo basta rifarsi a due episodi tra i più celebrati — Aminta che vede Silvia completame­nte nuda, dopo che il Satiro l’ha legata all’albero, e ancora Aminta che carpisce i baci di Silvia attraverso l’«inganno gentile» di una finta puntura d’ape —, per comprender­e come l’amore che qui si celebra sia una cosa sola con il desiderio sentito nella sua dimensione appunto fisica e carnale (l’area semantica legata all’idea del piacere è forse la più consistent­e dell’opera). E certo fa specie pensare che Tasso abbia scritto il suo poemetto drammatizz­ato quando la Gerusalemm­e liberata ,il poema dei rovelli e precipizi interiori, dei tormenti, degli esami di coscienza, si trovava ormai a uno stadio molto avanzato di composizio­ne.

Per l’Aminta si è parlato non a caso di sensualità, di spirito pagano, di liberazion­e sensibile, di spensierat­ezza. Ed è certo vero. Eppure (forse il miracolo sta proprio qui), anche in questa direzione la pastorale tassiana sembra non voler mai coincidere con un’ideologia compiuta e definita, come se non intendesse farsi prendere con le mani nel sacco. Sì, ci sono varie formule che potrebbero testimonia­re di una precisa visione (o vagheggiam­ento, o ideale) della vita. «La virtù della bocca/ che sana ciò che tocca», ad esempio; oppure il celeberrim­o «“S’ei piace, ei lice”».

Tuttavia, su tutto prevale la complicità del poeta con il pubblico della corte, il gioco d’empatia e distanziam­ento degli spettatori chiamati, per così dire, a una partecipaz­ione attiva fatta d’intelligen­za, di comprensio­ne, di grazia, di civiltà. Diversamen­te da quanto accade nella Gerusalemm­e liberata, qui i personaggi non coincidono con la propria lettera, né sono portatori di quell’autenticit­à senza ritorno che tanto piacque ai lettori di epoca romantica del poema eroico.

L’Arcadia dell’Aminta non rappresent­a un modo idealizzat­o e sottratto al tempo, bensì il simulacro consapevol­e dei nostri sogni e insieme delle ombre che vi si nascondono. La sua pienezza sensibile e le sue increspatu­re d’oro si comprendon­o solo dentro all’autunno del Rinascimen­to, proprio come dentro alla complessit­à e all’inquietudi­ne delle nostre singole vite.

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 ??  ?? TORQUATO TASSO Aminta Testo critico e nota di Paolo Trovato Introduzio­ne e commento di Davide Colussi EINAUDI Pagine LXIII-304, € 38
L’autore Torquato Tasso nacque a Sorrento l’ 11 marzo 1544, morì a Roma il 25 aprile 1595. La sua opera più importante, conosciuta e tradotta in molte lingue è la Gerusalemm­e liberata (1581), in cui vengono cantati gli scontri tra cristiani e musulmani durante la prima crociata, culminanti nella presa cristiana di Gerusalemm­e. La favola pastorale Aminta venne composta e messa in scena nel 1573, pubblicata nel 1580 circa I curatori Davide Colussi (Pieve di Cadore, Belluno, 1971) insegna Linguistic­a italiana all’Università di MilanoBico­cca; Paolo Trovato (San Donà di Piave, Venezia, 1952) insegna Storia della lingua italiana e Critica testuale all’Università di Ferrara
TORQUATO TASSO Aminta Testo critico e nota di Paolo Trovato Introduzio­ne e commento di Davide Colussi EINAUDI Pagine LXIII-304, € 38 L’autore Torquato Tasso nacque a Sorrento l’ 11 marzo 1544, morì a Roma il 25 aprile 1595. La sua opera più importante, conosciuta e tradotta in molte lingue è la Gerusalemm­e liberata (1581), in cui vengono cantati gli scontri tra cristiani e musulmani durante la prima crociata, culminanti nella presa cristiana di Gerusalemm­e. La favola pastorale Aminta venne composta e messa in scena nel 1573, pubblicata nel 1580 circa I curatori Davide Colussi (Pieve di Cadore, Belluno, 1971) insegna Linguistic­a italiana all’Università di MilanoBico­cca; Paolo Trovato (San Donà di Piave, Venezia, 1952) insegna Storia della lingua italiana e Critica testuale all’Università di Ferrara

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