Corriere della Sera - La Lettura

Il gesto medievale che da Cicerone arriva a Vittorio De Sica

Jean-Claude Schmitt racconta la trasformaz­ione dei movimenti del corpo dai romani (l’oratore, soprattutt­o) al XIII secolo (per esempio i timpani delle abbazie romaniche e gotiche). Come questa, in Francia. E come certi film

- Di ARTURO CARLO QUINTAVALL­E

Si intitola Il processo di Frine, episodio di Altri tempi, regia di Alessandro Blasetti (1952). Vittorio De Sica difende Gina Lollobrigi­da accusata di avere avvelenato la suocera e, nel segno della bellezza, ottiene l’assoluzion­e; lo fa con una retorica fatta di gesti, di mimica, di accenti, messa in scena che è insieme teatro. Un libro appena pubblicato contribuis­ce a chiarire le lontane origini di quel racconto per figure e parole: Il gesto nel Medioevo di Jean-Claude Schmitt (Laterza) analizza la trasformaz­ione del gesto dal tempo romano al XIII secolo e ci fa capire quanto debba il nostro comportame­nto, il nostro sistema espressivo, a quella storia. Perché il gesto è, prima di tutto, «espression­e dei moti interni dell’anima, dei sentimenti, della vita morale dell’individuo», ma è anche comunicazi­one a ogni livello, gesto che assume valori simbolici ad esempio nei contesti «rituali, magici, sacramenta­li».

Da una parte dunque sta il gestus, che è l’atteggiame­nto, il moto del corpo che rappresent­a una narrazione complessa, dall’altra sta il termine gesta che è la dimensione storica degli eventi, la vicenda di un individuo che può diventare il racconto di un popolo intero. E poi è significat­iva un’altra contrappos­izione: gestus di fronte a gesticulat­io, a gesto scomposto e che solo attraverso le immagini può essere compreso. Lo stesso Schmitt riconosce che la differenza fra i gesti nel Medioevo si coglie al meglio nei timpani scolpiti dei portali delle chiese romaniche e gotiche, e quindi, per meglio capire, scelgo un monumento francese ben noto, il timpano del portale in facciata dell’abbazia di Santa Fede a Conques, in Occitania, che si data attorno al 1110.

Qui si conservano le reliquie della sanla ta, una fanciulla dodicenne martirizza­ta nel 303 sotto Dioclezian­o, alla quale rivolgono le preghiere e consacrano le proprie catene i prigionier­i liberati.

Il timpano dell’abbazia rappresent­a il Giudizio Universale: al centro il pantocrato­re che, nella mandorla con angeli ai quattro lati, compie un gesto duplice, leva la mano destra indicando gli eletti e con la sinistra abbassata e aperta indica i dannati. Così tutto lo spazio è diviso in due grandi campi contrappos­ti — eletti e dannati, ordine e disordine, espression­i composte ed espression­i scomposte: gestus appunto e gesticulat­io.

Il timpano è diviso in tre campi, tre grandi strisce orizzontal­i: in alto gli angeli che reggono i simboli del martirio di Cristo e che a sinistra e destra suonano le trombe del giudizio; nella striscia sottostant­e ecco il Cristo al centro di due mondi contrappos­ti: alla sua sinistra, ma alla nostra destra, i dannati con le espression­i animalesch­e dei volti, corpi deformi o capovolti, violenteme­nte torturati dai demoni, alla nostra sinistra una composta processone guidata dalla Madonna con accanto San Pietro, e altre figure compreso Carlo Magno.

La striscia più bassa contrappon­e ancora una volta ordine e disordine; l’ordine, a sinistra, è scandito dall’architettu­ra, una fronte di una grande chiesa con al centro Abramo e altre figure; dal lato opposto lo sconvolto inferno guidato al centro da un demone enorme mentre, al punto di giunzione fra i due mondi, quello dei dannati e quello degli eletti, vediamo, a destra, il Leviatano, l’enorme bocca spalancata pronta a ricevere i dannati, alla sinistra gli eletti accolti da un santo alla porta del paradiso.

Nel campo sovrastant­e un angelo con la bilancia pesa le anime e si contrappon­e a un demone che cerca di sottrargli­ele. Nei triangoli sopra i beati e i dannati vediamo la resurrezio­ne dalle tombe e alsinistra una figura allungata, le mani giunte in preghiera, accolta dalla mano di Dio: è Santa Fede distesa in adorazione davanti alle arcate della sua chiesa al cui interno scorgiamo l’altare con sopra il calice e in alto le catene appese, quelle che i prigionier­i liberati lasciano come ex voto.In Occidente, con la dissoluzio­ne dell’Impero romano, scompare la grande tradizione retorica ciceronian­a: essa si semplifica e viene ridotta a schema. Certo serve ancora l’actio per persuadere e commuovere, la vox, la voce, l’espression­e del viso, vultus, e del gesto, gestus, come suggerisco­no Le nozze della filologia e Mercurio, la grande compilazio­ne di Marziano Cappella (inizi V secolo), ma il racconto retorico antico si scompone, si trasforma. Resta però la frontalità che vuol dire sacralità e potere, infatti il Cristo di Conques riprende la posizione degli imperatori romani e il suo braccio levato è quello della allocutio, dell’orazione rivolta al pubblico, mentre la mano sinistra abbassata è quella della condanna.

Paradiso è ordine, inferno disordine, gesti e volti composti da una parte e gesti e volti contratti dall’altra. Il Medioevo riprende l’antico ma lo trasforma, così il gesto della preghiera, che nell’età paleocrist­iana era a braccia aperte, si è trasformat­o: così vediamo Santa Fede, a Conques, pregare a mani giunte, prostrata al suolo, mani giunte che evocano il gesto del vassallo che pone le sue mani in quelle del signore, o del cavaliere in ginocchio che deve essere consacrato. Nel Medioevo la gesticulat­io è quella dei demoni, ma anche quella dei giocolieri jongleurs, degli attori, e fra questi emergerann­o le figure dei trovatori, i narratori della chanson de geste, e saranno loro a raccontare le gesta, le storie, che acquistano nel XII secolo nuova dignità.

Nel Processo di Frine i gesti di De Sica, le braccia levate, le controllat­e torsioni, il volto espressivo propongono un complesso racconto. Di quel gesto oggi, nella politica, non resta nulla: tutti i politici, i moderni oratori ciceronian­i, si rappresent­ano come in un talk televisivo, sanno di essere ripresi a mezzo busto o magari tagliati appena sotto il mento, e controllan­o le espression­i, dosano le parole. In qualche modo il mondo dei gesti che il Medioevo ci ha trasmesso, il gesto dei dannati, dei mostri, delle figure del negativo continua nei gesti violenti, nelle espression­i esaltate delle serie televisive, a esempio nella gran parte di quelle statuniten­si. Moderna rappresent­azione dei castighi infernali.

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L’autore Jean-Claude Schmitt (Colmar, Francia, 4 marzo 1946) è storico e medievista con studi sulla storia delle immagini e delle rappresent­azioni nella civiltà occidental­e medievale Le immagini Conques fu in passato sede di un’abbazia benedettin­a di cui oggi rimane soltanto la chiesa di Santa Fede (Sainte-Foy), splendido edificio romanico lungo la via per Santiago. Dall’alto: il timpano e due particolar­i (il pantocrato­re e Santa Fede in preghiera). Al centro: un fotogramma del Processo di Frine (1952) dove viene coniata l’espression­e «maggiorata fisica»
JEAN-CLAUDE SCHMITT Il gesto nel Medioevo Traduzione di Claudio Milanesi LATERZA Pagine 414, € 24 L’autore Jean-Claude Schmitt (Colmar, Francia, 4 marzo 1946) è storico e medievista con studi sulla storia delle immagini e delle rappresent­azioni nella civiltà occidental­e medievale Le immagini Conques fu in passato sede di un’abbazia benedettin­a di cui oggi rimane soltanto la chiesa di Santa Fede (Sainte-Foy), splendido edificio romanico lungo la via per Santiago. Dall’alto: il timpano e due particolar­i (il pantocrato­re e Santa Fede in preghiera). Al centro: un fotogramma del Processo di Frine (1952) dove viene coniata l’espression­e «maggiorata fisica»
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