Corriere della Sera - La Lettura
TUTTI PROVIAMO A IMITARLO: PRIMO INTERPRETE MODERNO
Quella di Enrico Caruso è una figura che mi accompagna fin dall’infanzia, quando la mia bisnonna mi raccontava di come fosse diventato amico del bisnonno, che viveva a New York e che veniva regolarmente invitato dal grande cantante ai suoi concerti al Metropolitan. Nella mia fantasia mi ero costruito un’immagine di Caruso, che mi affascinava tantissimo. Quando vidi il film con Mario Lanza, Il grande Caruso (1951) di Richard Thorpe, non vedevo né Caruso né Lanza, ma il mio bisnonno, che tutti chiamavano Mr. Jimmy e che — fra l’altro — era anche un tenore. Avevo fatto un transfert.
Nella mia carriera ho reso sempre omaggio a Caruso. L’anno scorso ho realizzato il sogno di dedicargli un disco, Caruso 1873 (Sony), in cui ho riletto anche la canzone che gli dedicò Lucio Dalla, ispirata al classico napoletano Dicitencello vuje. Ho sempre adorato Caruso. Con il mio maestro cubano ogni domenica per anni abbiamo fatto vere sessioni di ascolto dei suoi dischi, con analisi tecniche dei dettagli. Lui ha inventato il tenore moderno.
Noi tutti proviamo a imitarlo. Lui è lì, tra il belcanto e il verismo, e ha dato il fuoco del Vesuvio e il sangue alla voce, usando la tecnica belcantistica. Il colore della voce era straordinario, unico, l’ossatura, il viso largo, la bocca enorme... il prototipo di uno strumento vocale. Aveva una grandissima musicalità nel fraseggio, nel modo di porgere e proiettare il suono, di dire le parole.