Corriere della Sera - La Lettura
Versi del crepuscolo e della crisi: il poeta fanciullo che iniziò il ’900
Sergio Corazzini, l’avventura dell’anima
Sergio Corazzini: il suo nome si lega per noi a temi smorti e dimessi, alla rinuncia ad esser detto poeta, all’abbassamento del tono fin quasi al silenzio. In un giro di pochi anni (19041906), le sue smilze raccolte di fanciulloscrittore lasciano un segno nella cultura inquieta di inizio secolo. Corazzini si lega certo a un’idea terminale della letteratura: il crepuscolo, la malinconia, l’autunno. La verità, credo, è che questo poeta morto di tubercolosi giovanissimo (1886-1907) ha compiuto per tutti una sorta di agonia, quasi per permettere al nuovo secolo di poesia di fiorire.
Negandosi a ogni posa estetizzante, identificandosi con la privazione e l’umiltà dei poveri, Corazzini ha come portato alle estreme conseguenze la crisi e il tramonto, consumandoli in sé. Ce lo conferma Io non sono un poeta, a cura di Alessandro Melia , che ripropone le sue raccolte, più qualche testo precedentemente edito in rivista e due poesie postume: Il sentiero e La morte di Tantalo.
Osservava nel 1968 Stefano Jacomuzzi che al poeta «sta a cuore essenzialmente un’avventura d’anima […] colta ai margini della finale rassegnazione». È così che Corazzini nella sua breve parabola si è guardato morire. Ne La morte di Tantalo ci ha lasciato un viatico oscuro e prezioso, come un seme: «E aggiungi che non morremo più/ e che andremo per la vita/ errando per sempre».