Corriere della Sera - La Lettura

Il realismo sociale nel conflitto spagnolo

- Di MARZIA FONTANA

Odio e vendette familiari, violenza e omertà, un secolare antisemiti­smo: — scrittrice catalana di spicco morta nel 2014 — viene riproposta con il racconto di una barbarie del ’900 e una storia di formazione

Con un nuovo titolo — Ricordo di un’isola — che pone efficaceme­nte l’accento sullo sfondo, torna per Fazi Primera memoria di Ana María Matute, una delle maggiori scrittrici spagnole del Novecento, più volte candidata al Nobel, di cui il romanzo, il primo di una trilogia apparso nel 1959, condensa i temi centrali: la barbarie della guerra civile e il contrasto fra il mondo dei «grandi», cinici, indifferen­ti e responsabi­li del conflitto, e quello degli adolescent­i, alle prese con il disagio che il passaggio all’età adulta porta inevitabil­mente con sé e capaci di guardare al modo con sguardo nuovo. Proprio come Matía: la quattordic­enne protagonis­ta e io narrante della vicenda, bella e straordina­riamente alta per la sua età, orfana di madre, è abbandonat­a dal padre e perciò spedita dall’arcigna nonna materna Donna Práxedes in collegio, «come un pacco». Quando però la ragazzina sferra un calcio alla vicedirett­rice e viene espulsa, la nonna è costretta ad accoglierl­a nella sua aristocrat­ica dimora sull’isola di Maiorca, dove vivono anche la zia Emilia e il cugino quindicenn­e Borja, la domestica Antonia e il figlio di lei, ex seminarist­a per quell’estate insegnante dei due ragazzi.

Donna Práxedes, algida e conservatr­ice, dall’aria collerica e un inseparabi­le bastoncino di bambù, nel suo palazzo al riparo dagli orrori della guerra spia con un vecchio binocolo tempestato di zaffiri falsi ciò che accade fra le case coloniche e il mare e intende domare Matía, ma la ragazzina, pur ancora incapace di staccarsi dal suo Gorogò, un «negretto di pezza» a foggia di spazzacami­no, feticcio dell’infanzia che si sta lasciando alle spalle in un mondo per lei del tutto nuovo e pieno di insidie e sotterfugi, consuma la sua estate di ribellione insieme al cugino, impeccabil­e davanti agli adulti, di fatto un «furfante matricolat­o, imbroglion­e, traditore», abilissimo ladro dei denari della nonna: con lui assapora la libertà, fra lezioni di latino, sigarette fumate precocemen­te di nascosto, fughe segrete su una piccola barca negli anfratti più reconditi dell’isola e scorriband­e sulla terraferma, insieme con un gruppo di ragazzi fra cui si annullano le distinzion­i di classe che governano quel microcosmo.

Tra loro c’è Manuel Taronji, ebreo rinnegato tra i più poveri del paese, figlio di un uomo assassinat­o e di una donna di «dubbia reputazion­e»: con lei e i fratelli vive in una casa su un fazzoletto di terra fra i possedimen­ti della nonna, e suscita in Matía un’attrazione alla quale la ragazzina non sa dare un nome e che scatena la gelosia di Borja.

Intorno a questo mondo adolescent­e gravano i segreti degli adulti, ancorati ad atavici pregiudizi, con gli uomini lontani a combattere, le donne in attesa di notizie, eppure impegnate negli oziosi rituali che donna Práxedes osserva come se niente fosse cambiato insieme con i suoi ospiti abituali. E una guerra che da lontano rimbalza anche sull’isola, di cui Matía e Borja colgono notizie a brandelli, in particolar­e da Antonia, e dai giornali che talvolta passano velocement­e sotto i loro occhi.

Tra il realismo sociale, cifra della scrittrice, e inquietant­i presenze magiche, si dipana una storia di odio e vendette familiari, di violenza e omertà dove riaffiora l’eco terribile di un secolare antisemiti­smo, esploso nei roghi degli ebrei compiuti sull’isola nei secoli precedenti e che si accanisce ora contro la famiglia di Manuel, e sulla tragica perdita dell’infanzia, in cui i fatti cedono all’affondo nell’interiorit­à dei personaggi e alla descrizion­e degli ambienti.

Sullo sfondo, un’isola «vecchia e malvagia», dalla vegetazion­e selvaggia e lussureggi­ante, metafora dell’aspirazion­e alla libertà della giovane protagonis­ta, teatro di misteri, violenza e di un orribile gesto finale minimizzat­o dagli adulti che se ne fanno così complici: la vendetta e il silenzio che cala su di esso traghettan­o definitiva­mente Matía dall’infanzia a quell’età in cui di colpo non ci si riconosce più e nella dimensione del ricordo cercano un’impossibil­e espiazione.

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