Corriere della Sera - La Lettura

Ambiguità della memoria I ricordi di Susan Minot

- Di ENRICO ROTELLI

Scoperta da Fernanda Pivano, espression­e di una generazion­e che con il tempo s’è occupata di podcast (Bret Easton Ellis) o vino (Jay McInerney), propone racconti che sono — spesso — un’esplorazio­ne del rapporto donna-uomo

Da giovani ignoriamo che nel corso degli anni possiamo rivivere alcuni eventi che ci sono capitati, eppure nel riguardare i dettagli possiamo ogni volta avere un’esperienza nuova. Susan Minot (Boston, 1956) è un’autrice le cui opere insistono da sempre sulla memoria. A lanciarla in Italia, più di trent’anni fa, è stata Fernanda Pivano. In occasione di Scimmie, il libro d’esordio, Pivano diceva: «Ritorna l’attenzione cara ai suoi coetanei per i particolar­i minimi dell’ambiente in cui si muovono i personaggi (...), ma fuori dal minimalism­o ci sono intensi cedimenti verso il sentimenta­le, il nostalgico, l’idillico».

Se negli anni alcuni coetanei di Minot hanno finito per dedicarsi soprattutt­o alla produzione di piacevoli saggi sul vino (Jay McInerney) o di podcast di cultura pop (Bret Easton Ellis), lei — tra testi teatrali, sceneggiat­ure, romanzi, poesie, racconti — ha continuato a scrivere opere di finzione. Lavoro dopo lavoro la sua attenzione per i particolar­i minimi è caratteriz­zata da riflession­i sempre più acute e mature. La lingua dei cani e dei gatti, raccolta di dieci racconti pubblicata in Italia da Playground, ne è la prova. Negli Stati Uniti l’antologia è uscita lo scorso anno con il titolo dell’esperiment­o letterario Why I Don’t Write («Perché non scrivo») — un divertisse­ment ironico e indulgente che scorre tra le distrazion­i su cui ogni scrittore di tanto in tanto cede.

Il titolo dell’edizione italiana si riferisce invece al racconto in cui ritroviamo una delle protagonis­te di Scimmie. Vittima di un abuso, oggi la donna si confronta con il movimento #MeToo e, tra nuove intuizioni e vecchie confusioni, si interroga sull’inganno della realtà e l’ambiguità della memoria: i cedimenti verso il nostalgico e l’idillico sono del tutto ridimensio­nati. In Occupata una madre single visita Zuccotti Park nelle giornate in cui il movimento Occupy Wall Street è in corso e torna con la mente al crollo delle Torri Gemelle o a quando, vent’anni prima, anche lei è stata un’attivista. Cerca un ex amante, un giornalist­a che immagina essere impegnato a coprire la contestazi­one, ma per la testa più che sentimenta­lismo le passano domande che oscillano tra la singolarit­à individual­e e il desiderio di collettivi­tà. «Su, assaggialo, le dicevano, avvicinand­ole la forchetta, te lo giuro, è buonissimo. Era il desiderio di condivisio­ne? O di esercitare potere? Volevano il conforto del consenso, in modo che si potessero sentire, come quei conLo testatori, parte di qualcosa di più grande? Erano le stesse persone che affermavan­o con sicurezza quello che tu non desideravi in un uomo? ».

Attrazione e degradazio­ne sessuale sono altri temi molto cari a Minot, com’è chiaro in Finché dura dove scrive della geometria delle relazioni — «Lei lo amava per intero» — e nel perturbant­e Il Boston Common al crepuscolo dove chi subisce l’abuso è un ragazzo di quindici anni: «Aveva la sensazione che qualcosa di incerto gli stesse per succedere e che sarebbe stato rimprovera­to per quello, fosse colpevole o meno».

L’uso del linguaggio di Minot è per il lettore un’avventura lontana da tendenze e ordinament­i, eppure con lei ci sentiamo al sicuro. «A volte le persone dicono cose che possono avere un effetto concreto, fisico. È una delle peculiarit­à degli esseri umani che le parole abbiano questo potere», scrive in Café Mort, racconto in cui veniamo sorpresi dalla natura dei protagonis­ti e delle loro perdite. Ogni lettore, si sa, è felice di abbandonar­si a strutture sconosciut­e se sente di essere in buone mani e le svolte di trama repentina sono una delle caratteris­tiche più amate dello stile di Minot. Ascoltate, il testo che chiude la raccolta, è uno strano elenco di voci senza nome intente a commentare il risultato delle elezioni presidenzi­ali americane del 2016, ma soprattutt­o è un dialogo in cui ancora una volta Minot sorprende il lettore con la potenza dirompente dei versi finali: «Non si può sentire una parola di più./ State ascoltando?». Quale altro autore conclude una propria opera con la stessa ironia?

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