Corriere della Sera - La Lettura
Dyer fa a pugni con D. H. Lawrence
Lo scrittore di «Natura morta con custodia di sax» ci consegna parte della sua autobiografia attraverso una biografia per frammenti dell’«Amante di Lady Chatterley». Perché tutti, più o meno, abbiamo a che fare con lui
Cosa accade quando gli scrittori decidono di scrivere di altri scrittori, ne abbracciano il lavoro e la vita, ne passano in rassegna scritti e abitudini alla ricerca di quel lampo improvviso che rischiari il resto, specie il resto della propria vita? Geoff Dyer non ha dubbi. «Sembra che si immergano in un’attività indistinguibile dalla critica accademica. Ma questa sottigliezza formale non fa che accentuare la differenza d’intenti. Brodskij ha esaminato alcune poesie di Auden con la migliore delle lenti di ingrandimento, Nabokov ha sottoposto Puškin a un’indagine da polizia scientifica. La differenza consiste nel fatto che le opere di Puškin e Auden non vengono soltanto studiate: vengono vissute appieno».
È quello che fa Dyer, consegnandoci parte della sua vita attraverso la biografia per frammenti di D. H. Lawrence, biografia nella quale contano soprattutto gli elementi ricavati dagli appunti e dalle lettere al loro grado minimo, lontane dalle prose accurate dei romanzi (genere che per Lawrence rappresentava la forma più alta d’espressione umana, mezzo dalle enormi potenzialità, unico libro luminoso della vita).
Al riguardo, Dyer cita la Comtesse d’Arpajon che nella Recherche si chiede se le lettere di uno scrittore non siano superiori a tutto il resto della sua opera. Il riferimento, nella Recherche, è a Flaubert, ma Dyer se ne appropria per un invito a evitare il romanzo, tomba delle sensazioni e dei pensieri degli autori. «Naturalmente si continua a scrivere buoni romanzi, persino grandi romanzi», chiarisce, «ma il momento della necessità storica di questa forma letteraria è passato».
Dyer lo scriveva alla fine degli anni ’90, ma è tuttora in corso e periodicamente infiamma il dibattito letterario la discussione sulla morte del romanzo o, al contrario, sulla sua vitalità, sulla sua persistenza, malgrado la frammentazione della vita contemporanea che richiede forme alternative, sempre più destrutturate, di racconto.
In Per pura rabbia, il cui sottotitolo è Fare a pugni con D. H. Lawrence, Dyer non nasconde il senso del fallimento riguardo al «sobrio saggio» su Lawrence che aveva in mente. Questa fatica, vale a dire l’impossibilità di chiudere il cerchio sullo scrittore verso il quale sente di avere più di un debito di gratitudine, ci viene restituita mentre lo affligge, mentre passano gli anni e si accumulano i tentativi di scrittura, fogli e fogli naufragati, viaggi in cerca di condizioni ottimali che mai trova, case prese e lasciate inseguendo il guizzo risolutivo che però, una volta raggiunto, sfugge. In questo viavai, durato anni, è la vita stessa di Dyer che entra in combutta con l’arte, ci entrano lui e i suoi amori, i rovelli, la quasi nostalgia della casa piena di fumo in cui è cresciuto, i poeti amati (Rilke su tutti), gli incidenti, il sesso, il pane al pomodoro mangiato in Italia su un treno, e poi l’ipocondria, quindi la depressione. «Se uno potesse accettare i propri limiti, magari riuscirebbe a essere felice, appagato, in armonia, come si suol dire, con sé stesso». E più avanti, a proposito dei fallimenti che il mancato saggio su Lawrence gli porge come un compendio di sé: «Non so accettarmi per quel che sono, però alla fine mi sono rassegnato ad accettare l’incapacità di accettarmi come sono». D’altronde, Lawrence lo aveva detto: «Lasciate che un uomo scenda fino in fondo a sé stesso e credete in ciò che trova».
Pagina dopo pagina, con un’affabulazione inesauribile e precisissima nel non farsi mai appesantire dai continui richiami alla grande letteratura, l’autore di Natura morta con custodia di sax (Einaudi) edi Sabbie bianche (il Saggiatore) ci mostra ancora una volta la sua bravura nel mescolare vita e arte, realtà e finzione, e lo fa consegnandoci il più riuscito saggio incompiuto su Lawrence: l’autore di Figli e amanti edi L’amante di Lady Chatterley, certo, ma soprattutto il figlio del minatore cresciuto in mezzo alla devastazione della fatica fisica che trova nella scrittura il modo per mantenersi e, allo stesso tempo, per intraprendere il lungo viaggio che ha come meta l’autentico sé, dato che le opere e la vita non sono mai per Lawrence pretese opposte: «Non devi cercare nel mio romanzo il vecchio e permanente ego del personaggio... un romanzo qualsiasi traccerebbe la storia del diamante... mentre io dico “ma quale diamante! È carbonio”».
Dyer si conceda ricordandoci che le nostre esistenze sono fatte di ricerche, ma non necessariamente ricerche che chiamino in causa Dio o altre grandi questioni. Spesso le nostre vite sono fatte di ricerche insignificanti per le sorti del mondo, e di qualche minuscolo progresso con il nostro saggio su Lawrence: «In un modo o nell’altro, tutti dobbiamo scrivere il nostro saggio su Lawrence. Anche se non verrà mai pubblicato, se non lo termineremo mai, anche se tutto quel che ci rimane dopo anni e anni di sforzi è un’incompleta e incompletabile testimonianza di come non abbiamo realizzato le nostre precedenti ambizioni, dobbiamo ancora provare a fare qualche progresso con il nostro libro su Lawrence. In tutto il mondo, da Taos a Taormina, dai luoghi che abbiamo visitato a quelli dove non metteremo mai piede, il massimo che ci è consentito è fare qualche progresso con il nostro saggio su Lawrence».