Corriere della Sera - La Lettura
JAZZ IN PUNTA DI PENNA
Da tempo molti jazzisti italiani non si accontentano più di suonare, e bene. Scrivono. Tre volumi recenti ci mettono di fronte ad altrettante riflessioni narrative. Giovanni Tommaso propone la sua autobiografia con Abbiamo tutti un blues da piangere (Albatros, pp. 390, € 16,50; titolo di un brano che scrisse per il suo gruppo più celebre, il Perigeo). Negli anni Sessanta Tommaso era praticamente l’unico nostro contrabbassista di livello internazionale, per questo vanta incontri con Chet Baker, Sonny Rollins, John Lewis, Kenny Clarke. Il suo è un osservatorio privilegiato, che si sviluppa in una narrazione nella quale la passione per la musica si unisce al «privato», con risultati di suggestiva spontaneità.
Anche Paolo Fresu, associandosi con il giornalista e manager Vittorio Albani, racconta il «suo» jazz ne La storia del jazz in 50 ritratti (Centauria, pp. 174, € 19,90); più che per le brevi monografie illustrate da Riccardo Gola, il libro interessa per la cinquantina di pagine dell’introduzione, che fonde le vicende del trombettista alla sua scoperta del jazz. Ne esce una storia «sincronica» di questa musica, osservata dalla provincia sarda degli anni Ottanta: «su Gezz», come lo chiamavano nel paese di Fresu, da cui emergono statuarie figure ed eroici movimenti sociali che, nella stratificazione di scoperte fatte dal giovane musicista, rimescolano le stagioni stilistiche e le riflessioni.
Se in questi libri si coglie bene anche la trasformazione di quello che viene percepito come jazz in un’Italia che, come dice il trombettista, fa da «ponte ideale tra l’Africa e l’Europa» (lasciandocene sognare il ruolo potenziale nel jazz del XXI secolo), il pianista comasco Arrigo Cappelletti scrive da una posizione più astratta e internazionale. Il profumo del jazz (Mimesis, pp. 194, € 14)) risulta un’ampia riscrittura di un testo pubblicato in origine nel 1996 dalle Edizioni Scientifiche Italiane. Cappelletti, forte dei suoi studi di filosofia, non si accontenta di indagare «come» e «cosa» suonano i colleghi jazzisti, vuole scoprire «perché» lo fanno; e indaga i processi fondamentali dell’improvvisazione, riconoscendo che «non si imparerà mai a improvvisare senza improvvisare».