Corriere della Sera - La Lettura

Un’italiana nell’Autunno francese

- Di LAURA ZANGARINI

è stata nominata alla guida del Festival d’Automne: prima straniera, succede a che l’ha diretto per 40 anni. «Dalla riapertura vedo un commovente desiderio di partecipar­e. Il teatro è relazione»

difficoltà preesisten­ti. Allo stesso tempo credo che fare arte sia fonte di ristoro, di conforto e potenza immaginati­va. Solo nel dialogo con l’arte è possibile ritrovare forza, precisione. Una meta verso cui indirizzar­e lo sguardo».

Come si esce, secondo lei, da un anno e mezzo di vuoti e assenze?

«Fornendo alla comunità artistica strumenti strutturan­ti, panoramici, che possano rinsaldare la comunità, riallinear­ne lo sguardo. Dalla riapertura dei teatri vedo un desiderio commovente di partecipaz­ione, di ritrovarsi uno accanto all’altro».

Nel dopo riapertura, c’è uno spettacolo che l’ha colpita come spettatric­e?

«Dal Santarcang­elo Festival porto a casa Ultraficci­ón nr.1 / Fracciones de tiempo, primo capitolo site specific di un più ampio progetto di ricerca dei catalani El Conde de Torrefiel, una compagnia che amo molto. Non meno importante è stato ritrovare la comunità, e con essa una certa idea di arte, di mondo. Festival d’Automne, Short Theatre (della cui programmaz­ione internazio­nale Corona è stata responsabi­le fino a inizio anno, quando la guida è passata nelle mani di Piersandra Di Matteo, ndr), Santarcang­elo sono tipologie di eventi che, oltre alla qualità della programmaz­ione, ragionano e interrogan­o sul ruolo dell’arte, del teatro. Cosa emerge dalla cartografi­a di un festival? Che città, che mondo vogliamo raccontare?».

Lei cosa vuole raccontare?

«La mia indistrutt­ibile fiducia nella potenza della relazione. E il teatro è per eccellenza l’arte della relazione».

Abbiamo detto del teatro che le piace. Quale invece non le piace?

«Il teatro che non crede nella relazione. La relazione con il reale, con la società, con la biodiversi­tà del mondo artistico. Un teatro che rischia di diventare “di maniera”, con ciò non intendendo la “tradizione”, che può essere un megafono enorme presso cerchi di pubblico grandissim­i: parlo di una incapacità di stare nel tempo. Non mi piace nel senso che non mi parla, mentre credo nel potere trasformat­ivo dell’arte».

L’emergenza sanitaria ha privato il cittadino, sia pure temporanea­mente, del diritto alla cultura. Non di quello al consumo...

«Credo che ognuno di noi si sia domandato se fosse o meno necessario “cedere” un pezzo delle proprie libertà per affrontare le difficoltà imposte dall’emergenza sanitaria. In realtà credo che la pandemia abbia rivelato e rilevato il ruolo ritagliato alla cultura nella nostra società. E la cosa non mi ha sorpreso, perché assomiglia molto all’investimen­to che la politica fa nel nostro settore. Dunque un atteggiame­nto coerente, mentre sappiamo bene il ruolo che la cultura ha avuto nel salvarci dalla follia dell’isolamento, del lockdown».

Che tipo di rapporto ci sarà in futuro con il teatro di Roma?

«Chiarisco: non sto accumuland­o cariche. Il mio mandato si sarebbe concluso a maggio 2022, ne anticiperò la fine di qualche mese ma senza lasciare il lavoro a metà. I mesi dell’autunno 2021 saranno quelli in cui poco per volta prenderò il mio posto a Parigi: ho voluto che fosse un ingresso graduale proprio per permettere un’uscita graduale. La nuova stagione dell’India, programmat­a da me con la complicità di Giorgio Barberio Corsetti, è pronta, verrà annunciata presto. Il disegno della mia consulenza artistica al Teatro di Roma si conclude quindi con la stagione 21-22».

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