Corriere della Sera - La Lettura
I conti tedeschi con le razzie a Benin City
La Germania ha annunciato la restituzione dei «Bronzi». Ma non tutto fila liscio
Il 30 aprile la Germania è diventata il primo Paese occidentale ad annunciare la restituzione di buona parte dei «Bronzi del Benin», la straordinaria collezione d’arte rubata nel 1897 a Benin City, oggi sul territorio della Nigeria, durante una spedizione punitiva delle truppe britanniche. Oltre 1.200 soldati e marinai d’élite parteciparono al saccheggio della città e del palazzo reale, arraffando migliaia di opere preziose: bronzi, sculture, bassorilievi, gioielli e oggetti d’avorio in parte finirono al londinese British Museum, in parte furono venduti all’incanto a musei d’Europa e Nord America. Quelli tedeschi di Amburgo, Colonia, Stoccarda, Lipsia, Dresda e soprattutto Berlino ebbero la parte del leone assicurandosi oltre mille artefatti. Nella capitale della Germania più della metà di questi andarono a ingrandire la collezione del Museo Etnologico, aperto qualche anno prima.
«Ci assumiamo la nostra responsabilità storica e morale di fare luce e lavorare sul passato della Germania e questa è una pietra miliare del processo», ha detto la ministra della Cultura, Monika Grütters, spiegando che una parte «sostanziale» dei «Bronzi del Benin» sarà progressivamente resa alla Nigeria a partire dal 2022. L’obiettivo è «contribuire alla comprensione e alla riconciliazione con i discendenti di coloro ai quali quei tesori vennero sottratti durante l’era coloniale».
Salutata anche in Nigeria come «un passo nella giu
sta direzione», la decisione tedesca in realtà ha luci e ombre, oltre a incontrare lo scetticismo di alcuni storici. «Venendo da un’ex potenza coloniale — ha detto Victor Ehikhamenor, artista nigeriano e membro del Legacy Restoration Trust, fondazione indipendente che dovrebbe prendere in consegna la collezione — è un enorme progresso per cancellare l’ingiustizia e può dare l’esempio ad altri Paesi occidentali, che ancora non affrontano il nodo delle restituzioni». Ma per Jürgen Zimmerer, docente di Storia globale ad Amburgo, l’annuncio «non fornisce alcuna indicazione concreta sui tempi» e «non contiene l’impegno a restituire tutte le opere d’arte rubate in epoca coloniale». Lo studioso, che si è occupato a lungo dei «Bronzi del Benin», ammette tuttavia che la decisione di Berlino può influenzare positivamente il controverso dibattito su come le istituzioni culturali delle ex nazioni coloniali devono gestire il patrimonio artistico acquisito con violenza e saccheggi. Il riferimento è al British Museum, che pur riconoscendo le devastazioni e il saccheggio della spedizione britannica a Benin City, si rifiuta di considerare ogni ipotesi di restituzione: «La forza delle nostre collezioni — dice Londra — risiede in un’ampiezza e profondità che permettono a milioni di persone di capire le culture del mondo e le loro interconnessioni nel tempo, attraverso il commercio, le migrazioni, la conquista o gli scambi pacifici».
Il maligno, tuttavia, si nasconde nei dettagli dell’annuncio della ministra Grütters. Dopo quasi vent’anni di discussioni e sette di lavoro, costato 700 milioni di euro, si è aperto nei giorni scorsi a Berlino l’Humboldt Forum, la più ambiziosa operazione culturale della Germania riunificata. Quarantamila metri quadrati di spazio museale nascosti dietro la facciata neoclassica dell’antico castello degli Hohenzollern, ricostruita dall’architetto italiano Franco Stella, l’opera si vuole come nuovo cuore pulsante della Berliner Republik, equivalente tedesco del Louvre o del British Museum. Con un plus di autocritica e revisionismo. È destinata infatti a ospitare mostre e collezioni permanenti, ma anche eventi e riflessioni sui grandi temi come i cambiamenti climatici, il futuro della democrazia e non ultimo il passato coloniale, come dimostra uno degli allestimenti dell’esordio, dal titolo Bellezza terribile, dedicato al commercio illegale dell’avorio nell’era degli imperi, con oltre 200 pezzi spettacolari e video che testimoniano lo sfruttamento delle popolazioni locali, lo sterminio degli elefanti, le violenze.
Nel programma del Forum, il 22 settembre, è annunciata l’apertura di una mostra dedicata proprio ai «Bronzi del Benin», con l’esposizione di oltre 400 pezzi della collezione trasferita nella nuova istituzione. Ma il progetto solleva polemiche. Il 20 luglio, giorno dell’apertura del museo, alcune centinaia di dimostranti hanno protestato contro l’esibizione, all’insegna dello slogan «decolonizziamo Berlino».
Il tema è così controverso che Hartmut Dorgerloh, direttore dell’Humboldt Forum, starebbe pensando di allestire la mostra solo con copie del tesoro del Benin, mentre gli originali cominciano a prendere la strada della Nigeria, dove potrebbero essere esibiti all’Edo Museum of West African Art, un nuovo museo progettato dall’architetto ghanese-britannico David Adjaye.
Il tema delle restituzioni si sovrappone e si intreccia in Germania con quello dei crimini commessi durante l’era coloniale. Tanto profonda, severa e conseguente è stata l’elaborazione del passato nazista, tanto reticente e ambigua è quella sulla «pulizia etnica» commessa in Africa dal Reich guglielmino. Soltanto lo scorso maggio il governo tedesco ha riconosciuto il genocidio degli Herero-Hama in Namibia, dove tra il 1904 e il 1908 decine di migliaia di donne, uomini e bambini furono torturati, fucilati o condotti nel Kalahari e lasciati a morire di fame, in seguito alla ribellione contro gli occupanti tedeschi. Ci sono voluti 6 anni di negoziati con il governo della Namibia. Berlino ha accettato di pagare la cifra simbolica di 1,1 miliardi di euro come gesto unilaterale di riconciliazione. Ma neppure questa volta, quasi un secolo dopo gli eventi, la Germania ha chiesto scusa e accettato il principio legale delle dovute riparazioni.