Corriere della Sera - La Lettura
Fa rima con dolore quand’è travolto dall’amore
Nel primo capitolo della Trilogia dell’Amore, intitolato OCD Love, perlustrava la condizione ossessivo-compulsiva di un’anima travolta dalla passione, attraverso un alfabeto gestuale di movimenti scomposti, disarmonie, ritmi sfalsati in cui si specchiavano ansie e inquietudini delle dinamiche relazionali, sulla falsariga del poema slam OCD scritto dall’americano Neil Hilborn. Nel secondo capitolo, Love Chapter 2, fotografava la «condizione postuma, dopo una malattia, dove tutto è andato perduto», come l’eco nel corpo di una pena d’amore che ha squassato la mente e lasciato un lungo, dolente strascico nel corpo. Ora, nel terzo capitolo dal titolo eloquente, The Brutal Journey of the Heart, il viaggio brutale del cuore, proposto in apertura del festival TorinoDanza al Teatro Carignano dal 3 al 5 settembre, la coreografa israeliana Sharon Eyal torna ad auscultare il battito intermittente di «quel sentimento di venerazione — scriveva Proust — da noi tributato sempre a chiunque eserciti senza freno il potere di farci del male». Un lungo, sofferto cammino costellato dalla paura dell’abbandono, dall’ineluttabilità degli addii, dal dolore della perdita sull’abisso di relazioni sempre più friabili.
Sulla lacerante dominanza dell’amore, la bionda Sharon Eyal — nata a Gerusalemme nel 1971 e cresciuta alla Batsheva Dance Company di cui è stata direttore artistico associato e coreografa residente — ha costruito la propria poetica e fondato nel 2013 la propria compagnia, non a caso chiamata L-E-V (cuore in ebraico), attraverso la quale scolpisce una danza fibrillante e sensuale, scossa da fremiti, tensioni, sospensioni in dialogo empatico con il pubblico.
Fatalmente attratta dall’intensità delle emozioni, Eyal è affiancata da Gai Behar, compagno di scena e di vita e coautore della Trilogia, con il quale traduce in plastiche catene coreografiche i palpiti impazziti di un cuore che sembra percorrere ogni angolo dei corpi di ballerini compulsati dal live set dell’inseparabile Ori Lichtik, musicista che incrocia ritmi tribali, classica e clubbing. I costumi color carne, con cuori rossi trafitti da una selva di graffiti neri che rimandano ad allegorie medievali, sono disegnati da Maria Grazia Chiuri, la direttrice creativa di Dior, a conferma del sodalizio tra la maison francese e la coreografa israeliana.
La scelta di aprire TorinoDanza con Chapter 3: The Brutal Journey of the Heart equivale, per la direttrice artistica del festival Anna Cremonini, a un moto d’orgoglio: «Sharon arriva a Torino, in prima nazionale, con uno spettacolo che rinviammo, l’anno scorso, per l’impossibilità di viaggiare, e di cui siamo co-produttori. Di lei mi colpisce il linguaggio potente, la capacità di creare un rapporto emotivo con il pubblico, grazie al lavoro sul corpo che viene dal metodo Gaga di Ohad Naharin e della Batsheva».
Nella lunga lista dei committenti figurano il Sadler’s Wells, Ruhrtriennale, Montpellier Danse, Christian Dior Couture, Carolina Performing Arts, a testimoniare il dialogo ininterrotto con le grandi istituzioni culturali europee. Non è, però, solo impegno produttivo: «Ci dà orgoglio — afferma Cremonini — iniziare e finire con una donna coreografa: alle Fonderie Limone il 28 e 29 ottobre, la grande Anne Teresa De Keersmaeker tornerà in scena a 61 anni per danzare le sue Goldberg Variations in prima nazionale. L’ennesimo atto di coraggio di un’autrice che da sola ha trovato il proprio segno inconfondibile e fondato un’accademia, P.A.R.T.S. a Bruxelles, da cui sono uscite generazioni di danzatori e coreografi. Ho lottato con le unghie e con i denti per averla a TorinoDanza».
La nuova edizione del festival recupera, dunque, alcuni spettacoli previsti per la passata edizione, mettendo a segno un programma denso di debutti nazionali, produzioni e nomi internazionali: Hofesh Shechter, Dimitris Papaioannou, Alessandra Ferri e Carsten Jung, Honji Wang e Sébastien Ramirez, David Raymond e Tiffany Tregarthen, Peeping Tom, Aurélien Bory e Shantala Shivalingappa, Akram Khan, Anne Teresa de Keersmaeker. Con uno spazio preciso dedicato ai coreografi italiani Silvia Gribaudi, Annamaria Ajmone, Marco D’Agostin e Michele Di Stefano.
Nel cartellone s’intrecciano, come affiorando da un suolo carsico, i lavori creati da coppie d’artisti: Honji Wang e Sébastien Ramirez propongono in Parts duetti aerei tra hip hop e arti visive; i canadesi David Raymond e Tiffany Tregarthen (danzatori cresciuti nella compagnia Kidd Pivot di Crystal Pite) offrono in Bygones sperimentazioni di danza, luce e ombra; Gabriela Carrizo e Franck Chartier di Peeping Tom presentano, nel trittico The Missing Door, The Last Room, The Hidden Floor, un’intimità mutevole e soggiogata, in un interno domestico iperrealistico, da una malinconica nostalgia per il futuro; infine, Aurélien Bory e Shantala Shivalingappa, danzatrice indiana per Pina Bausch, firmano insieme Ash, meditazione sul dio Shiva e sul culto dei morti.
«Abbiamo la fortuna di presentare il festival in settembre, prima dell’incertezza dell’autunno — dice ancora Cremonini —. Con l’obbligo del green pass, sperimenteremo il 50% di capienza e un distanziamento interpersonale di un metro, al Carignano potremo riunire i congiunti nei palchi. Molti Paesi hanno fatto scelte diverse: anche la Francia ha l’obbligo del green pass, ma riempie al 100%. L’importante, comunque, è non perdere il pubblico e i rapporti con il mercato internazionale. Difenderò il festival fino all’ultimo».