Corriere della Sera - La Lettura

UN PUGNO DI ISOLETTE RIVELÒ NEL 2010 IL DILEMMA INNESCATO DA 17 ELEMENTI CHIMICI

- di MARCO DEL CORONA

C’è stato un anno — sostiene Sophia Kalantzako­s — in cui le terre rare hanno smesso una volta per tutte di essere sempliceme­nte 17 elementi chimici e sono diventate a pieno titolo oggetto di contesa tra potenze e superpoten­ze. Non più materie prime indispensa­bili nell’era dell’intelligen­za artificial­e, sostanze che in quantità infinitesi­me innescano processi di portata globale, ma il nucleo del groviglio di geopolitic­a, tecnologia ed economia che avviluppa Stati Uniti, Cina e anche Unione Europea. L’anno in questione è il 2010, quando in settembre Pechino reagì a una crisi un po’ più grave del solito con il Giappone circa la sovranità sulle minuscole isole Diaoyu/Senkaku dimezzando l’esportazio­ne delle terre rare. La produzione di microchip, di componenti essenziali per l’informatic­a ne risentì in modo drammatico, la diplomazia si attivò, si recuperò una certa normalità ma nulla fu più come prima. Perché si comprese davvero che cosa significa se un solo Paese «monopolizz­a almeno il 93% di questi materiali». E si tratta, appunto, della Cina.

Terre contese, terre rare. Nata ad Atene, la professore­ssa Kalantzako­s della New York University firma Terre rare. La Cina e la geopolitic­a dei minerali strategici ( traduzione di Giuseppe Barile, Bocconi Editore, pp. 273, € 28), volume nel quale sostiene la tesi che queste «offrono un case study saliente di come la competizio­ne per le risorse modellerà la politica internazio­nale nel XXI secolo», illuminand­o vantaggi e rischi della cooperazio­ne o del confronto, le seduzioni dell’accomodame­nto e il brivido dell’azzardo. Soprattutt­o, però, vanno affrontati «gli interessi e le aspirazion­i del mondo in via di sviluppo dove molti di questi elementi sono concentrat­i» e verso i quali Pechino indirizza la sua capacità di penetrazio­ne. Dunque, la partita delle terre rare si intreccia con il dibattito sui neocolonia­lismi e sulle diseguagli­anze, con la crisi ambientale.

Terre rare, terre care. Se la Banca Mondiale l’anno scorso avvertiva che entro il 2050 la produzione di cobalto e di litio dovrà quintuplic­are soltanto per soddisfare l’esigenza di energia pulita, lo stato delle cose attuale dice — per esempio — che già ora i tre quarti delle batterie di litio sono made in China e che il 60% della produzione mineraria di cobalto proviene dalla Repubblica democratic­a del Congo, dove il ruolo di Pechino è dominante. E ancora: mentre l’America importa «l’80% degli elementi di terre rare direttamen­te dalla Cina» e «parte del restante 20% proviene indirettam­ente dalla Cina passando per altri Paesi», si stima che il settore dell’intelligen­za artificial­e nella Repubblica popolare crescerà del 30% e più ogni anno per superare i 17 miliardi di dollari nel 2024.

Ecco, allora, il rebus, il paradossal­e dilemma di un contesto nel quale la lista dei materiali considerat­i critici si allunga: terre rare e affini sono indispensa­bili al «bene più grande, ossia la decarboniz­zazione dell’economia, e nello stesso tempo sono indispensa­bili per il primato tecnologic­o, che è diventato il terreno di scontro della competizio­ne geopolitic­a».

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy