Corriere della Sera - La Lettura

Finisce a Teutoburgo la Germania di Augusto

- Di GIOVANNI BRIZZI

ATeutoburg­o, presso Osnabrück, in Bassa Sassonia, in tre tragici giorni — dal 9 al 12 settembre del 9 d.C. — si risolsero le sorti della Germania romana. Convinto che il controllo sulle terre tra il Reno e l’Elba fosse ormai acquisito, Augusto aveva incaricato Quintilio Varo, un congiunto giurista e amministra­tore più che soldato, di organizzar­e la provincia. Qui la protervia e la stupidità del legato inasprì i Germani, poi la sua imperizia e la sua imprudenza — gli era stata svelata l’esistenza di un complotto — condusse 20 mila uomini al disastro. Perirono tre legioni, con la scorta di sei coorti ausiliarie e di tre ali di cavalleria; non un esercito di conquista, ma una guarnigion­e in ripiegamen­to appesantit­a da un convoglio di carri e da forse 10 mila civili, bambini e donne legati ai legionarî. A guidarla verso l’imboscata perfetta, nel cuore delle cupe foreste del nord, fu Armin «senza alcun dubbio il liberatore della Germania» (Tacito).

Caio Giulio Arminio, figlio di Segimund capo dei Cherusci, che aveva riunito una coalizione di Cherusci e Bructeri, Chatti e Marsi, Usipeti e Tencteri, era cittadino ed eques romano, forse prefetto di una coorte ausiliaria: un commiliton­e!

Al declinare della stagione, anziché verso il Reno, Varo mosse verso le ignote regioni a nord-ovest. Presso l’altura di Kalkriese —dove, lungo una palude oggi scomparsa, la via si riduceva a un varco chiuso da un terrapieno artificial­e difeso dai Germani — in tre giorni di lotta si consumò il massacro.

Il suicidio di Varo e degli ufficiali superstiti, i corpi insepolti dei legionarî, i teschi affissi al tronco degli alberi, i centurioni sacrificat­i su are barbariche: era, malgrado ciò, una sconfitta non irrimediab­ile, che però un Augusto vecchio e stanco di sangue come Roma stessa, trasformò in rinuncia. Oltre il Reno i Romani non sarebbero mai più tornati davvero.

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