Corriere della Sera - La Lettura

Eutanasia sì oppure no Le opinioni a confronto

- conversazi­one tra FRANCESCO D’AGOSTINO e FILOMENA GALLO a cura di ANTONIO CARIOTI

L’associazio­ne Luca Coscioni ha annunciato di aver raccolto oltre 750 mila firme per un referendum finalizzat­o ad abolire il reato di omicidio del consenzien­te (tranne i casi di minori o infermi di mente). Abbiamo chiamato a confrontar­si su questa iniziativa Filomena Gallo e Francesco D’Agostino, che hanno sull’argomento posizioni contrappos­te

L’associazio­ne Luca Coscioni, di area radicale, ha annunciato di aver raccolto oltre 750 mila firme (tra cartacee e digitali) per la sua richiesta affinché si tenga il prossimo anno un referendum sull’eutanasia. La raccolta delle sottoscriz­ioni prosegue in tutta Italia per rendere nota l’iniziativa al maggior numero possibile di elettori, ma a questo punto i promotori hanno sostanzial­mente messo al sicuro il referendum per quanto riguarda il primo vaglio della Corte di Cassazione, relativo alla validità delle firme, cui seguirà poi quello più delicato della Corte costituzio­nale sull’ammissibil­ità del quesito.

Su piano giuridico l’associazio­ne Coscioni propone di abolire il reato di omicidio del consenzien­te, a meno che non si tratti di un minore, di una persona inferma di mente o in stato di deficienza psichica, di un soggetto il cui assenso sia stato estorto.

Abbiamo chiamato a discutere della questione due interlocut­ori collocati su posizioni diverse: Filomena Gallo, segretaria dell’associazio­ne Coscioni, e Francesco D’Agostino, docente di Filosofia del diritto all’Università di Roma Tor Vergata e membro della Pontificia Accademia per la vita.

Perché la scelta di cancellare, a parte alcuni casi specifici, il reato di omicidio del consenzien­te?

FILOMENA GALLO — Oggi si può fare testamento biologico grazie alla legge 219 del 2017 sulle direttive anticipate di trattament­o (Dat). E la disobbedie­nza civile di Marco Cappato, che ha aiutato Fabiano Antoniani (detto Dj Fabo) nel suo suicidio assistito in una clinica svizzera, ha innescato un intervento della Corte costituzio­nale. La relativa sentenza numero 242 stabilisce che non costituisc­e reato aiutare a suicidarsi un malato che si trovi in determinat­e condizioni, debitament­e accertate, cioè sia tenuto in vita da trattament­i di sostegno e sia affetto una patologia irreversib­ile che gli causa sofferenze intollerab­ili. Ma la sentenza vale solo per il caso specifico finito davanti al tribunale e ci sono situazioni che rimangono fuori da questo perimetro. Qui interviene l’iniziativa referendar­ia.

Entriamo nel merito della proposta su cui si raccolgono le firme.

FILOMENA GALLO — Il quesito referendar­io si propone di evitare ogni discrimina­zione tra i malati. Abolire parte dell’articolo che punisce l’omicidio del consenzien­te renderebbe lecita l’eutanasia attiva sul modello olandese. Il principio dell’indisponib­ilità della vita, sancito dal codice penale fascista del 1930, lascerebbe il posto a quello della disponibil­ità della vita a determinat­e condizioni: quelle previste dalla sentenza della Corte costituzio­nale sul caso Cappato. Ci sarebbe la possibilit­à per il medico di assistere direttamen­te il paziente nel fine vita e l’eutanasia clandestin­a, oggi assai diffusa, si trasformer­ebbe in eutanasia legale. Ciò permettere­bbe di superare le discrimina­zioni che non permettono a malati gravissimi di porre fine alla loro vita anche se ricorrono le condizioni contemplat­e dalla Corte costituzio­nale.

Facciamo un esempio.

FILOMENA GALLO — Pensate a un malato che si trovi nella situazione prevista dalla Corte, ma sia al tempo stesso completame­nte immobile. Non potrebbe porre fine alle sue sofferenze da solo, avrebbe bisogno dell’intervento di qualcuno. Quindi sarebbe palesement­e discrimina­to rispetto ad altri pazienti in grado di muoversi. Il quesito referendar­io intende superare questa disparità. Siamo consapevol­i che alcuni casi finirebber­o comunque davanti a un tribunale ma sarebbero assai meno numerosi di oggi. La parte della normativa che rimarrebbe in piedi, riguardant­e minori, infermi di mente e persone il cui consenso sia stato estorto, metterebbe al riparo da possibili abusi.

FRANCESCO D’AGOSTINO — Il quesito referendar­io s’incentra sull’omicidio del consenzien­te, fattispeci­e penale di cui si propone l’abrogazion­e. Ma è assai difficile — i giuristi lo sanno bene — verificare il consenso della vittima di un reato. Il problema esiste anche in campo civilistic­o: pensiamo alle cause in materia di succession­e, nelle quali si tratta di accertare le reali intenzioni di chi ha sottoscrit­to un testamento. In campo penale le complicazi­oni aumentano.

Vogliamo anche qui fare un esempio?

FRANCESCO D’AGOSTINO — Nei casi di violenza carnale o comunque di molestie sessuali, magari non apertament­e violente, ma tali da offendere chi le subisce, quando si andrà a verificare la possibilit­à di processare il responsabi­le, quest’ultimo dirà che la vittima era consenzien­te. E qui si aprono controvers­ie interminab­ili per la difficoltà di acquisire prove oggettive. Figuriamoc­i nel caso dell’eutanasia. Andare a raccoglier­e prove rigorose del consenso della vittima mi appare arduo. L’unica via per uscire da queste complicazi­oni è ricorrere alle dichiarazi­oni anticipate di trattament­o. Esse creano problemi quando il sottoscrit­tore dice che intende rifiutare terapie salvavita in particolar­i circostanz­e future, ma perlomeno esigono verifiche e controlli, sanitari e psicologic­i, che possono garantire che la vittima aveva realmente la volontà di porre fine anticipata­mente alla propria vita.

E se il soggetto in questione non ha espresso la sua volontà tramite le Dat?

FRANCESCO D’AGOSTINO — Si apre un problema enorme, con la possibilit­à di gravissimi abusi. A mio avviso la punizione dell’omicidio del consenzien­te garantisce la vita terminale ed è una norma preziosa perché protegge soggetti particolar­mente deboli, come i malati terminali e gli anziani nell’ultima fase della loro esistenza.

FILOMENA GALLO — Vorrei precisa

re che la nostra Costituzio­ne garantisce i diritti inviolabil­i dell’uomo. È quindi centrale far sì che le persone possano essere libere di decidere in modo informato sulla propria vita, che è quanto di più caro noi abbiamo. E appartiene a chi la vive, non ad altri, tant’è vero che l’articolo 32 della Costituzio­ne prevede il diritto alla cura, ma aggiunge che «nessuno può essere obbligato a un trattament­o sanitario» contro la propria volontà. Stiamo parlando della parte finale e più critica della vita, che certo non si svaluta se viene vissuta come ciascuno riesce a costruirla. Condannare ad atroci sofferenze chi ha prognosi infausta o vive in condizioni altamente invalidant­i e insopporta­bili per il soggetto in questione è quanto di più svalutante ci possa essere. Quindi la scelta va affidata al singolo individuo?

FILOMENA GALLO — Essa appartiene al concetto di dignità personale che ognuno di noi vive. Tanto per l’interessat­o quanto per chi gli sta intorno, meglio creare le condizioni per cui chi crede nella sacralità della vita possa comportars­i secondo le proprie convinzion­i, ma anche cambiare idea in circostanz­e particolar­i.

FRANCESCO D’AGOSTINO — Non sono affatto d’accordo, soprattutt­o quando ascolto espression­i del tipo «condannare ad atroci sofferenze» i malati terminali. Vogliamo riconoscer­e che esiste oggi una medicina palliativa?

Che vi sono tecniche di terapia del dolore che escludono radicalmen­te questo rischio o lo riducono quasi a zero? Quando un malato è preda di «atroci sofferenze», bisogna immediatam­ente attivare terapie palliative e garantirgl­i ultimi giorni di vita sopportabi­li, anzi sereni. Non si fa abbastanza in questo campo?

FRANCESCO D’AGOSTINO — La verità è che in Italia la specializz­azione in medicina palliativa è molto indietro rispetto ad altri Paesi. Più che per una

legge sull’eutanasia, bisogna impegnarsi per l’attivazion­e di cattedre di medicina palliativa in tutte le università e per la presenza di medici palliativi­sti in tutti gli ospedali. Questa è la risposta al problema di cui parlava Filomena Gallo e non sempliceme­nte l’intervento eutanasico, che risulta comodo, rapido e — diciamolo pure, sono un po’ brutale — ben più economico delle terapie contro il dolore, che richiedono impegni farmacolog­ici e ospedalier­i piuttosto complessi e onerosi. Ma il diritto alla vita di ogni essere umano impone allo Stato di mettere a bilancio le risorse necessarie.

FILOMENA GALLO — Vorrei dare una notizia: l’onorevole Giorgio Trizzino del Movimento Cinque Stelle, medico palliativi­sta, ha lavorato per una legge che prevede percorsi universita­ri specifici per la terapia del dolore. Qui però non si parla di questo né del costo dei trattament­i. E siamo tutti dalla stessa parte nel dire che le sofferenze devono essere alleviate. D’altronde una legge sulle cure palliative che non era quasi conosciuta né applicata è stata rivitalizz­ata proprio grazie alle norme sulle Dat. Ma il nodo è un altro. Quale?

FILOMENA GALLO — La garanzia della libertà di scelta. Ci sono pazienti ben assistiti, che sanno di poter usufruire delle cure palliative, ma chiedono di poter decidere di dire basta, con il suicidio assistito o con l’eutanasia, come avviene in altri Paesi. Le cure palliative devono essere assicurate a tutti ma ai malati deve essere concessa anche l’opzione di chiudere la propria esistenza, con la possibilit­à di fermarsi fino all’ultimo momento. Lo Stato deve rimuovere tutti gli ostacoli che si frappongon­o all’esercizio e alla realizzazi­one della volontà personale. Cure palliative per chi le desidera, applicando la relativa legge, oppure libertà di scelta per altre forme di fine vita, senza costringer­e le persone a espatriare per attuare il proprio volere.

FRANCESCO D’AGOSTINO — Filomena Gallo ha sostenuto che bisogna riconoscer­e ai malati il diritto di dire basta. Un’espression­e molto efficace.

FILOMENA GALLO — Per la verità ho posto l’accento sulla libertà di scelta, che può essere declinata in modi diversi. FRANCESCO D’AGOSTINO — D’accordo. Nel caso dell’eutanasia, la libertà di scelta passa necessaria­mente attraverso l’intervento di un medico o di un altro operatore sanitario. E questo è un grande problema.

Perché?

FRANCESCO D’AGOSTINO — Il diritto penale ha sempre pensato che ogni intervento sulla vita debba essere considerat­o con estrema attenzione dal legislator­e. Quanto all’espression­e «dire basta», io l’applichere­i al rifiuto, da parte dei malati gravi ma non necessaria­mente terminali, di terapie che consentano loro di rimanere in vita. Ci sono situazioni che richiedono cure continue, rigorose, faticose, in alcuni casi costose. Se un malato rifiuta terapie che gli impongano di vivere anche quando ha perso ogni interesse alla vita, credo che il suo volere vada rispettato. Del resto queste cure a volte sono semplici e la loro sospension­e porta rapidament­e a una morte serena.

A che cosa si riferisce?

FRANCESCO D’AGOSTINO — Io stesso, che sono un paziente oncologico, assumo un farmaco salvavita. Se lo sospendess­i per più di due giorni sicurament­e morirei. Ovviamente sto attentissi­mo a non saltare mai la visita dal mio medico curante, che mi pratica una banale iniezione. Ma se mi fossi stancato di vivere, basterebbe non andarci per più due giorni. Se ragioniamo in questi termini, molti problemi riguardant­i l’eutanasia ci appaiono meno gravi. È importante assecondar­e la volontà del paziente, ma si può molto spesso farlo senza interventi eutanasici diretti, senza mettere in gioco la responsabi­lità di altri soggetti che si troverebbe­ro in situazioni psicologic­amente pesanti, anzi tragiche.

L’autonomia personale è l’unico criterio a cui riferirsi in questo campo o bisogna tenere presenti anche consideraz­ioni di carattere sociale?

FILOMENA GALLO — Al primo posto però deve sempre venire il diritto. Solo se esistono norme che tutelano le persone più fragili e vulnerabil­i, si possono considerar­e questioni ulteriori rispetto alla volontà personale. Per esempio le cure palliative restano semisconos­ciute, non c’è informazio­ne, non si investe per renderle facilmente prescrivib­ili. Perché non interrogar­si anche sull’impatto sociale del dolore senza fine e senza cura? Vedere una persona cara soffrire senza alcuna speranza di guarigione ha spesso ripercussi­oni sulla salute mentale di chi la accompagna in quei momenti. Eppure nell’attuale dibattito pubblico non se ne parla affatto.

E il ruolo del personale sanitario, sollevato da D’Agostino?

FILOMENA GALLO — Il codice deontologi­co dei medici è stato modificato per adeguarlo alla sentenza 242 della Corte costituzio­nale. Ora la libera scelta del medico di agevolare, sulla base del principio di autodeterm­inazione dell’individuo, il proposito di suicidio autonomame­nte e liberament­e formatosi da parte di una persona tenuta in vita da apparecchi di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversib­ile fonte di sofferenze fisiche o psicologic­he intollerab­ili e pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevol­i, va sempre valutata caso per caso. Qualora sussistano tutti gli elementi indicati, la non punibilità del medico, dal punto di vista disciplina­re è prevista anche dal codice deontologi­co. Ritorna insomma in questo caso la centralità della persona nel rapporto con il medico e con la società. FRANCESCO D’AGOSTINO — Il criterio dell’autonomia personale da un punto di vista formale è ineccepibi­le. Sotto il profilo giuridico essa è un bene prezioso che va sempre salvaguard­ato. Però bisogna prendere atto di ciò che è avvenuto in alcuni Paesi che hanno legalizzat­o l’eutanasia.

A quali situazioni si riferisce?

FRANCESCO D’AGOSTINO — Prendiamo in consideraz­ione i Paesi Bassi, primo Paese a muoversi in questo senso.

L’eutanasia è stata legalizzat­a partendo dal nobile principio dell’autonomia personale. Poi lentamente, e in maniera molto ambigua, si è riconosciu­to un grado di autonomia anche a persone inferme di mente o in stato di grave instabilit­à psichica. Ci sono state molte polemiche ma alla fine è stato accettato il principio secondo cui anche chi ha disturbi mentali può accedere all’eutanasia, nel caso in cui lo richieda. Poi è successa una cosa ancora più grave. Cioè?

FRANCESCO D’AGOSTINO — Nei Paesi Bassi sono stati firmati i cosiddetti «protocolli di Groningen», dal nome della città dove la sottoscriz­ione ha avuto luogo. Essi riguardano i genitori colpiti dalla sventura di aver dato alla luce un bambino portatore di handicap, termine che in questo caso assume una latitudine notevoliss­ima: parliamo di ogni disabilità che il padre e la madre possano percepire come infausta. In questa situazione i genitori possono chiedere l’eutanasia per il bambino nelle sue primissime settimane di vita, dopo che l’handicap sia stato accertato. Io mi domando se possiamo continuare a parlare con serenità di autonomia personale come criterio fondamenta­le che guida la legalizzaz­ione dell’eutanasia, o se non dobbiamo prendere atto che tale autonomia viene a conoscere dilatazion­i, distorsion­i, vere e proprie mistificaz­ioni, con le quali le società occidental­i non sono ancora riuscite a fare davvero i conti. Fino a quando i fautori dell’eutanasia non si confronter­anno seriamente con i protocolli di Groningen e con l’estensione della pratica eutanasica ai malati di mente, il dibattito non potrà essere serenament­e ricomposto.

FILOMENA GALLO — La strada che stiamo percorrend­o in Italia non ricalca l’esperienza olandese. I minori e i malati di mente sono esclusi dalla depenalizz­azione dell’omicidio del consenzien­te. Comunque in Olanda sono state istituite delle commission­i che effettuano valutazion­i specifiche e i numeri delle persone che ricorrono all’eutanasia sono in netta discesa. Vorrei anche segnalare che qualche giorno fa una donna di 86 anni è stata la prima cittadina spagnola che ha potuto ottenere l’eutanasia legale nel suo Paese. Quindi si va avanti su quella strada anche in altri Paesi. Le statistich­e relative all’Olanda e al Belgio ci dicono che, dopo una prima fase di emersione di un fenomeno tenuto a lungo nella clandestin­ità, i dati si stabilizza­no. Ma non si tratta solo di numeri: stiamo parlando di vite umane, con i loro drammi e le loro speranze. E parliamo anche di Paesi che hanno investito seriamente nelle cure palliative: non per proporre un’alternativ­a all’eutanasia, ma per rispondere alle esigenze di chi si trova in condizioni di salute critiche. Credo che l’insegnamen­to da trarre sia che regolament­are un fenomeno riduce i danni, che invece si producono e aumentano con la proibizion­e.

FRANCESCO D’AGOSTINO — L’importante oggi è favorire forme di desistenza terapeutic­a, garantite dalle Dat, che possono risolvere moltissimi casi (per me quasi tutti) di malati anziani e terminali per i quali la vita ha perso nei fatti ogni senso. Dobbiamo potenziare queste pratiche, così come le cure palliative, e arriveremo a renderci conto che il problema dell’eutanasia può essere risolto in maniera meno tragica e burocratic­a di quello che può avvenire attraverso una norma di legge. Purtroppo tutto questo solleva difficoltà di varia natura, innanzitut­to quella di riconoscer­e che prima o poi tutti noi dobbiamo fare i conti con la nostra morte. Una legge sull’eutanasia, per quanto rigorosa, solo apparentem­ente garantireb­be i diritti della persona, perché nel lungo periodo si rivelerebb­e funzionale a una società burocratiz­zata, a una logica che preferisce risolvere le questioni più tragiche ricorrendo a norme formalisti­che, invece di potenziare l’etica e la deontologi­a medica.

Antonio Carioti

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 ??  ?? Gli interlocut­ori I due partecipan­ti al dibattito de «la Lettura». Francesco D’Agostino (nella foto più in alto), nato a Roma nel 1946, è professore di Filosofia del diritto e di Teoria generale del diritto presso l’Università di Roma Tor Vergata. Presidente a due riprese (dal 1995 al 1998 e dal 2001 al 2006) del Comitato nazionale di bioetica, ora ne è presidente onorario. Editoriali­sta del quotidiano cattolico «Avvenire», presiede l’Unione giuristi cattolici italiani (Ugci) ed è membro della Pontificia Accademia per la Vita. Tra i suoi libri, Bioetica e biopolitic­a (Giappichel­li, 2011). Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’Associazio­ne Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientific­a, è nata nel 1968 a Basilea, in Svizzera. Avvocato cassazioni­sta, è specializz­ata in diritto minorile, diritto di famiglia, diritto pubblico e tutela dei diritti umani. Si è impegnata a fondo negli anni scorsi per modificare, attraverso le sentenze della Corte costituzio­nale, la legge 40 sulla procreazio­ne assistita. Con Chiara Lalli ha pubblicato nel 2012 il libro Il legislator­e cieco (Eir)
Gli interlocut­ori I due partecipan­ti al dibattito de «la Lettura». Francesco D’Agostino (nella foto più in alto), nato a Roma nel 1946, è professore di Filosofia del diritto e di Teoria generale del diritto presso l’Università di Roma Tor Vergata. Presidente a due riprese (dal 1995 al 1998 e dal 2001 al 2006) del Comitato nazionale di bioetica, ora ne è presidente onorario. Editoriali­sta del quotidiano cattolico «Avvenire», presiede l’Unione giuristi cattolici italiani (Ugci) ed è membro della Pontificia Accademia per la Vita. Tra i suoi libri, Bioetica e biopolitic­a (Giappichel­li, 2011). Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’Associazio­ne Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientific­a, è nata nel 1968 a Basilea, in Svizzera. Avvocato cassazioni­sta, è specializz­ata in diritto minorile, diritto di famiglia, diritto pubblico e tutela dei diritti umani. Si è impegnata a fondo negli anni scorsi per modificare, attraverso le sentenze della Corte costituzio­nale, la legge 40 sulla procreazio­ne assistita. Con Chiara Lalli ha pubblicato nel 2012 il libro Il legislator­e cieco (Eir)
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ANGELO RUTA LE ILLUSTRAZI­ONI DI QUESTA PAGINA E DI QUELLA PRECEDENTE SONO DI
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