Corriere della Sera - La Lettura
Solo l’albero protegge l’Amazzonia
Anamei
Prima il caucciù, poi l’oro. Per i nativi Harakbut la storia degli ultimi due secoli è quella di un saccheggio continuo e di un lento sterminio. Yésica Patiachi, che ha tramandato i loro miti orali in un libro, è tra le poche migliaia di sopravvissuti nella regione di Madre de Dios, Amazzonia peruviana. A loro dà voce il documentario Anamei di Alessandro Galassi, al debutto il 27 settembre all’Auditorium San Fedele di Milano nell’ambito della Pre-Cop 26.
Penne sul capo e cellulare in mano, tra i ritmi rap dell’indios Gasel, gli indigeni guidano lo spettatore nel loro mondo dove la cura della terra è la cura dell’uomo: trovano la forza di resistere in Anamei, l’albero che per la leggenda li salvò dall’incendio che stava distruggendo il mondo. Rischiano la vita per vigilare contro i cercatori illegali d’oro che stanno depredando la regione: le miniere clandestine hanno divorato oltre 70 mila ettari di foresta. Tra le immagini più sconcertanti quella della riserva di Tambopata «sanguinante». Il paradiso della biodiversità appare tinto di rosso per il mercurio che avvelena terra, acqua e uomini. «L’uomo bianco deve mettere in discussione la sua opera che minaccia la vita sulla Terra», avvertono.
Ma pochi leader si sono spesi per difenderli. Tra loro Papa Francesco che proprio da qui, nel 2018, ha aperto il Sinodo sull’Amazzonia, concluso in Vaticano alla presenza dei nativi, ripresi «in trasferta» da Galassi. Nella loro resistenza si nasconde la chiave di una guarigione possibile.