Corriere della Sera - La Lettura

Io afghano rinato da Manzoni

Metamorfos­i Parla l’autore Gholam Najafi

- Di IDA BOZZI

Incarna in sé molti incroci ,lo scrittore afghano Gholam Najafi, classe 1990, autore di Il mio Afghanista­n e Il tappeto afghano, che sarà al festival con il nuovo Tra due famiglie (editi da La Meridiana). «La mia vita è stata un incrocio continuo tra persone, da un Paese all’altro». Fuggito bambino nel 2000, nascosto sotto a un camion dopo l’assassinio del padre da parte dei talebani, arrivato in Italia dove vive tuttora, ricapitola le sue esperienze con «la Lettura». «Partito così piccolo, tutto era strano per me, cresciuto come pastore e contadino sulle montagne afghane, dove incontravo animali più che persone». Scoppiata la guerra civile («una guerra lenta, non c’erano carri armati: non come quest’anno») è scappato «senza sapere dov’era l’Europa: volevo solo essere salvato e poi tornare nel mio villaggio. Ma quando uno parte, diventa impossibil­e ritornare. Bisogna andare avanti».

Gli incroci si sono fatti sempre più numerosi lungo la strada: contrabban­dieri, fuggitivi, migranti, e in Italia una nuova famiglia, a Murano. «Volevo imparare la lingua, perché tutto parte da lì. Ad esempio, nella nuova famiglia, quando uscivo con i miei fratelli a Murano, loro non capivano quel che raccontavo io e io non capivo quel che raccontava­no loro, perché non avevamo qualcosa in comune. Piano piano, imparata la lingua, iniziata l’università, ho cominciato a leggere, a vedere film: allora avevamo argomenti in comune e siamo diventati sempre più amici». L’incrocio più importante è stato alle superiori: «L’Italia è il Paese più bello del mondo, e per me Venezia non una delle più belle, ma la più bella città del mondo, per cultura e arte. In teoria dovevo diventare lavapiatti, non letterato, invece ringrazio immensamen­te la mia insegnante di Lettere: quando ho iniziato a studiare Alessandro Manzoni, lì è iniziata la mia terza vita».

Il tema della lingua è centrale anche in Afghanista­n: «È un territorio complicato, c’è grande diversità linguistic­a, culturale, religiosa, sciiti e sunniti sono molto diversi, non sappiamo come comunicare tra hazara e pashtun. Se non si riesce a parlare con il vicino, è come se il nemico abitasse nella casa accanto». Najafi vuole costruire una scuola: «A maggio sono tornato in Afghanista­n, ho trovato studenti e studentess­e appena laureati, ho comprato il terreno per costruire una scuola e lavorare con i giovani. Una scuola umanistica. Poi sono arrivati i talebani». Così è rientrato in Italia. Ora teme una guerra civile ma vuole tornare: «Preferirei vedere da vicino questo cambiament­o radicale. Per raccontare la realtà bisogna vivere nella realtà».

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