Corriere della Sera - La Lettura

La bellezza dei crocevia

Uno scrittore a Venezia va alla ricerca dei dipinti di Giovanni Bellini: un libro prezioso lo guida nel labirinto di una città che ospiterà da mercoledì 3 novembre il festival Incroci di civiltà

- Di JAN BROKKEN (traduzione di Claudia Cozzi)

Era un mattino nebbioso, con una luce che faceva pensare alla carta, a carta spessa, cremosa, fatta a mano. Comprai un quaderno da Paolo Olbi: cinquecent­o fogli a righe, copertina blu con un motivo a fiori e foglie in stile liberty, dorso in lino grezzo grigio chiaro rilegato e cucito, non incollato.

Ricordo la sua bottega come un sogno: sul retro del negozio-laboratori­o Olbi, le spalle leggerment­e curve, cuciva pazienteme­nte i suoi quaderni. Li potevi ordinare nel formato che preferivi, ma sempre con carta da ottanta grammi.

Vent’anni più tardi il quaderno era ormai pieno, e sapevo esattament­e dove andare a comprarne uno nuovo. La bottega non esisteva più. Trasferita, mi dissero, in calle de la Mandorla, non lontano da campo Sant’Anzolo. Trovai la nuova bottega di Olbi senza troppe difficoltà per gli standard veneziani, in questa città labirintic­a si sbaglia sempre almeno un paio di volte a un ponte o a una calle. Un Olbi praticamen­te immutato rilegava ancora quaderni, stampava incisioni di Venezia con inchiostro di china, e si lamentava della decadenza delle cose. Mi chiese se volevo un altro quaderno. Certo.

La bottega sembrava quella di vent’anni prima, da una parte gli scaffali con i quaderni e gli album da disegno, dall’altra gli scaffali con la carta.

Sul retro, nel piccolo laboratori­o, le forbici per il cartoncino, la taglierina per la carta, la stessa pressa verticale e dietro, di lato, quella orizzontal­e. Paolo Olbi mi ricordava un libraio che nel 1982 si rifiutò di vendermi uno degli esemplari più costosi della sua collezione.

In vetrina, talmente piccola da ospitare al massimo quattro o cinque libri, avevo notato quello che pensavo fosse un catalogo, un grosso volume bordeaux, il cui titolo inciso in oro era solo un nome: Bellini. A quell’epoca, bastava dirmi «Bellini» e io ero già in strada a cercare il luogo in cui era possibile vedere una Madonna del maestro. Anche se, in realtà, fu un dipinto profano ad attirare la mia attenzione su Bellini: la Giovane donna nuda allo specchio del Kunsthisto­risches Museum di Vienna.

Persi immediatam­ente la testa per quella bellezza che acconcia i suoi capelli di un biondo veneziano, con una sfumatura rossa in armonia con il telo rosato drappeggia­to sul braccio e sul ventre nudo, coprendo in parte il pube — un dettaglio che rende la tela sensuale proprio come Bellini voleva che fosse, ovvero in modo pudico, introverso e per questo ancora più seducente. I colori del suo velo — blu e marrone — sfumano alla perfezione nel blu e nel bruno del paesaggio dipinto sullo sfondo. Accanto alle sue cosce nude c’è un biglietto aperto, da cui possiamo dedurre che la giovane donna si stia preparando per un appuntamen­to con il suo amato.

Vidi quel dipinto nella primavera dal

1980, e quando due anni dopo andai a Venezia, la prima cosa che feci fu cercare di vedere molti altri Bellini. Entrai e chiesi di quello che mi sembrava un catalogo dell’opera. Notai una malcelata riluttanza a mostrarmi l’esemplare. «È molto caro», disse il venditore prima di aprire lo sportello della vetrina. Da come mi guardava, potevo indovinare i suoi pensieri: questo stupido turista non vorrà mai pagare così tanto per un’opera di carta e inchiostro. «Nessun problema», risposi, al che lui sbuffò sdegnosame­nte. Aveva capelli grigi, sopraccigl­ia grigie, baffi grigi e portava un camice grigio. Probabilme­nte anche le calze erano dello stesso colore. «Se dico molto costoso, intendo molto costoso», insistette. In francese, che a quell’epoca veniva ancora parlato spesso, e oggi per niente.

Io annuii, perché volevo assolutame­nte vedere il libro. Pescò una chiavetta dalla tasca del suo camice, aprì lo sportello, prese il libro dalla vetrina come se fosse una reliquia, lo spolverò e lo posò sul tavolo al centro del negozio. La prima cosa che mi colpì furono le illustrazi­oni a colori, stampate separatame­nte su carta lucida della migliore qualità, per cui l’effetto era molto fedele all’originale. Il libro conteneva trentacinq­ue di quelle tavole a colori, tutte stampate su pagine intere. Le illustrazi­oni in bianco e nero erano duecentoci­nquanta, per cui mi resi conto immediatam­ente che non avrei potuto trovare un libro migliore su Bellini. Ringraziai il libraio e gli chiesi di impacchett­armi il libro. «Ma è in francese...».

La cosa buffa è che avevamo condotto l’intera conversazi­one in francese, quindi poteva supporre che la lingua per me non fosse un ostacolo.

Per quanto fosse un volume pesante, nei giorni che seguirono lo usai come guida. Non esiste modo migliore, pensai, per vedere tutti i Bellini di Venezia. E non sono pochi. Presi un vaporetto dopo l’altro, feci chilometri per arrivare a cappelle, chiese e basiliche, feci scoperte magnifiche e vidi dipinti che con ogni probabilit­à senza il libro non avrei visto. Come il Polittico di San Vincenzo Ferrer nella basilica di San Zanipolo, una pala d’altare che è allo stesso tempo un’opera teatrale, con Vincenzo Ferrer come protagonis­ta, un predicator­e spagnolo che viaggiò per tutta l’Europa e riuscì a mobilitare intere popolazion­i. Ogni volto su questa grande opera ha una personalit­à, anche quello del fanciullo seduto sulle spalle di San Cristoforo che guada un fiume. Negli occhi del santo colgo qualresse, cosa che sembra un incoraggia­mento: guarda figliolo, assorbi fino in fondo tutto quanto! Due figure e dietro tutta una storia, è così per ogni personaggi­o di Bellini. Sul trittico nella basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari trovai una Maria quasi allegra, un bambinello sorridente e un angelo gioviale che suona la chitarra. Nella stessa chiesa è sepolto Monteverdi.

Sulla pala per il doge Barbarigo in San Pietro Martire, a Murano, compaiono angeli che fanno musica in modo ancora più esuberante, con violino e liuto. Bellini deve aver amato la musica, che per lui significav­a gioia di vivere, ottimismo e ogni tanto un pizzico di malinconia. Sapeva esprimere tutti gli stati d’animo. Nel Museo Correr trovai una Madonna afflitta, in San Giobbe una Madonna quasi maliziosa, un San Gerolamo sognante sulla pala d’altare di San Giovanni Crisostomo. Le tinte si fanno fortemente drammatich­e invece nella

Presentazi­one di Gesù al tempio della Fondazione Querini Stampalia, che sembra quasi la scena culminante di un’opera teatrale.

Giovanni Bellini non è solo uno dei primi ritrattist­i del Rinascimen­to, si potrebbe anche definirlo uno dei primi paesaggist­i.

Lo sfondo delle sue rappresent­azioni bibliche diviene sempre più importante, il paesaggio racconta una propria vicenda, ora le colline sono coltivate, le città assumono una forma definita, come la tipica città dell’Italia settentrio­nale della Madonna col Bambino fra Giovanni Battista e una santa all’Accademia.

Ho vissuto per giorni con Bellini, colpito dalla meraviglio­sa combinazio­ne di eleganza e raffinatez­za, di sensualità e purezza, di raccoglime­nto ed espressivi­tà. A quell’epoca avevo poco più di trent’anni... Sono diventato adulto negli anni Sessanta e Settanta del ventesimo secolo, l’epoca della rivolta, della provocazio­ne, della rivoluzion­e, del basta con la fede e i valori borghesi. E adesso ero a Venezia, mi trovavo faccia a faccia con gli ideali del Rinascimen­to e imparavo più di quanto avessi imparato in tutti gli anni di scuola e di università.

Imparai che non solo esiste una strada che porta alla bellezza assoluta, ma anche che è possibile serbare nella propria anima qualcosa di quel sublime splendore, a compensare tutte le brutture e le sfacciate volgarità che il mondo ti rovescia addosso.

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