Corriere della Sera - La Lettura
Le nascite dal 2008: un terzo in meno
Da gennaio 2021 a luglio sono venuti alla luce in Italia 220 mila bambini. Nei primi sette mesi del 2020 furono 231 mila. In 13 anni il calo è di 190 mila. Un problema sottovalutato
Nascite in Italia dal 1° gennaio al 31 luglio 2021: 220.298. Negli stessi sette mesi del 2020 le nascite furono 231.313. In sette mesi si sono perse 11 mila nascite, pari a quasi il 5 per cento. Se continuerà così chiuderemo l’anno attorno a 385-387 mila unità, 17-19 mila meno del 2020. Niente di eccezionale, viene quasi da dire, considerando che ormai di anno in anno non facciamo che ripetere il refrain più abusato: nuovo primato negativo delle nascite in Italia. Seguono dati di cui nessuno ormai mostra più di meravigliarsi. Tutto di eccezionale, viceversa, se questo ulteriore dato viene letto da una angolazione leggermente diversa: nel 2008 le nascite in Italia erano 577 mila, dunque alla fine di questo 2021 avremo lasciato sul terreno 190 mila nascite annue, un terzo esatto delle nascite del 2008. Un terzo di nascite in meno in tredici anni. Qualcuno può divertirsi a estrapolare questi dati per il futuro immediato. A quando le nascite zero? A presto, signora mia, a presto.
Si scherza (ma mica poi tanto) per non piangere. Persino i Paesi dell’Europa dell’Est, sovranisti, chiusuristi (verso i flussi migratori), redditi personali e famigliari bassi, economicamente lillipuziani sulla scena del mondo, mica come la (quasi) corrazzata Italia, pur sempre stabilmente nella «top ten» delle potenze economiche mondiali, perfino loro, o almeno alcuni di loro, di fronte al rischio estinzione hanno reagito con energia, impegnato risorse, dato il «la» a politiche di inclusione nel lavoro e nella casa dei giovani che stanno dando dei frutti. E l’Italia? Dall’Italia stiamo ancora aspettando un segnale di reazione che sia chiaro e leggibile da tutti. Che però tarda.
C’era la pandemia da tenere sotto controllo. E sia. E c’era la situazione economica da rimettere in movimento. Siamo d’accordo. E c’è ovviamente il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), dopo ch’è stato finalmente definito, da impiantare, seguire, monitorare in tutti i suoi aspetti e progetti per portarlo al suo approdo più soddisfacente e salvifico per le sorti del Belpaese. D’accordo a maggior ragione anche su questo. Ma resta la domanda: per una popolazione, quella italiana, malinconicamente avviata anzitempo sul viale del tramonto, malferma, sbilenca, acciaccata, invecchiata, incapace di qualsivoglia reazione, una popolazione che tutti quelli che si interessano di demografia, di organismi che hanno questo nome — popolazioni — danno sostanzialmente per spacciata entro la fine del secolo, per questa popolazione chi fa concretamente qualcosa? E se c’è chi fa qualcosa, che cosa fa?
Ma è proprio il Pnrr, ci si obietta, la sua impostazione, la sua realizzazione, che rappresenta la soluzione anche del problema «popolazione italiana» — possibile non capirlo? Parlo per me e confesso: no, non l’ho capito. Perché non vedo chiarezza.
Punto primo: il Pnrr avrebbe dovuto avere il problema demografico, ovvero il problema di una popolazione, quella italiana, morente, e sottolineo morente, come suo asse portante attorno al quale tutti gli indirizzi e progetti avrebbero dovuto ruotare. È così? Non è così. In una peraltro fluida, motivata, perfino accattivante premessa a firma Mario Draghi si accenna alla fragilità sociale, economica e ambientale del Paese, per significare che la cura di questa fragilità è il punto di partenza e sviluppo di tutto il Pnrr. La fragilità demografica, la prima in ordine di importanza e gravità, non è citata. Un richiamo alle problematiche demografiche, peraltro generico e molto en passant, lo troviamo quando si parla di politiche per i giovani e politiche per le donne nell’ambito delle cosiddette «Priorità trasversali», a loro volta inserite nel primo capitolo denominato «Obiettivi generali». Generali, appunto, di davvero specifico, al riguardo, al più tracce.
Punto secondo: obiettivi e scadenze. Ci sono forse nel Pnrr obiettivi che riguardano il tasso di fecondità (numero medio di figli per donna, con l’Italia pronta a precipitare alla soglia dell’inconsistenza di 1,2 figli) o quello di natalità (scenderemo a 6,4 nati l’anno ogni mille abitanti, con l’Unione Europea a 9, il 40 per cento di più)? Non ci sono.