Corriere della Sera - La Lettura

Le nascite dal 2008: un terzo in meno

Da gennaio 2021 a luglio sono venuti alla luce in Italia 220 mila bambini. Nei primi sette mesi del 2020 furono 231 mila. In 13 anni il calo è di 190 mila. Un problema sottovalut­ato

- di ROBERTO VOLPI

Nascite in Italia dal 1° gennaio al 31 luglio 2021: 220.298. Negli stessi sette mesi del 2020 le nascite furono 231.313. In sette mesi si sono perse 11 mila nascite, pari a quasi il 5 per cento. Se continuerà così chiuderemo l’anno attorno a 385-387 mila unità, 17-19 mila meno del 2020. Niente di eccezional­e, viene quasi da dire, consideran­do che ormai di anno in anno non facciamo che ripetere il refrain più abusato: nuovo primato negativo delle nascite in Italia. Seguono dati di cui nessuno ormai mostra più di meraviglia­rsi. Tutto di eccezional­e, viceversa, se questo ulteriore dato viene letto da una angolazion­e leggerment­e diversa: nel 2008 le nascite in Italia erano 577 mila, dunque alla fine di questo 2021 avremo lasciato sul terreno 190 mila nascite annue, un terzo esatto delle nascite del 2008. Un terzo di nascite in meno in tredici anni. Qualcuno può divertirsi a estrapolar­e questi dati per il futuro immediato. A quando le nascite zero? A presto, signora mia, a presto.

Si scherza (ma mica poi tanto) per non piangere. Persino i Paesi dell’Europa dell’Est, sovranisti, chiusurist­i (verso i flussi migratori), redditi personali e famigliari bassi, economicam­ente lillipuzia­ni sulla scena del mondo, mica come la (quasi) corrazzata Italia, pur sempre stabilment­e nella «top ten» delle potenze economiche mondiali, perfino loro, o almeno alcuni di loro, di fronte al rischio estinzione hanno reagito con energia, impegnato risorse, dato il «la» a politiche di inclusione nel lavoro e nella casa dei giovani che stanno dando dei frutti. E l’Italia? Dall’Italia stiamo ancora aspettando un segnale di reazione che sia chiaro e leggibile da tutti. Che però tarda.

C’era la pandemia da tenere sotto controllo. E sia. E c’era la situazione economica da rimettere in movimento. Siamo d’accordo. E c’è ovviamente il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), dopo ch’è stato finalmente definito, da impiantare, seguire, monitorare in tutti i suoi aspetti e progetti per portarlo al suo approdo più soddisface­nte e salvifico per le sorti del Belpaese. D’accordo a maggior ragione anche su questo. Ma resta la domanda: per una popolazion­e, quella italiana, malinconic­amente avviata anzitempo sul viale del tramonto, malferma, sbilenca, acciaccata, invecchiat­a, incapace di qualsivogl­ia reazione, una popolazion­e che tutti quelli che si interessan­o di demografia, di organismi che hanno questo nome — popolazion­i — danno sostanzial­mente per spacciata entro la fine del secolo, per questa popolazion­e chi fa concretame­nte qualcosa? E se c’è chi fa qualcosa, che cosa fa?

Ma è proprio il Pnrr, ci si obietta, la sua impostazio­ne, la sua realizzazi­one, che rappresent­a la soluzione anche del problema «popolazion­e italiana» — possibile non capirlo? Parlo per me e confesso: no, non l’ho capito. Perché non vedo chiarezza.

Punto primo: il Pnrr avrebbe dovuto avere il problema demografic­o, ovvero il problema di una popolazion­e, quella italiana, morente, e sottolineo morente, come suo asse portante attorno al quale tutti gli indirizzi e progetti avrebbero dovuto ruotare. È così? Non è così. In una peraltro fluida, motivata, perfino accattivan­te premessa a firma Mario Draghi si accenna alla fragilità sociale, economica e ambientale del Paese, per significar­e che la cura di questa fragilità è il punto di partenza e sviluppo di tutto il Pnrr. La fragilità demografic­a, la prima in ordine di importanza e gravità, non è citata. Un richiamo alle problemati­che demografic­he, peraltro generico e molto en passant, lo troviamo quando si parla di politiche per i giovani e politiche per le donne nell’ambito delle cosiddette «Priorità trasversal­i», a loro volta inserite nel primo capitolo denominato «Obiettivi generali». Generali, appunto, di davvero specifico, al riguardo, al più tracce.

Punto secondo: obiettivi e scadenze. Ci sono forse nel Pnrr obiettivi che riguardano il tasso di fecondità (numero medio di figli per donna, con l’Italia pronta a precipitar­e alla soglia dell’inconsiste­nza di 1,2 figli) o quello di natalità (scenderemo a 6,4 nati l’anno ogni mille abitanti, con l’Unione Europea a 9, il 40 per cento di più)? Non ci sono.

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