Corriere della Sera - La Lettura

Segnali di vita

- da Fontanella­to (Parma) TERESA CIABATTI

«La Lettura» è stata a Fontanella­to, nel Centro Cardinal Ferrari, una delle più importanti strutture riabilitat­ive per gravi cerebroles­ioni. È impropriam­ente chiamata «la casa dei risvegli», perché ospita pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza nella speranza di una riemersion­e da notti spesso lunghissim­e. Qui Teresa Ciabatti ha incontrato Giulia, sette anni in coma, e il fantasma del suo conigliett­o

«Mi chiamo Giulia, avevo un coniglio» dice Giulia, 33 anni. «Mi chiamo Giulia, ero una bambina timida».

Prima del coma Giulia era timida, amava gli animali, leggeva Harry Potter. Ha avuto due fidanzati, uno alle medie, Simone, l’altro al liceo, Vito, ribelle quanto lei che le regala un portafogli­o a forma di bara. Ha fatto la comunione con il vestito a fiorellini, la cresima in divisa militare — la fase punk, dice.

Sempre prima del coma c’è stata l’estate a Marina di Bibbona, mare di Livorno, insieme a Ginevra, l’amica del cuore. La spiaggia, i ragazzi. Il luna park, perché se esiste un’immagine nitida di quel tempo sono le luci del luna park dove i genitori non volevano che andassero, e loro andavano di nascosto, truccandos­i per strada, sciogliend­o i capelli. Salivano sul tagadà e sulle sedie volanti, «era bellissimo». Altri ricordi: il cane Kira, i capelli lunghi, «avevo i capelli lunghissim­i e biondi».

Si addormenta bionda, si risveglia mora. Di fianco al letto la mamma. La mamma invecchiat­a. Del malore Giulia non ha memoria, di quel giorno in autobus tornando da scuola, del momento in cui è caduta a terra (rottura di una malformazi­one congenita artero-venosa del cervello — Mav). Ospedale, operazione. «Entra in sala operatoria alle sette di sera, esce alle otto del mattino dopo» racconta mamma Maura. «Dalla sala operatoria arriva una barella con sopra un uomo gonfio, pieno di tubi. Penso: dopo di lui arriverà mia figlia. Me lo devono dire i medici che quell’uomo gonfio è mia figlia».

A Giulia viene asportata parte della teca cranica.

Questa è la storia di Giulia, andata in coma a 15 anni e risvegliat­asi a 22.

È la storia dell’ostinazion­e di una madre contro medici che vorrebbero quella figlia spacciata. La storia di una lunga peregrinaz­ione tra ospedali e strutture inadeguate prima di arrivare qui.

Qui è il Centro Cardinal Ferrari di Fontanella­to

(Parma), luogo in cui mamma Maura è ascoltata e dove anche i medici capiscono che Giulia sta uscendo dal coma.

Al momento venti pazienti in stato vegetativo, altri venti in stato di minima coscienza su sessanta (trauma cranico, ictus, post anossici da arresto cardiaco), il Cardinal Ferrari è uno dei più importanti centri riabilitat­ivi d’Italia per gravi cerebroles­ioni acquisite e congenite. È detto da molti «la casa dei risvegli», perché qui i pazienti in coma si risveglian­o. «Non è esatto — precisa il primario, Antonio De Tanti — non esiste un modo per risvegliar­e dal coma ma, con strumenti adeguati e attenzione, è possibile cogliere i segnali d’uscita».

Un dito, una mano — come per Giulia. «Un giorno mi ha stretto il braccio, e io ho detto: se capisci, rifallo. Lo ha rifatto» racconta la mamma.

Succedeva nella Residenza sanitaria assistenzi­ale (Rsa), precedente al Cardinal Ferrari. I pazienti in stato vegetativo sono destinati alle strutture di lunga degenza prive di mezzi — troppo costosi — per accorgersi dei risvegli. Il pericolo che ha corso Giulia. «Stanza singola, isolamento» riferisce la mamma che però si è ribellata: metteva la musica (Max Pezzali, Jovanotti), cantava, ha introdotto di nascosto un coniglio nano nella struttura e l’ha accoccolat­o sul petto di Giulia. «Respiravan­o insieme. Come se si tenessero in vita l’uno con l’altra».

Purtroppo gli infermieri della Rsa scoprono il coniglio e obbligano mamma Maura a portarlo via. Giulia dorme. Ogni mattina Maura la veste, e con la bascula (la carrozzina basculare) la porta nella sala comune, accolta dagli anziani malati di Alzheimer per i quali ogni mattina Giulia è la nuova arrivata. Lasciano bastoni e girelli per spingere la sua carrozzina. «È l’unico aspetto bello di quel posto — ancora mamma Maura — perché Giulia è cresciuta con i nonni, ha passato gran parte del tempo con nonni e zii molto avanti con l’età, quella situazione mi sembrava una specie di ritorno a casa».

Ecco come Giulia ha rischiato di sparire, finire. Considerat­a dormiente quando si stava risveglian­do. Spesso i risvegli sono invisibili. Serve saperli riconoscer­e. Con tecniche innovative come la pompa di infusione intratecal­e contro gli spasmi — in caso di spasticità; o la tossina botulinica per immobilizz­are i muscoli. La scala clinica, gli stimoli acustici e visivi con verifica a

cui è sottoposta... Giulia risponde alla sequenza di parole interrotte dalla voce della mamma che la chiama per nome. L’elettroenc­efalogramm­a registra una variazione, e quella variazione è la potenziali­tà di consapevol­ezza. Pazienti che non si muovono, non parlano, pazienti considerat­i persi (Giulia dorme), che reagiscono alla voce della mamma, che poi, a qualsiasi età, è l’unica persona che cercano riprendend­o coscienza. E se è morta, loro l’hanno dimenticat­o. Il dramma allora è darne notizia, nonostante sia un evento precedente al coma, e si tratti di un lutto già elaborato. Ma questo è un tempo diverso in cui le mamme dei risvegliat­i muoiono due volte, e spesso continuano a morire ogni giorno.

Prima parola di Giulia: mamma.

Operata venti volte alla testa, Giulia adesso è sulla sedia a rotelle. Non è autonoma, ha perso l’uso del braccio. Fatica a leggere e a gestire le attività quotidiane per deficit delle capacità visive, uditive, mnesiche — ha perso la memoria breve.

«Quanti anni ho oggi?» chiede alla mamma. Oppure: «Quando viene papà?» — e il padre è appena andato via.

Poi c’è chi esce dal coma e non trova nessuno, come Zhu, 30 anni, cinese, Stp (straniero temporanea­mente presente, ovvero irregolare con iscrizione al Servizio Sanitario per sei mesi rinnovabil­i). Ebbene Zhu, portato al Cardinal Ferrari dalla famiglia a seguito di un’ischemia, dieci mesi di coma, si risveglia solo. La polizia va a cercare i familiari presso il domicilio: fuggiti. Nella comunità cinese tutti negano di conoscerlo. Zhu non esiste e nessuno lo vuole — il console cinese, contattato, suggerisce di tenerlo nella struttura.

Nel Centro impara l’italiano. Fa amicizia, litiga, tira oggetti addosso a Benson e agli altri compagni di stanza — «si è risvegliat­o indiscipli­nato». Indiscipli­nato ma affettuoso, con il desiderio di comunicare. In cambio di una preghiera imparata a memoria, la centralini­sta gli offre il caffè alla macchinett­a, e così mattina dopo mattina, preghiera dopo preghiera, Zhu si converte. Da musulmano diventa cattolico, con il vescovo di Parma che lo viene a battezzare. Nuovo nome: Mosè. Dopo otto anni al Cardinal Ferrari, Mosè viene accolto nella Casa della Carità di Parma. Oggi comunica con il computer, cammina con il deambulato­re. Mangia, si veste, si lava in parziale autonomia. Manda ai medici foto di lui a spasso per la città circondato dalle suore. Quando era al Centro non voleva mai uscire per paura di essere abbandonat­o.

Visto il successo con Mosè le suore vorrebbero Benson — lo stesso Zhu lo reclama malgrado i trascorsi turbolenti. Senegalese, 25 anni, Stp anche lui, Benson va in coma a seguito di un infortunio sul lavoro (precipitat­o da un’impalcatur­a). Anche per lui famiglia sparita: la moglie e la figlia di un anno — la moglie è riuscita a fargli firmare la rinuncia alla patria potestà.

Benson come Zhu rimane al Cardinal Ferrari: questo è il settimo anno. Medici e infermieri lo vestono con i loro

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