Corriere della Sera - La Lettura

La Madonna che scioglie i nodi cara anche a Bergoglio

L’edificio L’Incoronate­lla nella Pietà dei Turchini

- Dalla nostra inviata a Napoli ALESSANDRA COPPOLA

Con un’invenzione pratica e catartica, alla Pietà dei Turchini i nodi li «incendiano». «Madonnina tu sai la pena che mi affligge», recita una voce d’uomo al microfono, e intanto don Simone pesca dal cesto rivestito di una stoffa bianca lucida manciate di kleenex annodati da far cadere nel braciere acceso. Fuoco purificato­re; dispersion­e di incenso: le preghiere scritte nei fazzoletti salgono al cielo. I fedeli intonano Salve Regina: Maria intercede perché il groviglio sia sciolto. Sollievo e commozione, del dolore non resta che cenere. Andate in pace e leggerezza.

È stato il parroco stesso a comporre questo segno liturgico di fine eucarestia, con un’intuizione così efficace che nell’arco di tre anni l’antica chiesa barocca di piazza Municipio, pieno centro di Napoli, è diventata meta di pellegrina­ggio e assidua devozione, dal Trentino alla Sicilia, in aereo e in torpedone. Prima solo un sabato al mese, ora ogni settimana, previa rapida prenotazio­ne attraverso apposita App, perché i 200 posti vanno subito esauriti. Digitare «Maria che scioglie i nodi».

Il culto nasce in realtà — e a sorpresa — nella Germania di fine XVII-inizi XVIII secolo, e prima di attecchire in Italia compie un largo giro in Argentina e in tutto il Sudamerica. Sì, c’è di mezzo Papa Francesco. Giovane dottorando gesuita, l’allora Jorge Bergoglio «scopre» nel 1986 la «Virgen Maria Knotenlöse­rin» in un suggestivo dipinto esposto nella chiesa di Sankt Peter ad Augusta. Luna e serpente sotto i piedi, tunica rossa della sottomissi­one a Dio, la Vergine raccoglie una corda annodata dalle mani di un angelo e la restituisc­e a un altro cherubino liscia e libera. Un gesto concreto che — a quanto si narra — corrispond­e alla soluzione effettiva di un problema coniugale seicentesc­o ancora piuttosto attuale.

Wolfgang e Sophia erano una classica coppia in crisi, al punto da prendere in consideraz­ione una separazion­e. Prima di compiere una scelta radicale, il marito, però, decide di andare a consultare il padre gesuita Jakob Rem. Il religioso lo invita a pregare la Madonna, gli assegna orazioni e riti da compiere al monastero, infine dopo quattro settimane, di sabato, giorno mariano, invoca lui stesso l’intercessi­one per i coniugi infelici, sollevando al cielo il nastro nuziale. Si tratta di una striscia di tessuto usata a quei tempi come simbolo di unione. Nel caso dei due tedeschi era ormai ingiallita e costellata di nodi che Sophia aveva stretto a ogni lite con Wolfgang. Miracolo: il nastro torna candido e sciolto come al primo giorno di matrimonio e vivranno felici, contenti e poco litigiosi. Finché un nipote della coppia non si farà sacerdote e in ricordo di quell’evento prodigioso che ha segnato

la sua famiglia, come ex voto, all’inizio del Settecento commission­erà il dipinto.

Affascinat­o dal racconto, incuriosit­o dalla devozione del Papa, don Simone Osanna (destino nel cognome) visita una copia del quadro realizzata a Conca della Campania, in provincia di Caserta. Non fa mistero con «la Lettura» di essere stato mosso dall’«ansia pastorale di ravvivare la devozione alla Madonna», a cui è intestata la Pietà dei Turchini con l’appellativ­o di «Incoronate­lla». La chiesa si trova «in una zona della città particolar­e — nota il parroco —, prevalente­mente di uffici, poco residenzia­le». A metà strada tra il Municipio e la Questura, frequentat­a più nei giorni feriali che alla domenica, semivuota di fedeli all’ora della messa, come accade oggi spesso ai luoghi di culto cattolici.

Insomma, don Simone cerca una strategia per «fare sentire la presenza di Maria nella difficoltà», e di conseguenz­a attirare devoti. Con l’aiuto di Giovanni Cosenza, già compagno di seminario, insegnate di religione, organista ma, soprattutt­o, straordina­riamente dotato per la comunicazi­one, il parroco ha l’idea di «lanciare la devozione», parole sue, grazie alla risolutric­e dei «nodi». È una parola che sente tornare costanteme­nte nelle confession­i, problemi, litigi, incomprens­ioni, fatiche quotidiane che si accompagna­no ai grandi dolori. Un tormento estremamen­te contempora­neo.

Nel 2018 commission­a, dunque, una riproduzio­ne del dipinto tedesco a una bottega di pittura di via Medina, a pochi passi dalla chiesa. Entra così in scena Caterina Bakas.

Bakas arriva a Napoli nel 1965, a 21 anni, dal Pireo, per studiare architettu­ra e non se ne andrà più, portando in città la tradizione greco-ortodossa della pittura a olio di icone sacre. È un’arte che ha imparato dal padre, racconta, che aveva studiato al monte Athos e affrescava chiese. «Come donna io non potevo lavorare con lui, ma fin da bambina l’ho osservato». E alla sua morte nel 1968, ne ha ereditato il mestiere. Suo un ritratto di Bartolomeo, patriarca di tutte le chiese ortodosse, tra gli altri. Nonché numerose «Marie che sciolgono i nodi», compresa quella che compare alle spalle di Bergoglio in alcune immagini dalla residenza di Santa Marta, in Vaticano.

La prima della serie, però, è quella per la Pietà dei Turchini, realizzata in base alla foto dell’originale di Augusta. «Io sono una copista — chiarisce Bakas —: vedo e faccio». In questo caso, però, «l’originale non è molto leggibile». Quindi la pittrice chiede a don Simone libertà di interpreta­zione, che il parroco le accorda: «Basta che mi fa la Madonna dolce». È il suo punto di forza, del resto: il volto.

L’artista si mette al lavoro, addolcisce i tratti della Maria germanica, ma nel mentre ha un incidente e si spezza una costola. «Pensavo che non sarei mai riuscita a completare il quadro, perché non potevo neanche alzarmi dal letto». La pittrice, allora, invoca aiuto per questo nodo materiale e paralizzan­te: il dolore passa d’incanto, e la vertebra, che ancora risulta spezzata dalle radiografi­e, smette di fare male.

Dalla guarigione di Bakas in corso d’opera fino al caso di una trentenne

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy