Corriere della Sera - La Lettura
Palombari della follia nella casa delle farfalle
Racconta la malattia mentale senza macchiette ma con testimoni
Beati gli inquieti (Neo Edizioni), romanzo di Stefano Redaelli, professore di letteratura italiana presso l’Università di Varsavia, ha come tema centrale la follia e il suo racconto. L’autore ha dedicato ampi studi critico letterari a questo nucleo immaginativo, ma il passaggio dalla saggistica all’opera di finzione è sicuramente interessante. Il romanzo è scritto in prima persona: il narratore — Antonio, ricercatore universitario presso l’università di Varsavia — vuole studiare e raccontare la follia dal di dentro e per questo si rivolge alla direttrice di una struttura di cura psichiatrica, La casa delle farfalle, per poter passare una settimana all’interno della stessa. La direttrice acconsente a patto che Antonio stesso diventi un ospite, e che per quella settimana lui sia in tutto e per tutto uno tra gli altri.
Questo patto finzionale, da cui prende le mosse il romanzo, avrà uno scioglimento che non riveliamo e dona al testo una decisa carica etica e di sguardo, che sono la forza e la novità del romanzo di Redaelli. Antonio, e noi lettori con lui, lentamente, incomincia a conoscere i vari personaggi che vivono e animano La casa delle farfalle, inizia a conoscerne i nomi, i modi di muoversi, i discorsi, le paranoie, le paure e i desideri. Lo sguardo nel narratore quasi maniacalmente, con un impercettibile cambio di tono, sprofonda nelle menti dei suoi compagni, che da oggetti di studio, diventano amici, fratelli, compagni, dando a noi la consapevolezza di assistere a una sorta di fusione, di unione.
Il linguaggio del romanzo si muove dell’alveo della religiosità, il riferimento delle beatitudini del vangelo di Matteo è chiarissimo, e non è un caso che tale passo venga ripreso in una scena molto suggestiva del romanzo; anche da una ricognizione sommaria si nota che la lingua della Scrittura innerva tutto il testo: possiamo contare citazioni sia dall’antico testamento (Lot, Abramo, lotta con l’Angelo), che dal nuovo (il Vangelo, l’Apocalisse). C’è una tensione religiosa nel modo con cui l’io narra la storia, che potremmo definire un desiderio mistico «di essere l’altro». Credo che qui stia la novità, importante e centrale di Beati gli inquieti, ovvero lo sguardo di pietà che non vede nel sofferente di disagio psichico qualcuno da legare, da rinchiudere, da isolare, ma qualcuno con cui confrontarsi, la cui visione del mondo e della realtà, per quanto altra e alterata, può illuminare zone della nostra conoscenza.