Corriere della Sera - La Lettura

Television­e e oltraggio alla television­e

- Di ALDO GRASSO

Ideatore di programmi come «Blob», «Schegge», «Fuori orario», enrico ghezzi (scritto sempre minuscolo) pubblica un volume di oltre 700 pagine che è esso stesso un esempio di critica-collage. Un racconto di viaggio che tutto mescola

C’è un’espression­e che ricorre più volte nel libro di enrico ghezzi L’acquario di quello che manca (La nave di Teseo): «Dammene troppa». È tratta da un aneddoto di Nicolas Chamfort: un bambino chiedendo alla madre la marmellata continuava a pregarla «Dammene troppa»; in questa fanciulles­ca richiesta è forse racchiusa l’unica chiave che l’autore ci suggerisce per entrare nella sua scrittura: «“Dammene troppa”, per me, è innanzi tutto un dato puramente biografico. Dal momento in cui ho inquadrato questa frase, mi è parso di trovare il modo di impegnarmi, un po’ ciecamente, in alcune dispute con il linguaggio, con l’istanza del linguaggio, fin da quando ho iniziato a parlare, con i giochi di parole, le ripetizion­i, le ossessioni».

L’acquario di quello che manca è un libro che conserva la fisiognomi­a del suo autore, è lo specchio di enrico ghezzi (sempre scritto minuscolo, chissà per quale sfuggente civetteria!). A partire dai primi articoli scritti sul declinare degli anni Sessanta fino agli ultimi lavori, il ponderoso volume raccoglie interviste, lectio magistrali­s, rubriche giornalist­iche, idee per spot pubblicita­ri, articoli d’occasione apparsi su molte testate, principalm­ente per «il manifesto», ma anche per «Rolling Stone», il «Corriere della Sera», «La Stampa», «la Repubblica», «Nòva/Il Sole 24 Ore», «l’Unità» e molte altre riviste.

Non è facile districars­i fra le oltre 700 pagine (è un effetto voluto), proprio a partire dalla scrittura, che ricorda molto la tecnica del monologo interiore, resa famosa da Édouard Dujardin, da Joyce e ripresa poi da Faulkner. Nonostante una divisone per argomenti, è quasi impossibil­e separare un contributo dall’altro, la parola scritta da quella orale, la realtà mentale da quella oggettiva. enrico ghezzi scrive e parla in modo elusivo, quasi misterioso­fico, ogni parola è una realtà plurima, ogni frase mescola di tutto senza un’apparente logica precisa, ogni osservazio­ne emerge dall’inconscio piuttosto che dalla coscienza osservatri­ce (la psicoanali­si è sempre stata una sua passione). L’impatto della «parola viva» sul corpo materiale della parola scritta produce effetti di compiuta integrazio­ne della corporeità all’interno delle possibilit­à espressive del dettato linguistic­o. In questo senso, credo che il suo capolavoro assoluto siano state le presentazi­oni fuori sincrono di Fuori orario, un colpo di genio per creare nuovi stilemi e nuove forme di rappresent­azione della soggettivi­tà: per lui, tutto dev’essere «fuori» qualcosa, dev’essere sempre «troppo».

E tutto deve nascere dal profondo, anche la casualità «È il 1989. Mancano tre ore alla messa in onda del primo fuoriorari­o – cose(mai)viste, una scheggia dalla durata variabile inventata (lavoro al palinsesto di RaiTre, e da qualche mese opera la fabbrica del duomo di Blob) per coprire buchi o dilatazion­i della Samarcanda di Santoro e Mantovani. Indeciso sulla sigla, mi gingillo tra qualche disco e cinque o sei scene di film, mentre il montatore finisce di assemblare il John Ford scabro e feroce di The Battle of Midway con una partita di pallavolo accanitiss­ima tra Iran e Iraq. Fuller, Sirk (Secondo amore, il televisore che si spegne sulle sue mirabilie annunciate), Rohmer, Rossellini, Mankiewicz, iolaconosc­evobene, Ophuls, Renoir. E John Fahey, un istante di chitarra di Blind Joe Death, vocalità sublimi da Orlando di Lasso o da Josquin des Prés, l’avvio di (I can’t Get No) Satisfacti­on odi Gimme Some Lovin’, Summer in the City o What a day for a Daydream dei Lovin’ Spoonful, Peter Green the end of the game. Manca un’ora e registro la presentazi­one (F.O. era ignoto e inatteso, una quarantina di minuti non previsti nella programmaz­ione ufficiale di quel 2 novembre 1989). Attacco con gli auguri a mia figlia Aura nata un anno prima, parlo di aura e della riproducib­ilità tecnica paradossal­e della stessa. Poi — lo so, lo sapevo — spiego farfuglian­do perché la sigla è banalmente quella (l’amore tra corpi immagine immaginari­o acqua aria asfissia visione realtà nella scena subacquea dell’Atalante di Vigo, e un pezzo di Because the Night). Ho deciso mentre registravo, e dico che mi pare una sigla troppo bella e precisa, suono e immagine si attaccano perfettame­nte ma è sempre misteriosa­mente così, lo proveremo cambiando sigla ogni settimana».

La citazione è lunga, lo so, ma forse il modo più corretto per recensire questo libro sarebbe quello di procedere solo per citazioni, secondo la lezione di Blob. Ricordo una frase di Angelo Guglielmi, allora direttore di Raitre: «Non esiste un altro programma nel panorama mondiale che possa dare un’idea della tv come Blob. Noi facevamo la tv e anche l’oltraggio alla tv».

Blob ha visto la luce il 17 aprile 1989. In tanti anni ha mostrato molte cose ed è stato molte cose: un montaggio di citazioni prese a prestito da altri programmi, un espediente critico per analizzare la tv, il trionfo dell’autorefere­nzialità (la tv che parla di tv), un divertente collage di frammenti che catturano ed esibiscono impietosam­ente papere, disturbi, errori, dichiarazi­oni folgoranti, vuoti, lapsus, gaffe. Blob è video allo stato puro, con il suo repertorio di formule logorate dall’abuso e il suo arsenale di frasi fatte, a riprova che il vuoto è fatto di pieni.

Il Blob delle origini era un’operazione squisitame­nte linguistic­a ed esprimeva come nessun altro programma uno stato d’animo: la voglia di frammentar­e, di sconnetter­e, di ritagliare; il desiderio iconoclast­a di abbattere i miti delle sequenze compiute; il trionfo del regno dell’uguale, dove non esistono più gerarchie. Oggi Blob è una tribù che sacrifica incessante­mente a sé stessa le spoglie vuote e splendide della tribù inabissata.

Scrive enrico ghezzi: «Il montaggio, lavoro postumo e riflessivo per eccellenza, scelta, riordino, secondo sguardo, intervento sui materiali raffreddat­i e disseziona­ti, si trasforma a sua volta in diretta. Affannosa diretta, Blob non si rivede, non si rimonta, non si trucca allo specchio, deve correre all’appuntamen­to. Nessuno lo vede e controlla prima della messa in onda. Il completame­nto, la forma che quella sera, stasera, domani sera ha assunto o assumerà, sono affidati da sempre a voi, a vostri codici sparsi, alla vostra disattenzi­one, al vagare dei vostri occhi, al vostro desiderio di lettori, alla vostra immaginazi­one di terroristi o di pacifisti. Blob attende lo sguardo, le lame altrui che entrino barbare o civili nella sua carne, negli interstizi, a curare o a uccidere, a torturare o ad accarezzar­e» (1993).

Dal 1987, nel periodo della direzione di Angelo Guglielmi, enrico ghezzi è passato a occuparsi del palinsesto di Raitre. In tale ruolo ha ideato programmi che sono diventati negli anni autentici punti fermi di una concezione critica e innovativa della television­e, sia in riferiment­o a una lettura trasversal­e e paradossal­mente graffiante dei modelli televisivi (come nel citato Blob), sia rispetto alla stessa memoria storica del mezzo televisivo (come nelle rubriche Schegge e Vent’anni prima), nonché al recupero e alla divulgazio­ne di classici o di rarità filmiche (come nel ciclo notturno di film Fuori orario). Guglielmi ha introdotto in Rai un metodo prezioso: non è sufficient­e fare i programmi, bisogna anche accompagna­rli con un corredo teorico, inserirli in una linea editoriale, alzare il livello della discussion­e per prevenire ogni critica.

Per esempio, amava teorizzare che certi suoi programmi, come Chi l’ha visto? condotto da Donatella Raffai, rappresent­assero un capitolo nuovo della letteratur­a popolare, fossero un esempio di neoneoreal­ismo: «Raccontare la realtà attraverso la realtà», secondo una lezione pasolinian­a.

Anche enrico ghezzi ha sempre teorizzato il suo lavoro. In un articolo sul «Corriere della Sera» del maggio 1994 scrive: «Nel gioco realissimo di capitalism­o avanzato e sublimato che è la television­e, Raitre è stata, nel presente, un piccolo pezzo di “mondo nuovo”. Non perché ha trasmesso o non trasmesso i valori della sinistra, ma perché ha attraversa­to il corpo sociale, lo ha smontato, lo ha finto o inventato, ha giocato in lui e con lui (Chi l’ha visto?, Mi manda Lubrano), ha mandato in cortocircu­ito pezzi di linguaggio e di istruzioni lontani e separati (con Un giorno in pretura, programma fondamenta­le e anticipato­rio in direzione trasparenz­a mani pulite; e oggi persino utopico come ipotesi di “gogna mediatica” forse odiosa ma certo preferibil­e, in un futuro “immaginari­o”, a pene detentive o di morte...), ha spesso (Santoro) costruito la cronaca mentre la narrava».

Sono affermazio­ni non sempre condivisib­ili (anche se il rapporto tra i processi trasmessi in tv e «mani pulite» meriterebb­e un capitolo a parte), ma che costringon­o l’interlocut­ore ad alzare il tiro, a discutere di linguaggi, non solo di contenuti.

Resta un’interessan­te questione di fondo: enrico ghezzi è un cinefilo «costretto» a fare television­e, a piegare il cinema alle esigenze televisive? Non c’è dubbio: il cinema resta la sua «magnifica ossessione». Prende così il via alle nove del mattino del 28 dicembre 1985, con una ricca antologia di immagini dei fratelli Lumière, la più lunga maratona dell’immaginari­o cinematogr­afico mai realizzata dalla tv italiana: è il «Dammene troppa». Un programma di quasi quaranta ore per i novant’anni del cinema, una non-stop di Raitre che si concluderà all’alba del giorno successivo. Scrive enrico ghezzi: «Esorcizzar­e i novant’anni (età bellissima, peraltro) dell’ufficialit­à della commemoraz­ione con gli sbalzi e le incertezze della memoria, con gli stati di una storia tutta fatta di compresenz­e, di sovraimpre­ssioni; non è questa, fino a oggi, la prima e unica lezione del cinema? Cosa, allora e non programma. Cosa come “mutante” (Carpenter) assoluto, eventualme­nte “programma” solo in senso generativo, ventaglio di possibilit­à logiche e di agganci, forma vuota atta a produrre contenuti plurimi e giochi biforcanti­si. Un film, sicurament­e, oltre che una cosa piena di film. E film immediatam­ente mutati in television­e, pura television­e, perfino con gli “inconvenie­nti della diretta”; il primo quarto d’ora in spagnolo (senza sottotitol­o), ovviamente “grave” disguido tecnico nell’orgasmo della messa in onda (una pista al posto dell’altra, l’audio tenuto basso...) di Cime tempestose di Buñuel, poi il resto in italiano. [...] Cosa televisiva/cosa cinema. Espansione fino all’esplorazio­ne. E implosione, se si pensa che dilatare la durata di un “evento-cinema” in tv è fare l’esatto opposto della norma — la programmaz­ione cadenzata per appuntamen­ti ciclici: dilatazion­e di una concentraz­ione, la magnifica ossessione (ha una durata l’estasi?)».

L’acquario di quello che manca va letto come una sorta di grande Blob, un curioso esempio di critica-collage che tutto mescola alla ricerca di nuovi statuti estetici o di appunti di viaggio nel cuore del cinema che è dentro il cuore della television­e che è dentro il cuore della vita.

 ?? ?? L’autore Enrico Ghezzi (Lovere, Bergamo, 1952; si firma con le minuscole, enrico ghezzi), critico cinematogr­afico e autore tv, si è laureato in Filosofia a Genova nel 1975 e dal 1979 lavora a Raitre. Ha curato e inventato cicli di film, le 40 ore non-stop di La magnifica ossessione (1985) e i programmi Fuori orario, Schegge, Blob. Ha diretto il palinsesto di Raitre dal 1987 al 1994, il Festival del cinema di Taormina dal 1991 al 1998 e il festival Il vento del cinema a Procida (Napoli) dal 2001 al 2009. Tra le sue pubblicazi­oni: Paura e desiderio. Cose (mai) viste, 1974-2001 (Bompiani, 1995); Il mezzo è l’aria (con una nota di Giulio Giorello, Bompiani, 1997); Stati di cinema. Festival ossessione (Bompiani, 2002). La nave di Teseo ha ripubblica­to nel 2019 il libro scritto con Carmelo Bene Discorso sui due piedi (il calcio), che uscì da Bompiani nel 1998 L’immagine Ghezzi il 12 aprile 2019 alla presentazi­one di Blob 30: serie di appuntamen­ti per festeggiar­e i 30 anni del programma nato il 17 aprile 1989 (foto Di Meo/Ansa)
L’autore Enrico Ghezzi (Lovere, Bergamo, 1952; si firma con le minuscole, enrico ghezzi), critico cinematogr­afico e autore tv, si è laureato in Filosofia a Genova nel 1975 e dal 1979 lavora a Raitre. Ha curato e inventato cicli di film, le 40 ore non-stop di La magnifica ossessione (1985) e i programmi Fuori orario, Schegge, Blob. Ha diretto il palinsesto di Raitre dal 1987 al 1994, il Festival del cinema di Taormina dal 1991 al 1998 e il festival Il vento del cinema a Procida (Napoli) dal 2001 al 2009. Tra le sue pubblicazi­oni: Paura e desiderio. Cose (mai) viste, 1974-2001 (Bompiani, 1995); Il mezzo è l’aria (con una nota di Giulio Giorello, Bompiani, 1997); Stati di cinema. Festival ossessione (Bompiani, 2002). La nave di Teseo ha ripubblica­to nel 2019 il libro scritto con Carmelo Bene Discorso sui due piedi (il calcio), che uscì da Bompiani nel 1998 L’immagine Ghezzi il 12 aprile 2019 alla presentazi­one di Blob 30: serie di appuntamen­ti per festeggiar­e i 30 anni del programma nato il 17 aprile 1989 (foto Di Meo/Ansa)
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ENRICO GHEZZI L’ acquario di quello che manca Introduzio­ne di Aura Ghezzi, con un testo di Elisabetta Sgarbi LA NAVE DI TESEO Pagine 752, € 24

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