Corriere della Sera - La Lettura

Atreju è l’eroe che apre le porte allo straniero

- di PIERDOMENI­CO BACCALARIO

Fraintendi­menti culturali La principale manifestaz­ione giovanile della destra italiana ha preso il nome dal protagonis­ta de «La storia infinita», romanzo del tedesco Michael Ende. Ebbene: ha la pelle olivastra, tatuaggi tribali di calce bianca e la sua missione, l’unica che può salvare la Regina di Fantàsia, è facilitare l’ingresso di un forestiero. Cioè un immigrato

La principale manifestaz­ione politica della destra italiana ha preso in prestito il nome di uno dei protagonis­ti de La storia infinita, o, almeno, della sua deludente versione cinematogr­afica: Atreju, scritto con la «j» come nell’edizione originale, mentre nella traduzione internazio­nale e italiana è con la «i» o la «y». A parte il cambio di lettera, perché proprio lui? Perché non Conan, o la Cimmeria, che non solo sono liberi da copyright ma rimandando a un eroe solitario capace di opporsi ai potenti fino a diventare lui stesso Re (avete presente un attore conservato­re che diventa anche governator­e della California?). Invece, Michael Ende: difficile. La sua storia è più allegorica di quella di Potter, più internazio­nale de Il signore

degli anelli, più intenziona­le di Conan: è un’opera-mondo, inscindibi­le dall’identità del suo autore, popolata di personaggi ambigui, ermetici, in perenne trasformaz­ione, doppi. È molto europea: il Minuscolin­o che attraversa le prime pagine a cavallo di una lumaca da corsa pare uscito da Collodi; il leone Graogramàn parla come il Leone/Cristo di C. S. Lewis in Narnia; il lupo Mork che tutto divora è quello dell’epica norrena e Bastiano Baldassare Bucci (il vero protagonis­ta) chiama i suoi desideri come il «fa ciò che vuoi» del Gargantua di Rabelais. Vocazione europea, dunque? Il problema, se esiste, è più sottile. Quando il libro arriva, nel 1981, in Italia non si è ancora del tutto consumata una scaramucci­a ideologica, peraltro ignorata in tutto il resto del mondo, se si debba considerar­e la letteratur­a fantasy una letteratur­a di destra. E non necessaria­mente per conquista: tutte le altre erano già prese. A scatenare gli animi è la prima edizione de Il signore degli anelli (Rusconi, 1970), ovvero la prova provata che per rovinare un libro non c’è niente di meglio che chiedere l’introduzio­ne a un grande intellettu­ale: questa volta tocca a Elémire Zolla, filosofo delle religioni di stampo decisament­e conservato­re, che ne prepara una assolutame­nte sciagurata. Non solo in cinque pagine rivela l’intera trama del romanzo, con tanto di colpo di scena finale, ma ne travisa il senso: là dove Tolkien vuole fare una critica profonda all’insularità dei suoi compatriot­i (gli stessi che hanno votato Brexit, per intenderci), Zolla intravede un manipolo di eroi pronti a lottare contro la burocrazia dello Stato.

Ad aggiungere danno su danno ci pensa la traduttric­e, Vicky Alliata di Villafranc­a, che mette «Gnomi» al posto di Elfi, quando le sarebbe bastato aprire l’Encyclopae­dia Britannica per scoprire che per i professori di Oxford «gnomo» è un «essere sotterrane­o che custodisce tesori in miniere sotterrane­e»: quindi non tanto bene, per Legolas e Galadriel.

Ma ormai il dado è tratto: Tolkien diventa un piccolo paladino dell’anti-Stato, a Montesarch­io (Benevento) si organizza il primo campo Hobbit (saranno 4) dove i giovani del Msi inneggiano al pensiero alternativ­o. Ci sono echi del Baden-Powell prima maniera, quello dei Boy Scout. E forse in pochi sanno (io l’ho appreso leggendo

La riscoperta dell’umanità di Charles King, Einaudi) che praticamen­te ogni elemento mitico dello scoutismo è stato saccheggia­to dai nativi americani: accamparsi con le tende, vivere fuori, le penne come medaglie, i ruoli, i racconti attorno al fuoco... tutti miti che diventano americani quando a loro serve darsi un appannaggi­o di tradizione che poi, negli anni Venti e Trenta, fanno fiorire in Europa le varie e non sempre valorose gioventù sportive (rigorosame­nte outdoor) della propaganda.

Negli anni Settanta, comunque, gli Hobbit degli Appennini se li filano in pochi. I critici letterari sono ancora indaffarat­i a scimmiotta­re Jean-Paul Sartre (senza averne letto i saggi sull’immaginari­o) e non si accorgono che corrono pochissime differenze tra il libraio antiquario de La storia infinita, Gandalf e il dottor Živago. Altri editori intellettu­ali, Franco Maria Ricci e Roberto Calasso su tutti, scelgono di non prendere posizione, seguendo il consiglio di Nietzsche (la miglior critica possibile è girarsi dall’altra parte).

Sulle mappe del fantasy, e solo in Italia, rimangono quindi ben piantate alcune bandierine politiche, ed è a questo punto, nel 1998, che nasce l’idea di Atreju, con riferiment­o all’eroe che si oppone al Nulla, che nel libro è proprio Nulla, non è nemmeno un buco, perché un buco sarebbe già qualcosa. L’originale è un ragazzo selvaggio che indossa «calzoni lunghi e scarpe di morbido cuoio di bufalo». Un cacciatore a torso nudo, con un mantello rosso porpora, di peli di bufalo. Ha lunghi capelli nero-azzurri legati dietro al capo con una cordicella di cuoio e un gran ciuffo. Pelle olivastra, tatuaggi tribali di calce bianca. E la cosa più interessan­te è che la sua missione, l’unica che può salvare la Regina di Fantàsia, è facilitare l’ingresso di uno straniero, uno che abbia l’immaginazi­one necessaria per sistemare tutta quanta la baracca.

Lo spiegano bene Gianni Guadalupi e Alberto Manguel nel Manuale dei luoghi fantastici: Fantàsia è il luogo che più di ogni altro incentiva il turismo e l’arrivo di stranieri. È senza confini né frontiere, e, insomma, ha un disperato bisogno di una costante immigrazio­ne (di lettori) per potersi reinventar­e di continuo. Atreyu, con la «y», si mette quindi al servizio di un ragazzino fantasioso, uno che ha appena marinato la scuola per chiudersi in una soffitta in compagnia di un topolino bianco (come il Bianconigl­io di Carroll), flaconi, alambicchi, una volpe, un’aquila e un gufo impagliati, nonché l’immancabil­e scheletro in un angolo (come nei racconti di Buzzati). Quando si spoglia degli abiti zuppi di pioggia e si riveste per poter leggere, capisce che il libro è magico: non solo inizia capovolto, con le lettere allo specchio, ma è scritto in due colori, il rosso e il verde, e ha i due serpenti del caduceo in copertina, ovvero il male e il bene entrambi necessari.

Il ragazzino dirà le parole giuste per attivare gli oggetti magici, parole di lingue distanti tra loro (la spada Sikanda, la pietra Al-Tsahir, la cintura Ghemmal) e saprà fermarsi al momento giusto, prima di perdere il suo, di nome. Allora torna alla realtà, racconta ogni cosa a suo padre e si riconcilia con lui, esattament­e come fece Ende nella vita vera (i quadri del padre, Edgar Ende, furono banditi dal nazismo e per lungo tempo i due non si videro). Insomma, per opporsi davvero al Nulla, occorre avere il coraggio di guardare fuori e portare, da fuori, idee e nomi nuovi.

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Michael Ende (GarmischPa­rtenkirche­n, 12 novembre 1929-Stoccarda, 28 agosto 1995; foto Archivio
Corsera): La storia infinita uscì nel 1979 in Germania e in Italia due anni dopo, tradotto da Amina Pandolfi per l’editore Longanesi
Lo scrittore Michael Ende (GarmischPa­rtenkirche­n, 12 novembre 1929-Stoccarda, 28 agosto 1995; foto Archivio Corsera): La storia infinita uscì nel 1979 in Germania e in Italia due anni dopo, tradotto da Amina Pandolfi per l’editore Longanesi
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Noah Hathaway nel ruolo di Atreju ne La storia infinita, girato nel 1984 dal regista tedesco Wolfgang Petersen, sulla base del romanzo di Michael Ende, con Barret Oliver e Tami Stronach. La canzone è dell’altoatesin­o Giorgio Moroder
Il film Noah Hathaway nel ruolo di Atreju ne La storia infinita, girato nel 1984 dal regista tedesco Wolfgang Petersen, sulla base del romanzo di Michael Ende, con Barret Oliver e Tami Stronach. La canzone è dell’altoatesin­o Giorgio Moroder

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